Ricorre quest’anno il centenario della morte di Giovanni Verga, avvenuta a Catania il 27 gennaio 1922.
In virtù dell’importante ricorrenza il grande scrittore siciliano, considerato il profeta del Verismo, è uno degli autori più quotati per la prima prova della maturità 2022. Ormai la sua presenza tra le tracce del temuto “tema di italiano” è data praticamente per certa.
Per l’occasione approfondiamo più nel dettaglio le tematiche dell’opera verghiana e il cosiddetto Ciclo dei Vinti che rappresenta il punto d’arrivo della sua scrittura e del romanzo moderno.
Giovanni Verga e la nascita del romanzo moderno
Giovanni Verga iniziò a scrivere giovanissimo, come animato da un fuoco sacro. A sedici anni aveva già completato il suo primo romanzo dedicato alla narrazione storia e ideologica della rivoluzione americana, dal titolo Amore e patria. Il suo secondo libro I carbonari della montagna fu pubblicato a puntate su una rivista grazie al sostegno finanziario del padre di Verga che, colpito dalla febbre per la scrittura che animava il giovane, decise di investire nel talento del figlio.
Verga continuò a scrivere incessantemente, pubblicando romanzi di successo come Storia di una capinera (1871), Eros e Tigre Reale in cui intrecciava l’elemento della passione amorosa a quello della sventura e della tragedia. Ma ben presto la ricerca letteraria dell’autore giunse a un punto di svolta: forse Verga comprese la necessità di distaccarsi da quella visione assoluta, giovanile del mondo, che pone l’individuo al centro stesso del cosmo e iniziò a capire che c’era un’intera società che attendeva di essere raccontata.
Dopo un processo di scrematura e di rifinitura della sua scrittura Giovanni Verga era ormai pronto a conquistare gli spazi più ampi dei suoi romanzi maggiori. Iniziò quindi a dedicarsi a opere all’interno delle quali la sua inquietudine esistenziale parve finalmente trovare modo di esprimersi.
Il critico Giacomo De Benedetti a tal proposito parla di un “bisogno di compensazione”: il romanzo per Verga cessa di essere un feticcio per la conquista del successo personale, e diventa invece strumento per “un’operazione di ricostruzione intellettuale”. Questo per l’appunto è ciò che scrive Verga al caro amico scrittore Luigi Capuana in una lettera datata 1879.
Nella prefazione ai Malavoglia lo scrittore ribadisce lo stesso concetto, spiegando le caratteristiche di ogni singolo romanzo all’interno del ciclo a cui pensa di dare il nome Marea e che in seguito intitolerà I Vinti. Il romanzo capolavoro di Verga sarà pubblicato dall’editore Treves nel 1881 e rappresenterà il capitolo iniziale del progetto letterario che sarebbe poi diventato “Il ciclo dei Vinti”.
Il ciclo dei Vinti di Giovanni Verga
Il cosiddetto ciclo dei Vinti si sarebbe dovuto idealmente comporre di cinque diversi romanzi, ma ne furono portati a termine soltanto due, I Malavoglia e Mastro Don Gesualdo.
Gli altri tre, dovevano essere, nell’ordine, La duchessa di Leyra, L’onorevole Scipioni e L’uomo di lusso. Verga completò solo il primo capitolo de La duchessa di Leyra per poi abbandonare definitivamente il progetto, sentendo di aver esaurito la propria vena creativa e in parte perché gravato da urgenti problemi familiari e di salute.
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Nella prefazione dei Malavoglia si può leggere il più compiuto manifesto della poetica verghiana. L’autore parla infatti non di un’opera letteraria, ma piuttosto di “uno studio sincero e appassionato” nel quale intende dare voce alle prime irrequietudini generate dal benessere.
Nelle sue opere l’autore si propone quindi di descrivere come avvenga questa ostinata ricerca del benessere nelle diverse classi sociali con l’occhio acuto dell’osservatore e senza alcun giudizio. Ogni individuo, secondo lo scrittore siciliano, è una vittima della corsa incessante e fatale verso il progresso che tutto travolge come una marea.
Scrive Verga che i cinque romanzi sono legati da un unico filo conduttore:
Tutti sono altrettanti vinti che la corrente ha deposti sulla riva, dopo averli travolti e annegati, ciascuno colle stimate del suo peccato, che avrebbero dovuto essere lo sfolgorare della sua virtù. Ciascuno, dal più umile al più elevato, ha avuta la sua parte nella lotta per l’esistenza, pel benessere, per l’ambizione — dall’umile pescatore al nuovo arricchito.
Il romanzo I Malavoglia determina l’inizio della fase verista in cui ciò che muove l’attività umana viene colto nelle sue esigenze più modeste e materiali, per poi elevarsi nel Mastro Don Gesualdo nell’inquietudine irrisolta dell’uomo borghese che ha ambizioni più astratte. Già nel secondo romanzo Verga infatti sposta il suo punto di osservazione: la “bramosia del meglio” non viene più analizzata ai livelli elementari della lotta per la sopravvivenza, ma diventa morale e psicologica.
La ricerca del successo economico e sociale è la spinta che incalza tutti i protagonisti: eroi moderni e disillusi, perennemente in bilico tra tradizione e mondo moderno. Tutti, a modo loro, saranno sconfitti, travolti e annegati perché il cammino verso il progresso è un processo crudele che cela sofferenze e sconfitte.
Recensione del libro
I Malavoglia
di Giovanni Verga
La visione di Verga del progresso è fatalista e materialistica e, in parte, ricordo quella di Leopardi che ne La ginestra si faceva beffe delle “magnifiche sorti e progressive” in cui credeva l’umanità. È una concezione meccanicista che vede il progresso come una forma di selezione naturale darwiniana, coloro che sono sopraffatti dal progresso sono i cosiddetti Vinti.
Chi sono i Vinti nella concezione verghiana?
I Vinti dunque, diversamente dalla concezione radicata nel pensiero comune, non rappresentano i ceti più umili della società, dunque i poveri, i miseri o gli emarginati. Nel ciclo ideale di Verga infatti la narrazione sarebbe giunta a comprendere via via anche gli esponenti delle classi sociali aristocratiche sino a giungere a colui che sarebbe stato denominato “l’uomo di lusso”. Tutti gli individui, nessuno escluso, sarebbero stati inevitabilmente schiacciati da quella bramosia del progresso insita nella natura umana: una forza motrice utile per l’evoluzione della specie, ma fatale per l’individuo.
I protagonisti dei romanzi di Verga tuttavia si ribellano alla propria condizione. Il primo eroe è N’toni, protagonista de I Malavoglia, che rappresenta l’incapacità di rassegnarsi a una vita di fatica e stenti. Il giovane N’toni si rivela essere, in parte, un alter ego dell’autore stesso che lasciò la sua Sicilia per Milano. È lui che trova il coraggio di andarsene, di partire, di allargare i propri orizzonti pur sapendo di dover scontare la pena della nostalgia e dello sradicamento.
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Romano Luperini nel libro Per Giovanni Verga. Saggi (1976-2018) (Carocci editore, 2019) riafferma l’attualità dei romanzi di Verga che è proprio racchiusa nell’attenzione che l’autore dedica ai cosiddetti “Vinti”.
Quei “Vinti” che sono ancora tra noi e che forse siamo noi stessi. Più di ogni altra cosa questi uomini e queste donne sono rappresentativi della condizione umana, come scrive appunto Luperini:
Ambirebbero a un destino diverso, sono e diventano dei reietti. Per questo sono pericolosi, ci parlano di tutti gli esclusi e gli esuli che dalle periferie del mondo giungono nel nostro o che dal nostro si spingono altrove. Alludono a una nuova cultura da costruire, a un rapporto sociale da reinventare a partire dall’azzeramento di ogni valore, dalle macerie della moderna società occidentale.
Tramite la sua “scrittura sociale” e la genesi del romanzo verista Giovanni Verga allarga i nostri orizzonti di senso. Ci conduce a guardare la realtà con altri occhi, osservando il mondo non da una prospettiva individualista ed egoista, ma sociale. Il ciclo dei Vinti - rimasto, purtroppo, incompiuto - voleva essere in fondo una grande narrazione della condizione umana che in fondo non presenta vere distinzioni tra ricchi e poveri, tra celebrità e individui anonimi. Tutti sono sottoposti allo stesso desiderio ardente di realizzazione, da bramosie, vanità, da diverse e vane ambizioni.
Per dirla con le parole di Verga da “cotesta ricerca del meglio di cui l’uomo è travagliato”.
Questa ostinata ricerca del benessere è insita nell’uomo dal prinicipio dei tempi ed è, al contempo, croce e delizia della specie umana.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il ciclo dei Vinti di Giovanni Verga: romanzi, significato e caratteristiche
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