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Storia della letteratura

La guerra raccontata dai poeti italiani: 5 poesie da leggere

La guerra è un tema ricorrente nella poesia italiana. Da Giuseppe Ungaretti a Salvatore Quasimodo, sono molti gli intellettuali che hanno narrato in versi l'orrore della guerra. Scopriamo 5 poesie da leggere per riflettere.

Alice Figini
Alice Figini Pubblicato il 24-02-2022
La guerra raccontata dai poeti italiani: 5 poesie da leggere

La poesia di guerra rientra nell’ampia produzione letteraria italiana che si riferisce al primo e al secondo conflitto mondiale.
È proprio con la Prima guerra mondiale infatti che l’intellettuale - in questo caso il poeta - si fa testimone della battaglia, raccontandola in prima persona, da combattente o da reduce. Il vecchio mito patriottico della guerra lascia il posto in questi componimenti a uno struggimento profondo che, soprattutto con l’avvento della Seconda guerra mondiale, diventa predominante.

La poesia di guerra italiana

I poeti italiani furono i veri narratori-cronisti della guerra, se non altro i primi che la descrissero in tutta la sua reale atrocità.
Nelle poesie di Giuseppe Ungaretti consacrata nella celebre raccolta Il porto sepolto (1916) troviamo tutto l’orrore provocato dalla guerra, sia sul piano fisico che dal punto di vista del tormento spirituale.
Come Ungaretti, anche Clemente Rebora fu soldato sul Carso nel 1915 e descrisse, in un celebre componimento, lo strazio fisico vissuto da un soldato rimasto gravemente ferito.

La voce aulica di Ungaretti, grande narratore della Grande Guerra, si contrappone poi a quella più spirituale dei suoi successori Umberto Saba, Eugenio Montale e Salvatore Quasimodo che narreranno la Seconda guerra mondiale con una percezione più profonda e accorata che si fonde nella denuncia e nello spirito di dissenso.

Umberto Saba dedica i Versi Militari contenuti ne Il Canzoniere all’esperienza della guerra e dell’addestramento militare. In queste poesie è racchiusa una riflessione profonda sul senso di solidarietà tra eguali che il combattimento trasmette e il rifiuto della guerra al nemico là fuori. Con una metafora audace Saba parla del compagno soldato che marcia e ha il volto deformato come quello di chi muore al fronte.

Nel 1946 il poeta ermetico Salvatore Quasimodo nella raccolta intitolata Giorno dopo giorno descrive l’eterno ritorno della guerra nelle esistenze dell’uomo con un tono accorato che sale in un crescendo nell’appello finale rivolto alle generazioni future.

Eugenio Montale, infine, ne La bufera e altro raccoglie le poesie scritte tra il 1940 e il 1954 che raccontano l’orrore del secondo conflitto mondiale e la barbarie del nazifascismo, alludendo inoltre ai crimini attuati dalle dittature totalitarie del Novecento.

Di seguito vi proponiamo cinque poesie italiane sulla guerra da leggere per riflettere.

San Martino del Carso di Giuseppe Ungaretti (1916)

Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro

Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto

Ma nel cuore
nessuna croce manca

È il mio cuore
il paese più straziato.

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Viatico di Clemente Rebora (1915)

O ferito laggiù nel valloncello,
tanto invocasti
se tre compagni interi
cadder per te che quasi più non eri.
Tra melma e sangue
tronco senza gambe
e il tuo lamento ancora,
pietà di noi rimasti
a rantolarci e non ha fine l’ora,
affretta l’agonia,
tu puoi finire,
e nel conforto ti sia
nella demenza che non sa impazzire,
mentre sosta il momento
il sonno sul cervello,
lasciaci in silenzio
grazie, fratello.

Marcia notturna di Umberto Saba

Con le lanterne del tempo di guerra
si procede, e la luna ha un tenue velo,
tutte le chiare stelle ardono in cielo.
Oh, spegnete quei lumi, uomini, in terra!
Presso, nel mare, quell’argenteo gelo
trema, e ci segue. Ebbri di sonno, stanchi
di querelarsi e di cantare, i fanti
tornano sotto un luminoso cielo,
lungo il golfo che a me ricorda quello
dove nacqui, che a notte ha il tuo sorriso
malinconico, l’aria del tuo viso.
Cosi che intorno io mi ritrovi il bello
lasciato quando qui venni a marciare,
e i sonni dell’infanzia a ritrovare.

Il sogno del prigioniero di Eugenio Montale (1954)

Albe e notti qui variano per pochi segni.
Lo zigzag degli storni sui battifredi
nei giorni di battaglia, mie sole ali,
un filo d’aria polare,
l’occhio del capo guardia dallo spioncino,
crac di noci schiacciate, un oleoso
sfrigolìo dalle cave, girarrosti
veri o supposti – ma la paglia è oro,
la lanterna vinosa è focolare
se dormendo mi credo ai tuoi piedi.

La purga dura da sempre, senza un perché.
Dicono che chi abiura e sottoscrive
può salvarsi da questo sterminio d’oche,
che chi obiurga se stesso, ma tradisce
e vende carne d’altri, afferra il mestolo
anzi che terminare nel pâté
destinato agl’Iddii pestilenziali.

Tardo di mente, piagato
dal pungente giaciglio mi sono fuso
col volo della tarma che la mia suola
sfarina sull’impiantito,
coi kimoni cangianti delle luci
scironate all’aurora dai torrioni,
ho annusato nel vento il bruciaticcio
dei buccellati dai forni,
mi son guardato attorno, ho suscitato
iridi su orizzonti di ragnateli
e petali sui tralicci delle inferriate,
mi sono alzato, sono ricaduto
nel fondo dove il secolo e il minuto -

e i colpi si ripetono ed i passi,
e ancora ignoro se sarò al festino
farcitore o farcito. L’attesa é lunga,
il mio sogno di te non e finito.

Uomo del mio tempo di Salvatore Quasimodo (1946)

Sei ancora quello della pietra e della fionda,
uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,
con le ali maligne, le meridiane di morte,
t’ho visto – dentro il carro di fuoco, alle forche,
alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu,
con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,
senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,
come sempre, come uccisero i padri, come uccisero
gli animali che ti videro per la prima volta.
E questo sangue odora come nel giorno
quando il fratello disse all’altro fratello:
«Andiamo ai campi». E quell’eco fredda, tenace,
è giunta fino a te, dentro la tua giornata.
Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue
Salite dalla terra, dimenticate i padri:
le loro tombe affondano nella cenere,
gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.

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