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Recensioni di libri

Un covo di vipere di Andrea Camilleri

Sellerio, 2013 - Un covo di vipere è l’ultimo giallo pubblicato da Andrea Camilleri, anche se in realtà è stato scritto nel 2008, come ci informa l’autore stesso. Non era uscito in precedenza per la contestualità con un’altra storia di tema simile.

Federico Guastella
Angela Mazzotti - Federico Guastella Pubblicato il 06-06-2013

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Un covo di vipere

Un covo di vipere

  • Autore: Andrea Camilleri
  • Categoria: Narrativa Italiana
  • Casa editrice: Sellerio
  • Anno di pubblicazione: 2013

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Doppia recensione per l’ultimo libro di Andrea Camilleri, che segna il ritorno di Montalbano in libreria. Ecco la recensione di Federico Guastella:

Torna a sognare il cinquantottenne Montalbano nel suggestivo romanzo di compatta architettura “Un covo di vipere” (Sellerio, 2013). Lui e Livia si trovano dentro al “Sogno di Yadwigha”, il famoso quadro di Rousseau il Doganiere. Nella foresta un uccello sembra che faccia variazioni fantasiose sul tema del “Cielo in una stanza”. Sogno premonitore? Lo scenario cessa allorquando il rumore della pioggia lo riporta alla realtà. A segnare l’inizio di quella giornata “grigia e picchiusa” sono l’incontro con un vagabondo-barbone dai modi gentili e, in un villino di villeggiatura estiva, l’assassinio del proprietario, il ragioniere Cosimo Barletta. Perché, come e da chi era stato ucciso?

L’attività investigativa si concretizza senza tregua tra il commissario e Arturo, il figlio dell’ucciso. Poi è la volta di Giovanna, sua sorella. E’ nel corso della “detection” che si definisce il profilo della vittima: il donnaiolo che fotografava le ragazze con cui andava a letto, lo strozzino che mandava in rovina i commercianti, prestando denaro ad altissimi tassi d’interesse, il ricattatore spregiudicato. In breve, un affarista senza scrupoli che a Vigàta si era fatto molti nemici. Ripensandolo, Montalbano ragiona con se stesso e rivela una convinzione aperta alla comprensione umana: da una parte, egli si dice, è da ammirare chi si ribella al suo persecutore; dall’altra, va necessariamente punito per l’omicidio commesso. Nello stretto lavoro di squadra tra lui, Fazio e Mimì Augello il discorso non a caso cade sul “Hedda Gabler”, il dramma di Ibsen. L’attenzione viene poi rivolta alla dinamica dell’assassinio: gli interrogativi si fanno incalzanti, si formulano e si falsificano ipotesi.

Fra la ricerca di un testamento introvabile e di una pista basata su tracce indiziarie, Camilleri si mostra abilissimo nella scelta dell’umorismo come strategia di cui si serve per rappresentare l’ennesimo conflitto tra Montalbano e Livia: una scena sapientemente costruita. Del tutto umana nella narrazione la personalità del nostro commissario che, via via, finisce col mostrarsi facile preda della malinconia e della solitudine. Lo scrittore riprende lo svolgimento dell’azione, facendo comparire quel vagabondo che vive in una grotta e al quale Livia, che per alcuni giorni si trova a Vigàta, dedica del tempo, andandolo a trovare. Le indagini sui familiari dell’ucciso si fanno pressanti e viene messa a nudo una realtà che sconosce inibizioni. L’esame, in particolare, di alcune lettere, il comportamento di Giovanna, l’interrogatorio della moglie di Arturo e di Alina, la ragazza ventenne che si concedeva a Cosimo Barletta in cambio di particolari elargizioni, sono tasselli sparpagliati che si ricompongono nella soluzione del caso. Amara la constatazione della verità che ruota attorno a più moventi, dato che il morto era stato ammazzato due volte sia pure in modi diversi. Il misterioso e aggrovigliato intreccio, che coinvolge anche buona parte della comunità vigatese, si fa chiaro con le confidenze fatte a Montalbano dal singolare barbone il quale, peraltro, gli rivela la sua effettiva identità. Covo di vipere, in sostanza, la famiglia del Barletta dal torbido e malsano agire entro un contesto incestuoso che ha i tratti inconfondibili della tragedia greca. Quale, dinanzi a colpe di estrema gravità, l’atteggiamento di Montalbano nei riguardi di uno dei colpevoli?

Di seguito la recensione di Angela Mazzotti:

Un covo di vipere è l’ultimo giallo pubblicato da Andrea Camilleri, anche se in realtà è stato scritto nel 2008, come ci informa l’autore stesso. Non era uscito in precedenza per la contestualità con un’altra storia di tema simile. Anche senza saperlo, tuttavia, risulta evidente che questo giallo differisce dagli ultimi pubblicati e rimanda ad un periodo più felice della produzione dello scrittore. Nella storia infatti compaiono nuovamente tutti i protagonisti di quel variopinto affresco dell’immaginaria cittadina siciliana che Camilleri ha eletto a scenario dei suoi racconti:

  • Mimi Augello, non più solo comparsa un po’ farsesca, ma in funzione investigativa di un certo peso,
  • cLivia, non più solo una voce al telefono, ma una compagna in carne ed ossa e di felici intuiti,
  • il pm Tommaseo e le sue fantasie erotiche,
  • il questore, Enzo e i suoi piatti sopraffini,
  • ci sono tutti gli altri, Fazio, Catarella, Adelina, Beba.

Insomma, non manca nessuno e tutti hanno il loro ruolo e concorrono a riempire la scena e a vivacizzare il racconto, come Camilleri ci ha abituati a leggere nei suoi primi romanzi. Gli ultimi invece sembrano un po’ deserti, tutti concentrati sulla storia gialla ed i suoi occasionali personaggi.

Il tema di quest’ultimo romanzo è scabroso e l’autore lo affronta con delicatezza, lo lascia trasparire a poco a poco, sembra quasi restio a volersi arrendere alla sua evidenza, tanto che pur accumulandosi gli indizi ben prima dell’epilogo è solo in questo che emerge chiaramente la spiegazione e lo stesso Montalbano sembra non volersene convincere.
Un uomo viene trovato “doppiamente” ucciso, prima col veleno e poi con un colpo di pistola: Montalbano e la sua squadra cercano due assassini, due personaggi che per la modalità stessa del delitto compiuto presentino caratteri psicologici diversi. Frugano nella vita dissoluta e brutale del morto, un uomo ricco e spietato, un usuraio, ricattatore e pedofilo, e nelle sue innumerevoli relazioni amorose, fino a quando la verità emerge, inaccettabile nella sua brutalità. Ma Montalbano non si arrende: come già altre volte non rinuncia alla tentazione di ergersi lui giudice e di offrire al colpevole un’ultima possibilità, puntando a far sì che la giustizia che deve colpire non sia la fragile e inadeguata giustizia degli uomini, ma una giustizia più alta e inesorabile, in grado di punire e al tempo stesso di compatire, soprattutto quando il colpevole è anche vittima, consenziente, ma succube e quindi meritevole di un ultimo gesto di pietà.

Ritorna così in campo il Montalbano più profondo e sensibile, quello del quale Livia ha detto una volta Tu vuoi essere Dio , il poliziotto che vive il proprio mestiere come una missione, quella di rimettere in ordine una realtà di cui conosce tutte le brutture e le miserie, ma per la cui redenzione non perde la speranza.

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© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Un covo di vipere

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Commenti: 2

  • nemi calabro'
    9 giugno 2013, 22:27

    Un romanzo, veramente, tra i più belli di Camilleri.
    Come una tragedia greca, ma con un pathos e un’emotività di Montalbano del tutto moderne e che perciò, a differenza dei classici greci, lasciano il lettore, alla fine, senza fiato. Perchè qui c’è un’umanità, una pietà nel giudizio che è una delle caratteristiche del grande Camilleri.

  • Emmabi
    17 giugno 2013, 21:38

    “’Na bella famiglia, non c’era che dire! Forsi un covo di vipere era meglio” . ...letteralmente divorato in meno di quarantotto ore....consigliatissimo!

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