Un bambino prodigio
- Autore: Irene Némirovsky
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Giuntina
- Anno di pubblicazione: 2013
Irène Némirovsky aveva solo ventiquattro anni quando scrisse Un bambino prodigio (Giuntina, 2013, trad. Lucattini Vogelmann), un breve romanzo pubblicato nel 1927 che racchiude già i semi di quel talento straordinario destinato a esplodere nelle opere successive e, in particolare, nel suo capolavoro Suite francese.
Il bambino prodigio, protagonista del racconto, è Ismaele Baruch, figlio di una numerosa famiglia ebrea che vive in povertà in un paese sule coste del Mar Nero.
Ismaele ama trascorrere le sue giornate girovagando per le strade di Odessa tra la piazza del mercato, il porto e le taverne malfamate dove si consumano le vite degli esclusi, dei poveri, delle prostitute, dei disperati. Affascinato e sollecitato da questa umanità, scopre di avere il dono speciale di trasformare il dolore altrui in versi poetici che egli canta improvvisando, accompagnato dalla sua balalaika. Il suo talento fu presto notato da un poeta in crisi e dalla sua amata “principessa”, una donna ricca e capricciosa che deciderà di prendere Ismaele con sé affinché possa allietare le sue serate. Il piccolo cambierà totalmente la sua vita, ma farà fatica a conservare quel dono speciale e, forse, anche se stesso.
“Le parole si svegliavano in lui come uccelli misteriosi ai quali doveva solo dare la libertà.”
Con uno stile narrativo straordinariamente evocativo, descrittivo e introspettivo, Irène Némirovsky ci regala una favola struggente e dolorosa che racconta un po’ di sé, dello smarrimento, della solitudine e dei dubbi che scuotevano il suo animo quando fu costretta ad abbandonare il paese di origine e a trasferirsi in Europa.
Attraverso la storia di Ismaele, la giovanissima Irene si interroga e ci interroga sulla natura del talento. Che cos’è davvero? Può essere acquisito e addestrato? Oppure non può che essere libero e spontaneo? E ancora, chi e cosa stabilisce se abbiamo o meno talento? È un fine per se stessi o un mezzo per gli altri?
Ma vi è di più: Un bambino prodigio è anche un racconto sulla speranza svanita, sulla nostalgia di qualcosa che si è perso e che non verrà più ritrovato e, soprattutto, sulla solitudine di quanti ricercano il plauso e l’approvazione altrui, celando un disperato bisogno di amore.
Ismaele, in fondo, non voleva essere un bambino prodigio. Voleva solo essere amato. Voleva solo vivere.
“Cominciava a sentire qualcosa che non aveva mai provato, la gioia di vivere in modo semplice, sano e profondo, che era simile al piacere di bere l’acqua fresca di un pozzo quando si ha sete, di dormire al sole sulla terra calda e profumata di luglio, di correre a perdifiato sull’erba, senza meta, mentre il vento sferza e scompiglia i capelli. Ismail non era mai stato un vero bambino: laggiù, nel ghetto, aveva sempre sentito nell’intimo del cuore una specie di angoscia determinata, di desiderio vago, un orgoglio troppo potente, una capacità quasi straziante d’impregnarsi di bellezza e di mestizia. Ma quel vigore, quella semplicità dell’anima, quell’assenza di pensieri, di bisogni, quella noncuranza, tutto ciò ora lo riempiva come se fosse un sangue nuovo; nella sua testa, debilitata dalla malattia, c’erano due o tre idee chiare ... e nell’anima una felicità immensa, luminosa, la felicità degli animali sazi, delle piante nel caldo dell’estate”.
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