Alla sua morte, avvenuta ad Auschwitz il 17 agosto del 1942, Irène Némirovsky aveva scritto sedici romanzi e una cinquantina di racconti, eppure non poteva definirsi “scrittrice”. Il nazismo oltre a ucciderla in quanto ebrea, aveva tentato di toglierle la vita anche come scrittrice, condannandola all’oblio più atroce per chi scrive: la cancellazione della sua firma, la censura del suoi libri, l’impedimento di pubblicare. In tal modo Némirovsky era stata uccisa due volte: prima come scrittrice e, solo in seguito, come donna.
I suoi scritti, chiusi in un baule, avrebbero attraversato mezza Europa al seguito delle due figlie piccole, Denise ed Élisabeth, che si fecero custodi ignare dell’eredità letteraria materna.
Dentro quel baule infatti era custodito, scritto con una sottile grafia azzurrina, Suite francese, uno dei libri più belli dedicati agli anni della Seconda guerra mondiale, un capolavoro incompiuto. Irène riuscì a concludere solo due dei cinque tomi previsti nella struttura originale.
Il romanzo avrebbe visto la luce soltanto nel 2004 in Francia, edito da Bernard Grasset: quello fu l’anno di Irène Némirovsky, quello in cui il mondo, con irreparabile ritardo, scopriva il valore di una grande scrittrice dimenticata.
Per la prima volta il più prestigioso premio letterario francese, il Prix Renaudot, fu assegnato a un’opera postuma. Suite francese sarebbe stato tradotto in oltre trentasei lingue: era l’inizio del caso Némirovsky.
La vita stessa di Irène ricorda un romanzo, le cui tracce si perdono nell’intrico oscuro della storia del Novecento.
La vita di Irène Nemirovsky
Irène Némirovsky, il cui vero nome era Irma Irina, era nata a Kiev nel febbraio 1903, figlia unica di un importante banchiere ebreo. Scampò alla morte a soli tre anni, quando la città fu sconvolta dai pogrom contro le comunità ebraiche: fu salvata provvidenzialmente dalla cuoca che le mise al collo una croce ortodossa e poi la nascose. Iniziò per la famiglia Némirovsky un lungo esilio: erano in pericolo in quel periodo di tumulti, in quanto il padre Leonid (poi naturalizzato francese in Léon) era vicino allo zar. Si trasferirono in Scandinavia e quindi in Francia, dove tentarono di cambiare nome: Irma Irina divenne così Irène, mentre sua madre Anna Margulis, la bella donna scostante e vanitosa che avrebbe ispirato il personaggio di Jezabel, si fece chiamare Fanny.
Irène era una bambina molto sola, trascurata dalla madre che era troppo distratta dai suoi corteggiatori per occuparsi della figlia. Questa solitudine, maturata sin dall’infanzia, avvicinò la piccola Némirovsky alle letture e ai libri. Sin da bambina parlava fluentemente francese e russo, motivo per cui - quando il suo talento finalmente venne alla luce - fu incoronata come “la scrittrice che scrive il russo in francese”: in lei c’era la narrazione fluente e poderosa di Tolstoj e Dostoevskij adattata in un nuovo linguaggio. All’origine della sua scrittura c’era l’abbandono patito nell’infanzia: i genitori erano completamente assenti, era come un’orfana agiata accudita dalle governanti. Un ruolo chiave nella sua formazione lo ebbe la governante francese Marie, detta “Zézelle”, che le insegnò proverbi, canzoni e giochi di parole nella sua lingua di origine.
Crebbe a Parigi, dove frequentò le migliori scuole e studiò Lettere alla Sorbona, laureandosi perfettamente in tempo. Intanto già coltivava ambizioni letterarie scrivendo racconti per alcuni settimanali francesi dell’epoca: la sua prima novella si intitolava L’Enfant génial, seguita nel 1927 dal suo primo romanzo: Le Malentendu, in italiano Il malinteso.
A soli ventitré anni Irène sposò l’ingegnere russo Michel Epstein, un “piccoletto bruno dalla carnagione scura”; da quel momento poté dedicarsi completamente alla scrittura. Conduceva una vita agiata, senza preoccupazioni, trascorreva le sue giornate a tavolino inventando le sue storie. I primi romanzi li firmò con lo pseudonimo di Pierre Nerey.
Quando l’editore Bernard Grasset si trovò di fronte una giovane donna rimase sorpreso; era convinto di incontrare un signore attempato tanto la scrittura era matura e di tolstoiana memoria. Invece era lei Irène, la penna magistrale che citava Proust e Tolstoj e creava mondi nei mondi, dava corpo alle emozioni, dava vita a una pluralità corale ed eterogenea di punti di vista.
Irène Némirovsky: i primi romanzi
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I primi romanzi di Némirovsky erano ispirati alle figure dei genitori, sulle quali da figlia posò uno sguardo tutt’altro che indulgente: Il Ballo è un racconto imperniato sulla rivalità tra madre e figlia; in cui c’è questa madre che vive nel culto eterno della propria bellezza e teme di sfigurare dinnanzi alla giovinezza della figlia; invece David Golder (1929), il suo maggior successo in vita, narrava di un banchiere ebreo arrivista, probabilmente ispirato al padre Leonid. Il libro, paradossalmente, provocò a Némirovsky delle accuse di antisemitismo per la maniera in cui ritraeva la figura dell’ebreo arrivista e assetato di denaro: l’impavido “sognatore del ghetto” che tentava la scalata sociale ben si adattava allo stereotipo. Le opere valsero a Némirovsky riconoscimenti e successi: dai suoi primi libri furono tratti dei film, David Golder fu candidato al Premio Goncourt, ma non lo vinse poiché ancora non aveva ottenuto la cittadinanza francese e lei, di solidi principi morali, rifiutò di richiederla come lasciapassare per vincere il premio. Sarebbe stata risarcita, postmortem, con la vittoria del Renaudot.
Nel 1932 uscì L’affare Courilov, un ulteriore riconferma del talento di una scrittrice acclamata da stampa e critica. Ormai Irène scriveva un libro l’anno, poteva dirsi una scrittrice affermata: scriveva durante il giorno e poi mezz’ora dopocena quando Michel, suo marito, la aiutava battendo a macchina e rivedendo i suoi scritti della giornata. Erano una coppia collaudata, a ciascuno il suo ruolo: lui lavorava in banca, lei scriveva, ma furono anche anni di ricchezza, agiatezza e divertimento e di vita mondana vivacissima.
Irène Némirovskij e le persecuzioni razziali
Intanto Irène, ebrea, negli anni Trenta si trova a combattere contro lo spettro delle leggi razziali: tentò di ottenere la cittadinanza francese, senza successo e, visto il pericolo imminente, decise di battezzarsi e convertirsi al cattolicesimo insieme al marito per dare alle figlie la protezione della fede cattolica. Voleva costruire una rete di salvezza, per proteggere soprattutto le sue piccole Denise ed Élisabeth; tuttavia gli sforzi, anche disperati, suoi e del marito Michel si rivelarono vani. Le bambine ottennero la cittadinanza francese; ma i due coniugi no. Nel 1940 a Irène Némirovsky viene impedito di pubblicare i suoi libri. Soltanto un editore impavido, Horace de Carbuccia, continuò a pubblicarla clandestinamente.
Lei fuggì lontano da Parigi nella campagna francese, a Issy-l’Évêque, nel tentativo di proteggere le figlie. Nel silenzio bucolico dell’atmosfera campestre lavora al grande romanzo che sarà il suo capolavoro, sebbene incompiuto, Suite francese, che inizia proprio narrando la fuga dei cittadini da una Parigi minacciata dall’invasione nazista.
Nonostante procedesse nella scrittura, come aveva sempre fatto, quello era il periodo più drammatico della vita di Irène. La minaccia era incombente, la sovrastava: anche nella scrittura narrava la guerra che entrava persino nei sogni con il rombo fragoroso di un temporale, come un presagio. Mentre da Parigi giungevano notizie raccapriccianti, Némirovsky non si separava mai dal suo quaderno, vergato con la sottile scrittura azzurrina, nel quale erano contenuti i primi due volumi di Suite Francese, il romanzo che l’avrebbe salvata.
L’eredità letteraria di Irène Némirovsky
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Il 13 luglio 1942 Irène Némirovsky venne arrestata e deportata ad Auschwitz, dove morirà di tifo nell’agosto successivo. La figlia Élisabeth, che sarebbe divenuta sua biografa, documenta che quando la arrestarono le proposero di fuggire per salvarsi, ma lei rispose compunta: “Non patirò un altro esilio”. Si consegnò ai suoi aguzzini a testa alta, cose che le figlie - private da piccolissime dell’amore materno - non le avrebbero mai perdonato. Irène lasciava a loro un’eredità ben più grande, un capolavoro della letteratura nel quale era condensato il talento della loro madre.
Non bastò a risarcirle: Élisabeth, che all’epoca dell’arresto aveva soli quattro anni, molti anni dopo avrebbe scritto una biografia al veleno rimproverando alla madre tutte le sue mancanze, accusandola di non aver visto il pericolo della minaccia nazista e di averlo sottovalutato per condurre una vita agiata. Invece il pericolo Irène l’aveva visto benissimo; anzi, ne aveva persino scritto sottotraccia in tutti i suoi romanzi, a partire da I cani e i lupi.
Nel mese di ottobre del 1942 fu arrestato anche Michel Epstein, dopo che aveva cercato invano di sottrarsi all’inevitabile scrivendo appelli disperati ad André Sabatier, il direttore letterario di Albin Michel, la casa editrice ufficiale di Irène che aveva continuato a devolvere compensi alla scrittrice per sostenersi, nonostante non fosse più pubblicata a causa delle leggi razziali. Infine Epstein dovette arrendersi al suo destino, lasciando le due figlie piccole a una tutrice, la bambinaia francese Julie Dumot.
Poco prima di partire a bordo del convoglio 42 che l’avrebbe portato ad Auschwitz e alla morte in una camera a gas, Michel Epstein scrisse la sua ultima lettera, che si concludeva così:
Forse presto vedrò Irène.
Le ultime parole di Némirovsky, scritte nel luglio del 1942, poco dopo la deportazione, furono dedicate alla sua famiglia:
Mio amato, mie piccole adorate.
Non avrebbe più rivisto nessuno di loro; ma sarebbero state le figlie a salvarla, conservando ignare quel baule nel quale, tra i fogli vergati nella solita scrittura azzurrina, era custodita l’eredità più importante della loro madre, che soltanto oggi è stata riscattata, ottenendo la fama che merita.
Di recente la casa editrice Adelphi ha pubblicato la corrispondenza di Irène Némirovsky, Lettere di una vita, che ci consegna un ritratto postumo della scrittrice dimenticata e, infine, ritrovata.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Irène Némirovsky: vita e opere della scrittrice ritrovata in un baule
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