

Il sonetto CLXXIII di Vittorio Alfieri, datato 16 Agosto 1786 e in seguito confluito nelle Rime (prima edizione 1789), seppur all’interno di uno schema metrico tradizionale, presenta elementi di novità di notevole portata. Su tutti l’introduzione del tema della memoria, che di lì a poco diventerà un cardine della poetica romantica e, principalmente, di quella leopardiana.
Al centro del componimento vi è la personale intolleranza nei confronti del secolo presente, troppo incline al compromesso secondo l’autore, che tuttavia riesce a calmare la rabbia e a trovare pace nella natura solitaria. Non mancano, infine, i riferimenti classici, precisamente danteschi e petrarcheschi, ma declinati in maniera del tutto individuale e originalissima.
Analizziamo il testo di Tacito orror di solitaria selva dal punto di vista formale e critico.
“Tacito orror di solitaria selva”: testo del sonetto
Tacito orror di solitaria selva
di sì dolce tristezza il cor mi bea,
che in essa al par di me non si ricrea
tra’ figli suoi nessuna orrida belva.E quanto addentro più il mio piè s’inselva,
tanto più calma e gioia in me si crea;
onde membrando com’io là godea,
spesso mia mente poscia si rinselva.Non ch’io gli uomini abborra, e che in me stesso
mende non vegga, e più che in altri assai;
né ch’io mi creda al buon sentier più appresso:ma, non mi piacque il vil mio secol mai:
e dal pesante regal giogo oppresso,
sol nei deserti tacciono i miei guai.
“Tacito orror di solitaria selva”: parafrasi del sonetto
L’orrore silenzioso di un bosco solitario
mi rende felice il cuore di una tristezza così dolce
che dentro di essa non vi trova ristoro come faccio io
nessuna belva feroce che la abita insieme ai suoi cuccioli.E quanto più il mio piede si addentra nella selva,
tanto più dentro di me nascono calma e gioia;
così che ricordando come ero felice là,
spesso la mia mente di nuovo si rifugia nella selva.Non è che io disprezzi gli uomini, oppure che in me stesso
non veda difetti, e molto più che in altri,
né che io creda di essere più vicino (degli altri) alla giusta strada:ma non mi è mai piaciuta la mia epoca pavida
e, poiché mi sento schiacciato dalla pesante oppressione dei sovrani,
le mie sofferenze si placano solo nei luoghi deserti.
“Tacito orror di solitaria selva”: metrica e figure retoriche
Tacito orror di solitaria selva è un sonetto in endecasillabi disposti secondo lo schema metrico ABBA ABBA CDC DCD (le quartine hanno rime incrociate, le terzine sono a rime alternate).
Queste le figure retoriche presenti nel testo:
- Enjambement ai versi 3-4 e 9-10;
- Anastrofi al verso 2 “di sì dolce tristezza il cor mi bea” e al verso 13 “dal pesante regal giogo oppresso”;
- Figura etimologica ai versi 1, 5, 8, ovvero “selva, inselva, rinselva”;
- Metafore ai versi 13 “regal giogo” e 14 “tacciono i miei guai”;
- Sineddoche al verso 5 “piè”;
- Ossimoro al verso 2 “dolce tristezza”;
- numerose allitterazioni della “r”, come “orror, solitaria, tristezza, cor"; della “m” e della “n”, come “calma, membrando e mia mente”; della “s”, come “solitaria, selva, Si, essa, suoi, spesso, assai, secol, oppresso e sol”.
“Tacito orror di solitaria selva”: spiegazione del testo
Alfieri afferma che il tipico timore che assale qualsiasi essere umano nel mezzo di un bosco solitario in lui provoca, invece, una dolce tristezza in grado di rallegrarlo come non accade neanche alle belve feroci che lo abitano insieme ai loro cuccioli. Più si spinge all’interno, dice, più lo assalgono la calma e la gioia, tanto inusuali per un carattere impetuoso come il suo.
La solitudine della selva gli provoca una tale beatitudine che a volte basta il suo ricordo per sentirsi meglio e maggiormente in pace con il mondo. Anche soltanto con la memoria quindi, il bosco, che in fondo rappresenta la natura selvaggia e disabitata tutta, costituisce per lui l’unico rifugio dell’anima. Ciò non perché disprezzi gli uomini o perché si ritenga privo di difetti, che forse ha persino più degli altri, così come non si ritiene l’unico a percorrere la retta via, semplicemente non gli piace l’epoca in cui vive, che trova vile e oppressa dalla tirannide. Non sopportando il potere dei monarchi, trova pace e dimentica il rancore e il dispiacere solo quando si trova immerso nella natura solitaria.
Gli aspetti autobiografici e il giudizio sul suo secolo
Al di là del metro tradizionale, Tacito orror di solitaria selva presenta forti elementi di innovazione e una grande originalità di pensiero.


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Si tratta di un sonetto autobiografico, come sono quasi tutti quelli che fanno parte delle Rime, dove la situazione politica presente è il principio dal quale l’autore muove per addentrarsi in un’impetuosa riflessione che ancora una volta evidenzia il titanismo che lo ha reso celebre, nonché osannato da molti artisti cronologicamente a lui posteriori.
Alfieri considera il Settecento un secolo “vile” poiché accetta la tirannide, seppur sotto l’edulcorata forma di dispotismo illuminato, invece di combatterla e cercare di respingerla con tutte le forze; per un uomo dal temperamento libero ed eroico come il suo, tale compromesso non solo è inaccettabile, ma anche causa di tormento.
Ma ecco che questo lacerante dolore interiore trova una panacea nella natura aspra, selvaggia e disabitata del bosco, l’unico ambiente dove l’inquietudine si placa per dar spazio a una calma ambita e rassicurante. Non è misantropia, precisa il poeta, né pretesa superiorità rispetto agli altri, bensì semplicemente una forma di auto isolamento che gli permette di estraniarsi dalla mediocrità che lo circonda. Trovarsi nel mezzo di una foresta gli procura un tale stato di letizia che esso resta inalterato anche solo al ricordo della passata permanenza.
In Tacito orror di solitaria selva gli elementi classici restano, dunque, piuttosto formali, mentre i concetti espressi introducono alcuni dei motivi che diventeranno nodali nel Romanticismo.
Alfieri preromantico: l’io lirico che corrisponde alla natura circostante e la memoria
Due caratteristiche fanno di Tacito orror di solitaria selva un’opera preromantica:
- la correlazione fra l’io lirico e la natura;
- il ricorso alla memoria come meccanismo in grado di rendere il passato ancora vivo.
Lo stato d’animo dell’autore trova piena corrispondenza nel paesaggio circostante, con il quale egli si identifica e da cui trae un profondo senso di appagamento psicologico. Quest’ultimo, inoltre, non necessita della presenza fisica sul posto per manifestarsi, in quanto solo ricordare di esserci stati rinnova la medesima sensazione in tutta la sua integrità.
Alfieri sembra intuire, pochi anni prima del suo concreto affermarsi, l’avvento della nuova sensibilità romantica, che avrà proprio nel rapporto uomo/natura e nel potere della memoria due dei suoi principali concetti chiave.
I richiami danteschi e petrarcheschi nel sonetto di Alfieri
Nel sonetto CLXXIII sono presenti evidenti richiami danteschi e petrarcheschi.
Per quanto riguarda i primi, è facile intuire il nesso con la “selva oscura” della Divina Commedia, che tuttavia in Alfieri perde completamente la sua accezione negativa per diventare, al contrario, un luogo di pace e serenità.
Allo stesso modo, il "buon sentier" rievoca la “diritta via” che il letterato fiorentino dice di aver smarrito ad un certo punto della vita.
L’isolamento dell’io lirico, invece, è già presente in Petrarca, ma la distanza temporale e caratteriale fra i due artisti fa sì che esso venga reso con toni diametralmente opposti, ovvero pacati e cristallini nell’aretino, impetuosi, aspri e tormentati nell’astigiano.
Stesso orientamento ma esposizione antitetica dunque, che separa Alfieri dal passato per proiettarlo direttamente nel futuro, ossia verso il Romanticismo ormai prossimo ad emergere.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Tacito orror di solitaria selva”, il sonetto di Alfieri sulla natura come antidoto a viltà e tirannide
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