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Recensioni di libri

Si chiama Francesca, questo romanzo di Paolo Nori

Se leggiamo il termine pazzia nell’accezione di libertà, lo scrittore Learco Ferrari, alter ego dell’autore, è un pazzo scatenato. In Si chiama Francesca, questo romanzo (prima edizione Einaudi, 2002; riedito da Marcos Y Marcos nel 2012), fugge continuamente i suoi pensieri vocianti lasciandone puntualmente traccia sul suo taccuino di viaggio...

Toni Noar Augello, scrittore
Toni Noar Augello, scrittore Pubblicato il 02-03-2012

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Si chiama Francesca, questo romanzo

Si chiama Francesca, questo romanzo

  • Autore: Paolo Nori
  • Categoria: Narrativa Italiana
  • Casa editrice: Marcos y Marcos

Se leggiamo il termine pazzia nell’accezione di libertà, lo scrittore Learco Ferrari, alter ego dell’autore, è un pazzo scatenato. In Si chiama Francesca, questo romanzo (prima edizione 2002; riedito da Marcos Y Marcos nel 2012), fugge continuamente i suoi pensieri vocianti lasciandone puntualmente traccia sul suo taccuino di viaggio. In questo romanzo tuttavia non c’è né un taccuino, né un viaggio preciso, piuttosto un trasloco. Learco non è mai fermo, anche quando è seduto, e nei suoi giri non ci lascia mai a digiuno di particolari, un po’ come se avesse installato una microcamera nascosta da qualche parte, nel suo cappello nero da scrittore. Oltre a consentirci di osservare ogni suo passo, questa immaginaria microcamera è dotata anche di una specialissima funzione audio, in grado di rilevare non solo rumori e suoni dal mondo esterno, ma anche quelli dei suoi pensieri assillanti, che raramente gli concedono un attimo di tregua.

Learco, a modo suo, è uno che sa come muoversi tanto sulle strade rotabili che in quelle eteree delle sue elucubrazioni, che diventano, senza sforzo e senza badare alla punteggiatura, scrittura intrisa di ironia, ansia, paura e voglia insieme. Una scrittura diaristico-compulsiva, labirintica, che è ormai un marchio di fabbrica per Learco, già autore di Bassotuba non c’è, Spinoza, Grandi ustionati, ecc. Un giro di jazz che insiste sempre sugli stessi accenti, ma che ugualmente ti tiene incollato al ritmo, contagiandotene. Come in un labirinto che si rispetti, si può tornare sui propri passi, non arrivare da nessuna parte, ma come sostiene uno dei passi più ottimistici della filosofia sufi, di cui egli è strenuo ammiratore, una persona che viaggia nell’oscurità sta pur sempre viaggiando.
C’è da fidarsi?, si chiede. Non più di quanto il lettore possa fidarsi di lui, questo fantastico impostore narrativo, mai a corto di cose da raccontare, che pure, nell’epigrafe al libro, con le parole di Kurt Vonnegut, avverte:

Io, da parte mia, mi sono sempre considerato un paranoico, un iperattivo, una persona che si guadagna da vivere sfruttando in modo opinabile le sue malattie mentali.

D’altronde anch’io al posto suo sarei disposto a gabbare il lettore pur di non tradurre più in russo manuali di macchinari non meglio specificati.
Con il suo originalissimo stile letterario, Paolo Nori fa il verso alla vita con la stessa licenza ed insistenza che la vita puntualmente ti riserva, lasciandoti un senso di riscatto, di rivincita. Un po’ come quelle volte in cui sei disposto a cambiare la direzione ed il senso delle cose prestabilite, e pensi: “al diavolo, stavolta si fa come dico io”.
Per leggere e godere della scrittura di Nori devi accettare questo presupposto: non stai per leggere roba qualunque, stai per leggere il romanzo di uno che ha deciso "al diavolo, si fa come dico io".

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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Si chiama Francesca, questo romanzo

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