Rancore
- Autore: Gianrico Carofiglio
- Genere: Gialli, Noir, Thriller
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Einaudi
- Anno di pubblicazione: 2022
Con Rancore (Einaudi, 2022), Gianrico Carofiglio, uno dei più affermati interpreti del giallo italiano, torna all’ambientazione milanese per la seconda indagine di Penelope Spada, l’ex pubblico ministero che ha dovuto lasciare la magistratura per motivi, al momento, ancora sconosciuti.
Nel suo primo romanzo, Penelope viene assunta come investigatrice privata da un uomo, per indagare sull’omicidio della moglie: un caso archiviato, ma solo per mancanza di prove.
Il principale sospettato, il marito, vuole giustizia per la vittima e l’opportunità di essere, agli occhi della figlia, un uomo innocente.
Nel nuovo libro, seguendo, all’interno di un “triangolo familiare” del tutto simile, in ordine inverso, è la figlia ad accusare della morte del padre la sua giovane moglie.
Marina Leonardi si presenta a Penelope su indicazione del suo avvocato:
“Un suo collega penalista, uno di cui si fida, gli ha suggerito il suo nome. Gli ha detto che per una questione davvero delicata si sarebbe rivolto a lei, che ha risolto una brutta faccenda di una ragazzina coinvolta in un giro di pedopornografia. E che se azzanna, poi non molla più”.
I sospetti di Marina sono dovuti a una serie di circostanze.
Innanzitutto la morte improvvisa, avvenuta quasi due anni prima, di un uomo in buona salute, un chirurgo e professore universitario di successo, che avrebbe potuto riconoscere i sintomi di un attacco cardiaco; poi il provvidenziale alibi della moglie, partita per un centro benessere in Toscana proprio il giorno prima del ritrovamento del corpo, che è stato frettolosamente cremato dopo il funerale. Il medico che ha constatato decesso, un amico di famiglia, non ha avuto dubbi sulle cause naturali della morte, eppure il fatto che il padre avesse espresso al notaio il proposito di cambiare il testamento — una decisione che avrebbe giovato ad alcune persone, mentre sarebbe stata una perdita per la moglie, beneficiaria della fetta più grossa del patrimonio — getta nuove ombre su tutta la vicenda.
A complicare ulteriormente la decisione di accettare o meno il caso, c’è il legame del morto con la vita “precedente” di Penelope e con l’episodio che ha provocato la sua espulsione dalla magistratura:
“Fumando una sigaretta e bevendo il vino mi resi conto di una verità elementare. Se non avessi accettato l’incarico mi sarei tormentata a lungo, rimuginando su quell’occasione mancata di riallacciare i fili sospesi del mio passato”.
Si tratta di una straordinaria coincidenza: il destino le offre questa assurda opportunità e, anche se forse sarebbe più opportuno lasciar perdere, ha la possibilità unica di terminare un lavoro interrotto a metà:
“Nessuno mi avrebbe restituito la vita di prima, però avrei potuto chiudere qualcuno dei conti rimasti in sospeso”.
Le indagini prevedono di risentire tutte le persone coinvolte a vario titolo: la domestica che in camera da letto ha trovato il Leonardi privo di vita e ancora vestito; il medico che ne ha constatato il decesso; il notaio che ha avuto un tardivo scrupolo di coscienza; la prima moglie; e naturalmente sarà necessario avvicinare la giovane vedova per cercare di stabilire un contatto fino a carpirne la fiducia.
Penelope si rende conto, però, di essere riuscita solo di farsi un’idea un po’ più precisa del personaggio Vittorio Leonardi — un uomo non facile, massone di una certa importanza, ex parlamentare molto noto a Milano, incline a esercitare il proprio potere — senza, com’era prevedibile, trovare alcun elemento a sostegno dell’ipotesi investigativa:
“In presenza di un fatto delittuoso il ragionamento indiziario implica decifrare orme, segni e indizi per raffigurarsi, a ritroso, cosa — e chi — può averli generati. Implica ricostruire una storia plausibile che spieghi quelle tracce, per poi andare alla ricerca delle prove che la confermino al di là di ogni ragionevole dubbio. La premessa di tutto, però, è appunto l’esistenza di un fatto delittuoso, che nel caso della morte di Leonardi, semplicemente, mancava”.
Ciò che spinge Penelope a perseverare, a non dare ascolto alla voce interiore che le consiglia di lasciar perdere, è l’aspetto più personale della vicenda:
“Volevo la conferma che il disastro combinato con la mia ultima indagine ufficiale non dipendeva da una fantasia investigativa, ma prendeva spunto da una congettura plausibile su un fenomeno grave. Che se avevo distrutto la mia carriera e rovinato la mia vita era stato per qualcosa che esisteva nel mondo reale e non solo nella mia immaginazione sovraeccitata”.
Sa bene che spesso, dopo aver parlato con tante persone, le informazioni acquisite, per lo più inutili, si accatastano le une sulle altre senza portare da nessuna parte. Almeno fino a quando — per caso, fortuna, bravura o cocciutaggine — qualcosa si accorda inopinatamente con qualcos’altro. Fino a quando tutto il materiale volatile che si è raccolto si condensa in un nucleo visibile e comprensibile.
Rancore non è, non vuole essere, un giallo di maniera, la ricerca pedissequa dell’omicida, sempre che esista, anche se le indagini vengono condotte come da manuale. È qualcosa di più. Da una parte, può essere considerato un quadro antropologico-sociale che assume i contorni di denuncia di alcuni meccanismi di potere dell’Italia contemporanea — in quella che è la dolorosa ricostruzione dell’ultima indagine di Penelope, avvenuta cinque anni prima, e dei legami con la massoneria —, dall’altra, l’acuta analisi delle conseguenze di un sentimento che viene definito dalla protagonista “sottovalutato”, il rancore: un ricordo, segnato dall’amarezza e dall’aggressività, che si conserva a lungo dopo un’offesa, e che è accompagnato da un forte desiderio di vendetta.
Caratterizzata da contraddizioni ed eccessi, ma anche da una nuova e positiva presa di coscienza, la psicologia di Penelope — nei cui meandri lei stessa ci accompagna con una narrazione in prima persona e attraverso teorie, divagazioni consapevoli, riflessioni, impulsi, turbamenti e oscillazioni fra serietà e ironia — diventa il vero fulcro del libro e del suo intreccio a duplice trama.
Il fatto di essere riuscita a raccontare la sua storia a qualcuno che l’ha ascoltata senza intervenire, né tanto meno fare commenti, la fa sentire come se…
“…per la prima volta — dopo un numero infinito di soliloqui — avessi appreso da me medesima la verità su quella vicenda”.
Ci sono romanzi che scorrono come fiumi in piena: la ricerca ossessiva e incalzante del colpevole trascina il lettore in un vortice di tensione, sospetti e colpi di scena, spesso prevedibili e familiari.
In quest’ottica, il nuovo romanzo di Gianrico Carofiglio è invece un lago profondo e oscuro, le cui acque, apparentemente tranquille in superficie, producono trasparenze, giochi di luce e ombre che calamitano l’attenzione di chi legge.
Una volta cominciato il libro, è difficile staccarsene, proprio perché la mancanza di nuovi indizi significativi sembra condurre l’indagine a un nulla di fatto, suscitando un’attesa crescente per quello che sarà l’epilogo.
L’effetto ultimo è senz’altro esemplare e fa di Rancore un’opera originale, dallo stile solido ed efficace, che non può nascere se non da una profonda consapevolezza dei temi coi quali l’autore si è confrontato.
Rancore
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