

A spasso nel Teatro di Domenico Triggiani. Opere in lingua e in dialetto barese
- Autore: Nicola Triggiani e Rosa Lettini (a cura di)
- Genere: Arte, Teatro e Spettacolo
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2025
Molti concordano nel descriverlo come schivo e riservato, meticoloso sul lavoro, lontano da qualsiasi ribalta. È vero, ho avuto la fortuna di conoscere il “commendator Triggiani” nell’esercizio delle sue funzioni di responsabilità presso la Presidenza della Regione Puglia. Lo ricordo dedito, impegnato, ma sempre amabile e sereno, mai una parola fuori posto, mai una di troppo. Quelle e qualche scivolata in un linguaggio colorito popolare con licenza teatrale di offendere, le riservava ai suoi personaggi. Da tempo le commedie e gli scritti attendevano d’essere raccolti e proposti: hanno provveduto la moglie Rosa Lettini e il figlio Nicola Triggiani, curatori di A spasso nel Teatro di Domenico Triggiani. Opere in lingua e in dialetto barese. Sono tre volumi indivisibili, un’opera di rilievo con le 938 pagine complessive, che attendeva d’essere pubblicata ed è uscita nel 2025, a un anno dalla scomparsa dell’attrice e scrittrice barese. È stata “galeotta” la sinergia culturale tra l’editore barese Nicola Cacucci e il Consiglio regionale pugliese, che ha proposto il trittico nella propria linea editoriale “Leggi la Puglia”.
Un omaggio dovuto, dalla sua Bari e dalla sua Regione, al commediografo, drammaturgo, operatore e organizzatore culturale. Anche poeta vernacolare, il meno appariscente, il più discreto di tutti, che si eleva qualche spanna oltre tanti tra i protagonisti scomparsi del pensiero in città, a mio avviso.
Domenico Triggiani era un uomo caldo di testa e di cuore, sensibile e paterno, quanto di più lontano da un intellettuale atteggiato o alternativo. Disertava i salotti culturali e gli studi televisivi, come conferma uno dei prefatori, il giornalista e scrittore Vittorio Polito, suo collega nella valorizzazione della “baresità”. Sembrava a disagio davanti ai microfoni, aggiungo, quanto a suo agio invece sui tasti della fidata Lettera 22, la macchina da scrivere Olivetti delle grandi penne del Novecento.
Aveva 25 anni nel 1954, quando risultò vincitore di un importante premio nazionale, il Gastaldi, con la prima commedia, Papà, a tutti i costi. Eppure non ha esercitato il suo impegno creativo solo nel teatro, fa presente il giornalista e critico dello spettacolo Egidio Pani. Ha fondato e diretto riviste, firmato saggi e opere di critica teatrale, condotto inchieste di costume, curato collane editoriali e organizzato premi letterari. Negli anni Ottanta riscoprì la passione originaria, dedicandosi alle scene dialettali. Per Grazia Distaso, docente di letteratura nell’Università di Bari, Triggiani sentiva il teatro come impegno e insieme “divertissement, nel senso più alto”, come riflessione e insieme incanto naturale, come possibilità di incontro e di comunicazione attraverso la scrittura teatrale “che si fa rappresentazione”, spettacolo, scena.
Il figlio Nicola, ordinario di diritto processuale penale e insegnante nel Master in Giornalismo dell’Ordine e dell’Ateneo, premette che il papà (Bari, 1929 - 2005) è stato di volta in volta definito dalla critica personaggio cardine della cultura barese; intelligente ed efficace esponente della cultura letteraria del Mezzogiorno; il più importante scrittore barese del Dopoguerra; portabandiera della nostra meridionalità artistica; il più rappresentativo degli scrittori vernacolari baresi in campo nazionale; uno dei padri del dialetto barese; uno dei migliori cantori della città di Bari.
I tre testi sono un’edizione critica delle sue opere teatrali significative, in gran parte già edite, distinti in altrettante parti (Il teatro in lingua, Il teatro in dialetto barese, Recensioni e giudizi della stampa e della critica). Riuniscono in edizione integrale 22 lavori (9 in lingua, 13 in vernacolo), molti portati più volte in scena. Nell’anteprima, gli interventi critici di Vittorio Polito, Egidio Pani e Grazia Distaso ricostruiscono il suo percorso artistico e culturale.
Tra le commedie dialettali, No, u manecomie no! prende in giro i luminari clinici e il codazzo che li accompagna. Nel presentarla sulla stampa, la raccontavano come la storia di un poveraccio finito in ospedale non perché seriamente malato ma per ipocondria aggravata dal sospetto d’essere cornificato dalla moglie.
A rendere più divertente la commedia, contribuiscono le cervellotiche elucubrazioni pseudo scientifiche, una più astrusa dell’altra, di un sedicente ’professore’, del suo assistente, di una caposala e di una infermiera.
Con l’aggiunta del pressing di un prete, ansioso d’impartire al paziente l’estremo sacramento.
Nella raccolta di recensioni proposte nel terzo volume, mi ha colpito un testo del mio maestro nella professione, il giornalista, scrittore e critico letterario Gianni Custodero (Fasano 1936-Bari 2009), lui sì un vero “luminare” della scrittura. A suo dire, la satira di costume in No, il manicomio no! aveva preso la forma di una chiacchierata in famiglia nel linguaggio antico dei baresi autentici, magari rivoltato, riverniciato e “lustrato” per essere all’altezza dell’insigne dottor professor.
“Con indulgente casereccia ironia”, scriveva, Triggiani continua a raccontarci vizi e virtù della nostra avventura quotidiana, in un mondo di gente che “vende fumo e dà i numeri” e nel paese delle parole, dei grandi progetti, ma anche delle USL (le aziende sanitarie di allora). Si diceva certo che molti avrebbero ritrovato in questa proposta un brandello di vissuto.
Vittima, aguzzina e pallone gonfiato, con infermiera di contorno, sono figurine schizzate in punta di lapis, ma con l’aceto che ci vuole per rappresentare ritagli di giornata in cui c’è qualcuno che ci sembra di riconoscere.
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