Piccoli ciclopi e altri sogni
- Autore: Enrico Careri
- Genere: Raccolte di racconti
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Ad est dell’equatore
- Anno di pubblicazione: 2015
“Questi sogni sono inventati, non ne ho sognato neanche uno, né ho tratto ispirazione da quelli veri perché li dimentico.”
Con queste parole chiare Enrico Careri sintetizza il contenuto (onirico?) dei racconti, 50, brevi e brevissimi, che compongono Piccoli ciclopi e altri sogni, che ho letto tutto, senza saltare una riga, tanto la scrittura è intelligente, leggera, ironica, capace di coniugare un registro raffinato e colmo di citazioni e divertissement retorico-linguistici, con un altro che fa il verso alla lingua dei film di terz’ordine o dei rotocalchi popolari, espressioni volgari e parolacce incluse.
Ecco allora incontrare Apollo e Dafne, colti durante la metamorfosi di lei,che muterà anche il nome in Laura; le sette sirene, Plinio il giovane, Annibale che attraversa le Alpi, Pipino il breve, Paolina Bonaparte e Canova mentre la ritrae nel marmo (col celebre panneggio) insieme ai personaggi più celebri del mondo delle fiabe, Cenerentola, Cappuccetto rosso, Hansel e Gretel, non dimenticando il mondo disneyano di Qui, Quo, Qua, la Sirenetta…
La parte più divertente che l’autore riesce a costruire è certamente il contrasto stridente fra una cultura musicale e letteraria raffinata, quella dello scrittore e dei suoi lettori più smaliziati, e la paccottiglia che ci viene quotidianamente propinata dai media, di cui si costruisce una satira di straordinaria efficacia linguistica.
La fidanzata ideale è una moldava di nome Ludmila, che ricorre in molti dei racconti, anche lei fan del poeta (minore, insieme al Prati) Aleardo Aleardi, autore de Le ondine, una lirica mielosa che diventa un leitmotiv che Careri usa in modo ironico per rifare il verso ad una certa pedante critica letteraria troppo accademica; ecco allora lo scrittore cimentarsi in versi dalla irresistibile comicità:
“Siam sette sirenelle
tutte parecchio belle
ignude vi attendiam
in su l’arena“
“Ludmila io ti titillo
per tutto l’astigiano
da Bricco a Vaglieranno
da Settime a Vigliano”
La riscrittura della favole di Cenerentola e Cappuccetto Rosso sono impagabili: di questa diventa protagonista il lupo, denti affilati e sguardo gelido ma con un problema psicologico, è terribilmente ansioso e precede di molto Cappuccetto nel bosco, ma lei indugia nella doccia, esita nella scelta dell’abito da indossare per la visita alla nonna...
”ma lo sa benissimo che alla fine si mette la mantellina rossa col cappuccio, imbecille… e poi indugia nel bagno... a guardarsi allo specchio, magari a chiedergli chi è la più bella del reame, e sbaglia favola, deficiente”
La fiaba e il suo plot vengono totalmente stravolti, con effetto comico assicurato: il lupo ama la carne fresca di Cappuccetto, e detesta la nonna, “molliccia e flaccida, infatti la divoro in un sol boccone, senza masticarla”, in modo che il taglialegna la possa estrarre intatta, “senza una macchia di succo gastrico”.
La retorica del buonismo della favola subisce un effetto dissacrante che mostra come l’autore passi con disinvoltura attraverso i generi letterari più consolidati inserendovi note dissonanti: i calcagni delle sorellastre di Cenerentola, Deborah e Savannah (con l’acca finale) che portano il numero 46, dovrebbero essere mozzati per poter indossare la celebre minuscola scarpetta di cristallo; il Corsaro nero, che gioca a carte con Morgan viene raggiunto da Van Stiller e Carmaux (che nostalgia per la saga salgariana!) che gli raccontano dei suoi fratelli “appiccati”: il Corsaro Verde, il Blu, il Giallo, zafferano o cadmio?, Arancio pastello. Il Corsaro nero sta per fare la fine dei suoi fratelli, ma riesce a fuggire tuffandosi e mettendosi in salvo su una petroliera, accompagnato dal comandante visita la nave, viene assegnato alla cabina 416, sul comodino un dizionario “Zanichelli di flessioni, rime e anagrammi”. Già, perché i giochi linguistici sono l’altro filone che percorre tutto il libro: anagrammi, giochi di parole, parole sdrucciole, bisillabe, trisillabe, rime, enjambement, terzine, ottonari, Careri gioca con leggerezza con la lingua, alternando personaggi reali rivisitati (Garibaldi e le sue donne, oltre ad Anita, Ettore Scola mentre gira il celebre film con Gassmann e Manfredi, C’eravamo tanto amati) a personaggi dei fumetti (Tex Willer) e della letteratura alta (Don Chisciotte) o popolare (Zorro), a miti della contemporaneità (Big Jim, il giallo svedese, le signorine dei call center, i treni soppressi)
La forma di comicità che pervade le pagine del libro si coglie facendo attenzione alla combinazione delle parole, alla sistemazione delle sillabe, alla musica che spesso compare, senza imporsi, all’uso raffinato delle figure retoriche, alla presenza discreta di citazioni scientifiche, esilarante il racconto “Bernoulli”.
Uno degli ultimo racconti, “Il funerale”, sembra riassumere i precedenti: il morto guarda dal buco della sua bara la moglie Ludmila e i cari dieci bisillabi, i suoi figli (Lapo, Manlio, Pino, Ugo…), mentre la bella moglie viene insidiata dal prete celebrante: un pugno alla bara ed il morto risorge, divertendosi a comporre versi sdruccioli contro il fedifrago che viene decollato come l’affresco dell’omonimo San Giovanni...
“Guarda lo stolido
nero ecclesiastico,
guarda quel subdolo
prelato fetido
con quella tonaca
che sa di monaca
piena di forfora
unta di zenzero
le mani viscide
la pelle flaccida
le occhiate vivide
del depravato
la voce tremula
dell’effemminato:
non è un aereo
ma è decollato.”
Piccoli ciclopi e altri sogni
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