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Recensioni di libri

Per mano mia. Il Natale del commissario Ricciardi di Maurizio de Giovanni

Un delitto atroce ha visto sterminare una coppia a coltellate: lei, sulla porta di casa è stata sgozzata, lui pugnalato nel letto. Una nuova avventura del commissario Ricciardi, a Napoli nel 1931.

Elisabetta Bolondi
Elisabetta Bolondi Pubblicato il 07-06-2012

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Per mano mia. Il Natale del commissario Ricciardi

Per mano mia. Il Natale del commissario Ricciardi

  • Autore: Maurizio de Giovanni
  • Categoria: Narrativa Italiana
  • Casa editrice: Einaudi
  • Anno di pubblicazione: 2011

Scheda e prezzo libro:

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Che piacere leggere i libri di Maurizio de Giovanni.
Entriamo con lui nella Napoli del 1931, in pieno fascismo, e in particolare nella settimana gelida che precede il Natale.
Il genere giallo, nel caso dell’autore napoletano, appare piuttosto un pretesto: la parte più gradevole e interessante del libro sta soprattutto nella capacità di ricreare gli odori, i sapori, le atmosfere, i suoni, i lamenti, gli sberleffi, la violenza cieca, la miseria estrema, la disperazione, la solitudine che caratterizza questa città che è insieme inferno e paradiso, dolcezza e orrore, sangue e amore.

Un delitto atroce ha visto sterminare una coppia a coltellate: lei, sulla porta di casa è stata sgozzata, lui pugnalato nel letto; la loro figlia di nove anni, Benedetta, si è salvata, perché appena uscita di casa in compagnia della zia Veronica, un buffa suora che si prende cura della nipotina nel suo convento.

I sospetti del commissario Ricciardi e del suo fido aiutante, il grosso brigadiere Maione, si dirigono sui pescatori che, si scoprirà, venivano taglieggiati e ricattati da Garofalo, la vittima, un fascista di cui tutti desideravano la morte. Ma non è l’intreccio del delitto la cosa che più colpisce nella lettura del libro, quanto piuttosto la descrizione dei personaggi e l’ambientazione; nella settimana che precede il Natale il presepe fa da protagonista nelle case, ricche o povere, nei conventi e nelle chiese.

Anche nella casa del delitto c’è un presepe, ma la statuina di San Giuseppe, rotta, è stata nascosta sotto il tappeto: da chi? Ecco allora il gelido Ricciardi, che ascolta le ultime parole dei morti, incuriosirsi della funzione dei vari pupazzi del presepe.

Eccolo a San Gregorio Armeno, la strada dei figurai, o dal prete, per capire le simbologie che si celano da secoli nei diversi personaggi; eccolo alla prima, al Kursaal, di una nuova commedia di tre giovani fratelli, una lei brutta, un lui simpatico, il regista autore del testo e dal cattivo carattere.

Ricciardi ci va in compagnia di una donna fascinosa che si è innamorata di lui: Livia, una vedova ricca e potente, amica di Edda Ciano, sorvegliata dalla polizia segreta, ha messo gli occhi su di lui, che però pensa ad Enrica, la giovane demodé con cui si scambia sguardi appassionati dalla finestra. E poi c’è Maione, che ha perso il figlio maggiore, Luca, anche lui poliziotto, instancabile nelle indagini e negli appostamenti, pronto a servirsi anche di un confidente equivoco, Bambinella, un travestito che riecheggia il personaggio evocato dalla canzone famosa di Viviani, “Bemmenella ‘e coppe ‘e quartieri”.

Insomma, il pranzo di Natale, il capitone, le vongole veraci, la minestra maritata, i rococò, i susamielli, tutto ci riporta a quelle atmosfere magiche in cui anche la miseria più nera viene lenita dalla buona azione del samaritano di turno: il dottor Modo, antifascista, capace di salvare la vita del bambino morente in cambio di niente; Maione e sua moglie Lucia, capaci di perdonare e di aprire le braccia alla piccola orfanella; la vecchia tata Rosa, che per il “signorino” Ricciardi, che ama e che ha cresciuto, è pronta a vincere se stessa, convincendo la timida Enrica che Ricciardi non aspetta che lei.

Alla fine il delitto viene dipanato, il colpevole scoperto, ma resta nel cuore di chi legge la malinconia di una città che, temo, sia rimasta, nel bene e nel male, quella che De Giovanni ci racconta con tanta efficacia.

Colpisce la bravura dello scrittore nel ricostruire gli arredamenti, gli interni squallidi, le baracche dove bolle soltanto un broccolo dall’odore nauseabondo, la fame che si sente, ineliminabile, la miseria di bambini divenuti già vecchi, il brulicare della folla a San Gregorio, al porto, al mercato del pesce: un film neorealista non avrebbe fatto meglio!


© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Per mano mia. Il Natale del commissario Ricciardi

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Commenti: 1

  • Paola Ornati
    29 ottobre 2013, 12:04

    Questo Natale del commissario Ricciardi inaugura, ci avverte l’autore, un nuovo ciclo nelle indagini. Finora De Giovanni aveva composto una sinfonia di Napoli scandita dall’avvicendamento stagionale, ora, si passa dal generale al particolare; dal periodo, alla festa che lo caratterizza.
    Il tema è sempre lo stesso: l’amore, il “grande nemico” di Luigi Alfredo Ricciardi. Anche nella lotta con questo sentimento si ha una progressione dal generale al particolare: “Per mano mia” è il romanzo della vendetta, che si perpetra su più livelli, nelle storie di tutti i personaggi e con tutte le sfumature possibili.
    Stupendo l’intreccio cadenzato dalla novena che porta al Natale, al pranzo in famiglia: colori, urla, profumi e preparativi, di cibo e di spirito, che ricordano “La cena di Babette” della Blixen.
    Meraviglioso lo scenario: Napoli. Malinconica e viscerale come il dramma che ne eternizza il Natale, “Natale in casa Cupiello” (anche qui, guarda il caso, la vendetta serpeggia). Città stretta attorno alle sue tradizioni al gusto di pesce e al presepe.
    Ma cos’è il presepe?
    È una famiglia: un padre lavoratore, che è padre di tutti gli uomini, più e meno onesti, di chi lo aiuta, di chi gli minaccia il figlio e di chi uccide quel figlio amato; una madre sempre pronta a perdonare, un’anima che rinuncia alla felicità per la serenità dell’umanità; infine, un figlio, che sulla vendetta getta la coltre del perdono, che alla sofferenza oppone un candido sorriso.
    Tutto il resto, la schiera dei vivi e quella dei morti, è il presepe: con le mani scartiamo i personaggi e li riponiamo a festa finita, di anno in anno; con i polpastrelli togliamo la polvere dai visi delle statuine; a mano costruiamo gli scenari, sistemiamo il muschio, spargiamo la ghiaia, plasmiamo la cartapesta. Finito il lavoro, le nostre mani hanno l’odore e il colore del passato.
    Perché alla fine il Natale, il presepe, come la vita, ce lo costruiamo pezzo a pezzo per mano nostra.

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