Nanni Moretti. Il cinema come cura
- Autore: Roberto Lasagna
- Genere: Arte, Teatro e Spettacolo
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Mimesis
- Anno di pubblicazione: 2021
Qual è lo scarto che passa tra passato e presente? Tra il cinema della dismisura dell’alter ego Michele Apicella, e quello di Nanni Moretti, da Caro Diario in poi? Ho ultimato la lettura del saggio di Roberto Lasagna Nanni Moretti. Il cinema come cura (Mimesis, 2021) e mi soffermo piuttosto sui punti di contatto: convengo con l’autore che individua nella parzialità la cifra caratteristica e continuativa del cinema di Moretti.
Durante una sequenza del film documentario Santiago, Italia, è lui stesso che lo dice a un irritante burocrate della tortura al soldo di Pinochet. “Io non sono imparziale” dice, laddove Michele Apicella lo avrebbe invece urlato. Traducendo in parole povere: immutata adesione civica con meno nevrosi. Quello che il "doppio" Apicella – studente irrisolto-regista nevrotico-professore compulsivo-deputato senza memoria, e persino succedaneo di sacerdote in crisi, nel Don Giulio di La messa è finita – esprimeva con veemenza verbale, Nanni Moretti oggi lo esprime con la linearità che spesso sfuggiva al suo “doppio” cinematografico.
Resta il fatto che ancor prima del cambio di toni, il cinema di Nanni Moretti rappresenta pur sempre una riuscita tautologia. Solo Nanni Moretti fa film come Nanni Moretti: già il suo personaggio-monografico che ne attraversa i primi sei film (Michele Apicella, per appunto), incarna il corpo attoriale del cinema assoluto e senza mezze misure morettiano, capace di pietas o di ferocia. Tertium non datur. Un cinema irriverente, capace di stigmatizzare le nevrosi di una generazione che fatica a ritrovarsi (Io sono un autarchico, Ecce Bombo). Il cinema sui sogni d’oro e gli esiti di stagno del cinema italiano (Sogni d’oro). Il cinema inindulgente sulle discrasie di coppia (Bianca) e i naufragi sociali-familiari (La messa è finita). Il cinema della crisi interiore e della crisi politica (Palombella rossa). Se c’è un’altra cosa che accomuna il radicalismo dei film con Apicella a quelli più misurati dell’ultimo e penultimo Moretti (Aprile, La stanza del figlio, Il caimano, Abemus papam Mia madre) è il senso di solitudine immanente al vissuto del protagonista. Anche in questo Nanni Moretti è rimasto identico a se stesso. Il protagonista dei suoi film (quasi sempre Moretti in persona) è un uomo ontologicamente, concettualmente, solo. Per rigore. Per distanza sentimentale. Per divergenza di vedute. Alle prese con idiosincrasie personali e degenerazioni sociali-relazionali. Voce di colui che grida nel deserto, verrebbe da scrivere guardando alla malastagione dei tempi che corrono e scomodare il profeta.
Per rifarmi a quanto scrive Roberto Lasagna, all’inizio del libro:
“Curarsi con il cinema, seguendo un autore che ci parla di insofferenze e di punti di vista sulle relazioni; un autore mai imparziale, che ci invita a mettere in discussione i nostri schemi mentali anche quando sembra volerci far soprattutto sorridere. Il suo cinema ci dice di noi in molti modi, ridesta il nostro bisogno di reagire, di essere osservatori attivi del nostro tempo. Curarsi per riprendere, con il cinema, un discorso magari interrotto tra le intemperie delle vicende storiche ed esistenziali, portando alla luce grazie all’esperienza trasformativa che il linguaggio dei film favorisce e riflette. Motivati da una tensione interiore, quella comune a Nanni Moretti, la cui passione civile e il cui attivismo politico sono espressione di una partecipazione intensa, sentita (…) nel percorso di Moretti è possibile rivedersi, cambiati, segnati dal tempo, immutati e diversi, feriti ma ancora vigili e non piegati. Un atteggiamento che è autenticamente schietto, sin dalle intemperanze dei primi lungometraggi, dove l’autore trova lo slancio per offrire la coerenza di chi evita costantemente qualunque posa che lo renderebbe conciliante o simpatico”.
Il cinema di Nanni Moretti è dunque un cinema strutturato per analisi e autoanalisi, intimo e collettivo al contempo. E le disamine luminose di tutti i suoi film (compreso Tre piani, di imminente uscita) su cui indugia l’autore in questo saggio ne riprovano la caratura disalienante. Dal dover essere tragicomico di Michele Apicella fino all’impegno più maturo del Moretti attuale, un autore comunque coerente, persino profetico nella capacità di individuare la crisi, e raccontarla senza infingimenti (la crisi personale del papa neoeletto in Habemus papam, e quella sociale in Il caimano). Un merito ulteriore va ascritto a questo libro: è privo di supponenza accademica. Il fatto che si legga facilmente, agevola non pochi spunti di riflessione.
Nanni Moretti. Il cinema come cura
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