La solitudine dei numeri primi
- Autore: Paolo Giordano
- Categoria: Narrativa Italiana
La solitudine dei numeri primi di Paolo Giordano è il Libro vincitore del Premio Strega 2008
Per il suo primo romanzo il giovanissimo Paolo Giordano, venticinquenne, laureato in fisica, ambienta a Torino tra gli anni ’80 e i giorni nostri la storia parallela di due bambini-adolescenti-giovani adulti, Mattia e Alice, uniti da una tragedia avvenuta nelle loro rispettive esistenze all’età di sette anni, e che li segnerà in modo definitivo per il resto del loro difficile percorso di vita. Mattia e Alice sono come i numeri primi gemelli, 11 e 13 ad esempio, vicini ma separati da un altro numero che impedisce loro di sfiorarsi. L’autore usa un linguaggio molto sorvegliato, senza indulgere alla retorica o al sentimentalismo, per raccontarci le varie, dolorose fasi del dolore e della solitudine che pervade l’intera esistenza dei due protagonisti, prigionieri di nevrosi incurabili, destinati a restarne soffocati. Malgrado la spietatezza di certe pagine, la freddezza nel descrivere l’incapacità di vivere l’amore, l’amicizia, i rapporti familiari, questo bel libro ci dice molto sul dramma nascosto di tanti giovani afasici, anoressici, depressi. Una chiave di lettura sorprendente, per profondità di analisi e capacità descrittiva.
Recensione di Elisabetta Bolondi
Storie di bimbi e di infanzie segnate, questo potrebbe essere il sottotitolo all’opera di Paolo Giordano: “La solitudine dei numeri primi”. L’autore rende in due soli capitoli - quelli iniziali - l’idea del mondo infantile, di quell’universo dove ogni cosa diversa dalla normalità viene esasperata, e si distende a macchia d’olio sul tuo futuro. Quel mondo che può aprirti una vita magica o rendere angosciante ogni tuo singolo passo. Come le vite di Alice e Mattia.
“Mattia pensava che lui e Alice erano così, due primi gemelli, soli e perduti, vicini ma mai abbastanza per sfiorarsi davvero.”
Questi due personaggi tanto diversi e lontani tra loro, inconsapevolmente si incontreranno ma mai uniranno, come l’11 e il 13, numeri primi che stanno vicini ma che non potranno mai toccarsi a causa del numero pari tra loro. Alice, che accetta sottomessa la volontà del padre di sciare, malgrado odi farlo; e Mattia che arriva persino ad odiare la gemellina ritardata a causa del senso di disagio che gli creano i compagnetti.
“La solitudine dei numeri primi” è un libro che si legge tutto d’un fiato. E’ la vicenda dolorosa di Michela e di Mattia: ritardata la prima ed estremamente intelligente il secondo; due gemelli, tanto uguali nell’aspetto e così diversi nel cervello. E’ il dramma di Mattia, del bambino che per non essere diverso agli altri, per avere un attimo di vita normale, lascia da sola nel parco la gemellina ritardata, troppo tardi per capire che non la rivedrà più. Un attimo, un solo istante che gli cambierà la vita: per sempre. Da allora l’auto inflizione del dolore, renderà vivo il personaggio. Nel descrivere il percorso di crescita dei protagonisti l’autore affronta difficili tematiche: l’incubo dell’anoressia che travolge la vita di Adele diventandone una costante. L’anoressia che diventa la negazione della vita, la negazione dell’esistenza, di quel fardello troppo grande da portare, di una vita trascorsa a far piacere agli altri che culmina nella totale voglia di annientarsi per non recitare più quel ruolo. Importanti sono anche le figure che fanno da corollario a Mattia ed Alice. La figura di Fabio, il marito di Alice, impotente di fronte alla distruzione della moglie, quell’uomo fragile che desidera fortemente un figlio dalla sua donna che però ha perso l’identità, che vuole essere salvata ma non riesce a chiedergli aiuto e quando lui decide di andare via lei crolla verso l’autodistruzione. Ma è proprio allora, vedendo l’immagine di Michela, che Alice reagisce. Succede così all’improvviso, un’immagine, un suono e qualcosa scatta. Nasce una forza inaspettata che ti spinge a lottare ancora per quel piccolo io che ancora esiste. Ti da un senso, un piccolo insignificante significato, senti improvvisamente il freddo e poi il caldo, improvvisamente ti senti di nuovo viva. La figura dei genitori, costanti presenze di vite segnate. La mancanza di dialoghi, la mancanza di comunicazione. Genitori che hanno dimenticato la loro fanciullezza, che non ascoltano, che sentenziano e impongono, che feriscono. Le amicizie, tutte troppo fittizie, che crescono come reti e cambiano durante il proprio percorso di vita. Il diverso viene esplorato a 360 in questa prima opera – e già vincitrice del premio strega – con l’inserimento di Denis il gay. Il ragazzo perdutamente innamorato di Mattia, che darà un senso alla sua vita solo lontano dai suoi affetti e da una società troppo etichettatrice.
“chiuse gli occhi e poi sentì la bocca calda di Alice sopra la sua, le sue lacrime sulle guance...e infine le mani, che gli tenevano ferma la testa e riafferravano i suoi pensieri imprigionandoli tutti li, nello spazio che ora mancava tra di loro”
Recensione di Angela Failla, scrittrice
La solitudine dei numeri primi
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Spulciando fra vari altri commenti conclusivi di recensioni pubblicate in rete da milioni di lettori, si può facilmente constatare che sono due i punti del romanzo di Giordano, giudicati carenti e mediocri. Il primo riguarda il linguaggio ed il registro adottato nella stesura dello stesso. Il fisico torinese non è infatti appoggiato dalla critica poiché molti lettori ritengono la sintassi del suo scritto eccessivamente semplice ed il lessico poco ricercato. Tralasciando le valutazioni negative che fan riferimento all’aspetto grammaticale del testo, piovono pareri non di certo confortanti anche in merito alla struttura interiore della narrazione : la trama. Il disegno dell’opera è definito mediocre, senza spessore, piatto. Un perfetto conducente di noia e angoscia dato che, malgrado sia presente un titolo promettente ed un’idea di base accattivante, al romanzo sembra mancare un’anima o lo sviluppo più adatto per il concetto di base stesso. I lettori cercano azione, colpi di scena, incidenti di percorso, e vivendo l’intera lettura con il fiato sul collo a metà fra la suspense e la monotonia che la narrazione trasmette, appare logico restino delusi ed amareggiati nel constatare che il lampo di colore che tanto hanno atteso non arriverà mai.
Personalmente, voglio dissociarmi da ogni tipo di critica positiva o negativa che sia, per costruire con cognizione di causa il mio individuale giudizio. Ho impiegato circa due settimane nella lettura del libro premettendo che, non sono un grande amante della lettura. Tuttavia, giungendo a conclusione del romanzo di Giordano ho potuto individuare molti punti davvero interessanti su cui esporre la mia opinione. Partiamo dal linguaggio e dal registro utilizzato dal fisico torinese, che ricordiamo, si affaccia per la prima volta al mondo della letteratura italiana. Elementare ma efficace nella prima parte di narrazione, il registro di media fascia ed il linguaggio sicuramente poco forbito utilizzato dal giovane autore, è secondo me adeguato ed assolutamente opportuno al tipo di situazione che egli si trova a descrivere. Gli episodi dei primi due capitoli infatti (specie il primo) sono abbastanza forti da un punto di vista emotivo, e comunque sia, riescono ad innescare il sentimento d’empatia nel lettore, che quindi riesce ad immergersi fra le righe del testo. La situazione che Giordano si trova quindi a dover narrare, è inequivocabile, qualcosa di diretto, da comunicare con termini precisi, perciò difficile da esaminare sotto un punto di vista differente e quindi rielaborare con una scelta di vocaboli decisamente più elegante. Nella parte iniziale della mia recensione, (vedi sezione “Riassunto”) mi son trovato nella situazione di dover descrivere in qualche modo ciò capitava ad Alice in pista ogni mattina ed in particolare poi, l’infelice episodio di cui ella è successivamente protagonista. Bene, potrò dirvi che è stato veramente arduo esprimere il concetto che era ben chiaro e fisso nella mia mente con un registro stilisticamente più elevato rispetto a quello utilizzato da Giordano. Arduo, ma non impossibile, tuttavia adeguato ad una recensione che nei suoi tratti iniziali è abbastanza oggettiva, ma assolutamente poco efficace se stessimo parlando di un libro, specie un libro comunicativo come lo è quello da me esaminato. Sono dell’idea che la scelta di Giordano di utilizzare le espressioni “..se la fece addosso. Non la pipì. Non solo. Alice si..” non sia delle più eleganti ma è probabilmente la decisione linguistica più adatta che egli potesse adottare per arrivare dritto alla sensibilità del lettore e per far capire, senza possibilità d’equivoco, ciò che lui realmente vuole esprimere. Un’ultima considerazione per concludere. Sempre dal punto di vista del linguaggio, con lo scorrere dei vari capitoli, si può notare una notevole evoluzione di questo stesso. Si passa infatti, ad una scelta di lemmi ben più accurata, specie nei monologhi o nei flussi di coscienza dei personaggi e, a mio modo di vedere, nelle descrizioni che secondo il mio parere, rappresentano stilisticamente il punto di forza e il fiore all’occhiello del romanzo. Terminate le considerazioni su questo punto di vista, il mio giudizio adesso volge sull’altro punto di aspre critiche. Innovazione, secondo il mio parere, il romanzo piatto e senza colpi di scena di Giordano porta innovazione nel mondo della lettura. Innovazione che deriva da una controtendenza, perché il fisico e letterato torinese scardina completamente il lettore proponendo lui una narrazione inconsueta, priva di un palese “colpo di scena”. Controtendenza perché? Viviamo in un mondo dominato dalla frenesia e dall’obbiettivo costante di non perdere e non smettere mai di seminare il nostro tempo in qualcosa, anche qualcosa di estremamente futile, e ciò è la diretta conseguenza della paura del trascorrere del tempo stesso. Tutto ciò ha parecchi risvolti, ma uno dei più insabbiati e poco presi in considerazione è che, ogni uomo preda di ansie e agitazioni, non ha momento per conoscere se stesso. Siamo quindi persone che conoscono il proprio ego solo marginalmente, quasi incapaci di riuscire ad addentrarci nelle mere profondità del nostro inconscio. “La solitudine dei numeri primi” è una novità proprio secondo questo principio, perché riesce con estrema perspicacia a giocare sugli aspetti inquietanti del nostro animo, esortandoci quasi, ad una approfondita e corretta introspezione di noi stessi, attraverso le traumatiche esperienze dei due protagonisti. L’opera di Giordano rappresenta inoltre un’intrigante rivoluzione proprio dal punto di vista della trama. Lo schema, l’animo, il disegno del romanzo è abbastanza contorto, ma non fa altro che snodarsi proponendo le storie di due ragazzi che appaiono crogiolarsi nei propri dolori. La lettura infonde un apparente senso di quiete che rimanendo inalterato per un tempo abbastanza lungo, finisce per creare noia e angoscia. Il lettore attento però, potrà capire che in realtà, sotto i suoi occhi si sta scatenando un caos calmo che si rispecchia pienamente negli animi inquieti dei due protagonisti principali. Il romanzo quindi, va interpretato sotto una chiave sentimentale più profonda del solito. Non è una storia, un’opera che ha lo scopo di farci saltare della poltrona, o che stuzzica i nostri sensi, piuttosto la narrazione di Giordano ha la finalità di smuovere qualcosa di più profondo al nostro interno. Ultimo appunto va fatto sui personaggi. Indubbiamente, il protagonista meglio riuscito è Mattia. La creatura più imponente e affascinante nata dalla penna di Giordano. Psicologicamente impenetrabile, fa della sua mente “matematica” una fortezza labirintica inespugnabile. E’, a mio modo di vedere, più coraggioso e detiene una personalità nettamente più solida (tuttavia totalmente annullata dal riemergere continuo del suo doloroso passato) rispetto all’altra protagonista Alice, inetta ed incapace di esprimersi come vorrebbe. Altri due personaggi secondari eppur intriganti sono Denis e Marcello Crozza. Al secondo vanno i miei complimenti per essere forse il miglior “personaggio” del romanzo. Un uomo vissuto e che cerca in ogni modo di far vivere Alice, tentando delle volte vanamente di farle seguire il suo istinto. Denis invece, rispecchia il modo in cui Giordano affronta un nuovo argomento scottante, quello dell’omosessualità. Pur adottando una presa diretta anche su questa tematica Giordano la sviluppa con rispetto e senza sbilanciarsi a giudizi personali celati fra le righe del testo.
In conclusione, “La solitudine dei numeri primi”, non è un libro “per tutte le età”. Non perché abbia dei contenuti non adatti a persone non rientranti in una certa fascia anagrafica, bensì perché per essere ben compreso richiede una maturità interiore molto alta se non superiore alla norma. Sento di consigliarne assolutamente la lettura, poiché specie nelle descrizioni, le tecniche narrative di ciascuno potrebbero risentirne positivamente e, aldilà di questo, perché rappresenta un ottimo spunto di riflessione per ogni adolescente e per chiunque si trovi a dover comprendere qualcosa in più del mondo adolescenziale.
Giordano, buona la prima.
Recensioni 1
Il mio libro preferito : La solitudine dei numeri primi di P.Giordano
Mattia ed Alice sono i due protagonisti di questo bellissimo libro.
La storia gira intorno alle loro vite fatte di avventure, paure e sbagli.
Il lettore segue i due ragazzi da quando son bambini fino a diventare adulti,in questa loro strada che viaggia parallela ma non si unisce mai...