La prigione
- Autore: Georges Simenon
- Genere: Gialli, Noir, Thriller
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Adelphi
- Anno di pubblicazione: 2024
Adelphi riedita La prigione (2024, titolo originale La Prison, traduzione di Simona Mambrini) di Georges Simenon (Liegi 1903 - Losanna 1989), terminato di scrivere dal celebre autore belga a Épalinges, nel cantone di Vaud, verso la fine del 1967, stampato nel 1968 da Presses de la Cité e pubblicato per la prima volta in Italia da Mondadori nel febbraio del 1969, tradotto da Elena Cantini.
“Ho sempre detestato mia sorella”.
Con questa gelida frase, davanti al giudice che la stava interrogando, Jacqueline, giornalista freelance, aveva motivato l’assassinio della sorella minore Adrienne con un colpo di pistola. Il gesto, aveva cambiato in un attimo non solo l’esistenza di Jacqueline, ma anche quella di suo marito Alain Poitaud, giovane direttore a Parigi di un settimanale di enorme successo, “Toi”, che amava fare il capobranco della sua corte di amici.
Alain era un uomo arrivato che guadagnava soldi a palate, un pied-à-terre a Parigi, una abitazione in campagna: “Les Nonnettes” a Saint-Illiers-la-Ville, nella foresta di Rosny, dove viveva il figlioletto di 5 anni con la tata, una vita apparentemente perfetta. Poitaud tradiva sua moglie con regolarità:
(“Ogni volta che se ne presenta l’occasione e che ne vale la pena…”).
Forse Micetta, come Alain affettuosamente chiamava sua moglie, aveva scoperto che aveva avuto una relazione settennale con Adrienne, sposata con un alto funzionario dal quale aveva avuto due figli, terminata quasi un anno prima? Micetta era sempre stata un po’ stramba, con quella sua aria da gattina, sempre accondiscendente e discreta. In questo mondo improvvisamente capovolto, Alain Poitaud, trentadue anni, aveva impiegato poche ore, forse pochi minuti, per cessare di essere l’uomo che era stato fino a quel momento e diventare un altro.
Tutto era iniziato il 18 ottobre, a Parigi pioveva così fitto e le raffiche erano così forti che i tergicristalli non servivano a niente, se non a offuscare ancor più la luce dei lampioni. Alain, chino sul volante della sua auto avanzava adagio svoltando in rue Fortuny, dove abitava, una via corta, costeggiata da palazzi signorili. Per fortuna l’uomo aveva trovato parcheggio quasi di fronte a casa e mentre richiudeva la portiera aveva alzato automaticamente la testa per vedere se l’ultimo piano era illuminato.
Era un gesto talmente istintivo che non avrebbe saputo dire se le luci erano accese oppure no. Del resto Poitaud stava già avanzando sotto il temporale che gli schiaffava acqua gelida in faccia e sui vestiti e spinse il portone di ferro battuto con il vetro smerigliato. Un uomo impalato sulla soglia, come per proteggersi dalla pioggia, era entrato subito dopo di lui e si presenta:
“Ispettore Noble, della Polizia giudiziaria”.
In questo folgorante romanzo breve, ormai introvabile e edito nuovamente dopo molti anni, Simenon mostra al lettore la parabola di un uomo che credeva di avere solo certezze; invece il dramma della gelosia, scatenato da un colpo di pistola, lo porta a interrogarsi su sé stesso. Lui era Alain Poitaud, che diamine!
Tutta Parigi lo conosceva. Era il direttore di una delle riviste più lette in Francia e stava per lanciarne un’altra, inoltre, da sei mesi a quella parte produceva dischi di cui parlavano ogni giorno alla radio.
Il finale sorprendente porta il lettore a domandarsi se le sbarre della prigione di Micetta siano più robuste di quelle della prigione esistenziale di Alain Poitaud e di tutti coloro che lo avevano imprigionato.
Un gran lavoraccio. Un lavoro che in genere si fa una volta sola nella vita. Era sceso nel profondo di se stesso. Aveva grattato la superficie, messo a nudo la carne viva fino a sanguinare. Adesso era finita. Non sanguinava più. Ma non potevano pretendere da lui che tornasse a essere lo stesso uomo.
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