L’angioletto
- Autore: Georges Simenon
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Adelphi
- Anno di pubblicazione: 2013
“Aveva quattro o cinque anni quando il mondo cominciò a vivere intorno a lui, quando prese coscienza di assistere a una scena, i cui protagonisti erano esseri umani che lui era capace di distinguere gli uni dagli altri, di situare nello spazio, in una cornice ben definita."
Nella Parigi della fine del XIX Secolo, il mondo di Louis Cuchas era rappresentato da due stanze (camera e cucina) nelle quali il piccolo viveva insieme a sua madre e ai suoi cinque fratelli. Un lenzuolo bucato che fungeva da tramezzo dotato di anelli di ottone divideva l’altissimo letto di noce con due materassi, una trapunta e un enorme piumino, dai pagliericci nei quali dormivano i figli di Gabrielle Heurteau, Cuchas da ragazza, una donna allegra che faceva la venditrice ambulante. C’era stato un capofamiglia in casa, un certo Lambert Heurteau che non era il padre di tutti i sei i fratelli ma era scomparso presto dal misero appartamento di rue Mouffetard, una strada in cui la preoccupazione quotidiana consisteva nel procurarsi da mangiare. A dividersi quei pagliericci disposti l’uno accanto all’altro sul pavimento che emanavano un sentore di fieno ammuffito: Vladimir, Alice, Olivier e Guy, i gemelli rossi malpelo, Louis l’angioletto di casa, i quali respiravano la stessa aria insieme alla sorellina di sei mesi Emilie che dormiva nella culla di ferro laccato, che a turno era servita a tutti loro. Spesso Louis nel buio della notte ascoltava quel suono familiare fatto di ansimi inframmezzati a gemiti e il cigolio delle molle proveniente dal letto. In quel giaciglio Gabrielle dormiva spesso con qualcuno per poi alzarsi prima dell’alba per dirigersi con la carretta in mano alle Halles per rifornirsi di verdura e frutta.
“Erano tutti diversi in famiglia, è vero che vivevano sotto lo stesso tetto, mangiavano quasi sempre insieme, dormivano fianco a fianco ma per il resto avevano poco in comune."
Vladimir era bruno, con un ciuffo ribelle che gli ricadeva su un occhio, i gemelli avevano i capelli rossi, Alice era bionda e di aspetto fragile, Emilie stava imparando a camminare. E lui, Louis? Il bambino era felice, possedeva un sorriso sereno, dolce, privo di ironia e di cattiveria, passava di scoperta in scoperta ma non si sforzava di capire, era appagato anche solo contemplando una mosca sul muro di gesso o le gocce di pioggia che scivolavano sul vetro. Louis lo faceva per se stesso, “per rinnovare la meraviglia” per completare la sua collezione di immagini esaltanti. “Era come se avesse voluto circoscrivere il mondo in uno spazio il più limitato possibile." L’universo di Louis era composto dalle mura domestiche (la stufa, l’acquaio, il letto di noce) dal cortile dell’edificio, dalla visione della madre che vendeva le verdure lungo la strada e dall’osservazione della vita dignitosa dei vicini di casa.
“Non voleva andare all’asilo né tanto meno a scuola non perché si fosse rifiutato di imparare, ma perché non concepiva l’idea di essere strappato a quello che considerava il suo mondo e nel quale si sentiva al sicuro.”
Il ragazzino cresceva, a scuola si applicava senza ardore e senza entusiasmo, i suoi compagni di scuola gli avevano affibbiato il nomignolo di angioletto, perché era di indole rispettosa, cortese e non reagiva ai loro soprusi e angherie. “Non gli piaceva che si occupassero di lui, che gli facessero domande, che lo strappassero ai pensieri del momento” infatti, nella sua infanzia si erano alternati periodi di scoperte, di intensa attività a periodi di sopore dei quali non serbava alcun ricordo.
“Per la prima volta in vita mia sono riuscito a scrivere un romanzo il cui protagonista è assolutamente sereno, a diretto contatto con la natura e con ciò che lo circonda.”
Con queste parole Georges Simenon aveva commentato la pubblicazione nel 1965 di uno dei suoi libri prediletti, la cui edizione aveva rappresentato la fine di un periodo drammatico. L’angioletto (titolo originale del volume Le Petit Saint) redatto dall’autore belga a Epalinges, in Svizzera nell’ottobre del 1964 finora era uscito solo in una raccolta. Ora la casa editrice Adelphi, che da anni sta ripubblicando tutte le opere di Simenon, lo ripropone con la bella traduzione di Marina Di Leto. La splendida cover, La piccola lavandaia (1896) di Pierre Bonnard, di straordinaria finezza ci introduce nella lettura di un romanzo nel quale l’autore come un artista di matrice impressionista dipinge l’interno di una povera abitazione con pennellate fatte di pochi ma essenziali aggettivi.
“La carta da parati che una volta rivestiva i muri della camera era ormai ridotta a brandelli; e tuttavia lasciava ancora intravedere alcuni personaggi abbigliati come ai tempi dei re.”
Indimenticabile la storia di Louis Cuchas, il cui sguardo da innocente ma acuto osservatore sarà fondamentale per la sua professione futura.
“Certe parole, certe intonazioni gli si imprimevano nella memoria, senza che lui tentasse di metterle in ordine, di collegarle tra loro, di comprenderle.”
L'angioletto
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forse uno dei libri più belli di simenon
la capacità di creare un mondo fantastico ma reale in meno di duecento pagine è stupefacente
per me è uno scrittore grandissimo che riesce a far apparire semplice quello che è molo complesso: esprimere con poche parole la complessità dell’animo umano. Louis Cuchas è un personaggio indimentaicabile. metto questo libro allo stesso livello di "lettera a mia madre" e "lettera al mio giudice" due capolavori indiscussi