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Recensioni di libri

La morte in mano di Ottessa Moshfegh

Feltrinelli 2020 - Non è propriamente un giallo, né un libro horror: è la storia, incentrata sulla solitudine e sulla malvagità dell’essere umano, di una donna settantanovenne, che cambia casa e abitudini e luoghi già visti perché trova l’occasione di una villa vicina a un lago.

Vincenzo Mazzaccaro
Vincenzo Mazzaccaro Pubblicato il 21-07-2021
La morte in mano

La morte in mano

  • Autore: Ottessa Moshfegh
  • Genere: Gialli, Noir, Thriller
  • Categoria: Narrativa Straniera
  • Casa editrice: Feltrinelli
  • Anno di pubblicazione: 2020

Una donna non più giovane passeggia con il suo cane chiamato Charlie. Da una parte c’è un intricato bosco di pini. Dall’altro una strada sterrata, che porta verso il piccolo paesino di nome Levant. Poi c’è l’enorme casa con un lago di fronte e una piccola barchetta. Un pezzo di bosco, la terra attorno alla dimora, il lago e l’abitazione sono proprietà di un’anziana signora dal nome impossibile, Vesta Gul, che gli americani storpiano continuamente. Ma anche Vesta Gul è americana e i genitori lo erano a metà, perché sapevano delle storie e conoscevano dei nomi sicuramente della Bielorussa. Storie che non appassionavano Vesta, un paese che non le diceva nulla, mentre le sarebbero piaciute altre località europee, Parigi, Roma, Londra e poi la Normandia, la Toscana e la Cornovaglia.

Ma lo stipendio del marito non sarebbe bastato per fare i turisti in Europa o in Oriente. Il marito di nome, Walter, professore universitario, morto da un anno, quando c’era la possibilità la portava in convegni e in fine settimane pagate. Vesta, dopo la dipartita di Walter, ha subito deciso di prendere quella casa a Levant per pochi soldi, in realtà. Era da sei anni in internet senza un compratore, tanto che il valore catastale si è dimezzato e Vesta si è ritrovata ad avere un lago tutto suo con un isolotto al centro e poi di sua proprietà parte del bosco. La fa sorridere avere tanto spazio tutto suo. In realtà, dopo Walter, è andata in un canile, ha trovato Charlie, un cagnetto sopravvissuto fra tanti nati e morti, messi in un borsone nero lasciato davanti al canile.

In realtà Vesta ha bisogno di poco. Portare Charlie a fare una passeggiata la mattina presto, poi fare colazione. Poi Vesta si diletta nell’arte di fare un orto, cosa complicatissima, se mai ne hai avuto uno. Poi ascolta la radio. Niente televisione, niente computer, niente telefono fisso, che però vuole ripristinare perché effettivamente, se hai settantotto anni, almeno chiamare il 911...
In una giornata come tante altre, con Charlie che pativa a stare al guinzaglio, Vesta, trova per terra uno scritto accuratamente lasciato aperto, con tanti sassi messi a bella vista.

Vesta prende il biglietto scritto a mano che recita:

"Si chiamava Magda. Nessuno saprà mai chi è stato. Non l’ho uccisa io. Qui giace il suo cadavere".

Se inizialmente Vesta pensa a un regalo macabro degli abitanti della zona verso la nuova vicina che si è comprata tutto il lago e fa finta di niente. Ma presto si accorge che non fa altro che pensare a Magda. La biblioteca non c’è a Levant. Bisogna arrivare a Bethsmane. Appena c’è un computer libero, Vesta va su Internet per sapere se nel posto viveva una certa Magda, nome inconsueto. Va a dormire col pensiero di Magda, si risveglia con il solito pensiero. Un’ossessione.

Vesta arriva a delle conclusioni arbitrarie. Magda aveva sicuramente diciannove anni. Era bella ma non la bellissima abitante di Levant. Appartata, solitaria, non aveva amici. Dopo la scuola, si divertiva a fare foto al suo cane. Incomincia a non dormire di notte. Inizia a dirsi quello che già sa. Se fosse una studentessa del marito, Walter non le avrebbe dato pace.
Vesta si ricorda degli scritti del marito. Su un foglio c’erano nomi di ragazze che frequentavano il suo corso. Per ognuna Walter metteva un voto. Per la bellezza, la disponibilità, la certezza di chi poteva portarsi a letto per avere il massimo dei voti senza studiare.

L’amore della sua vita, Walter, che non aveva voluti figli, che le aveva dato di che vivere con agiatezza, non era altro che un porco, che aveva fatto del male ad alcune studentesse. Cose che Vesta già sapeva, intuiva, ma il fatto che il marito avesse delle fantasie o delle vere relazioni non importava. A Vesta bastava che il marito arrivasse sfinito a fine giornata, che non le chiedesse di toccarlo, né altro, se lo faceva bastare. Era lo scotto per la sua vita priva di problemi economici, di amicizie fasulle tra mogli dei professori.
Una vita leggera, senza pensieri per i figli, i genitori. Da un bigliettino trovato nel bosco, Vesta si rende conto della malvagità della malignità di suo marito, ma anche della sua apatia, della sua malvagità.

Con La morte in mano (Feltrinelli, 2020, trad. G. Guerzoni) Ottessa Moshfegh ci fa entrare in un inferno privato che conosciamo, con una scrittura affilata, asciutta, crudele.

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© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La morte in mano

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