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Recensioni di libri

La grande invenzione. Un’autobiografia di Pupi Avati

Rizzoli, 2013 - L’autobiografia di uno dei più amati e originali registi del nostro cinema: Pupi Avati a 74 anni ha pubblicato le sue memorie.

Alessandra Stoppini
Alessandra Stoppini Pubblicato il 15-03-2013

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La grande invenzione. Un'autobiografia

La grande invenzione. Un’autobiografia

  • Autore: Pupi Avati
  • Genere: Storie vere
  • Casa editrice: Rizzoli
  • Anno di pubblicazione: 2013

“Quello che mia madre ha sempre detto di me, cogliendo a pieno un aspetto della mia essenza, è che sono molto buono ma troppo bugiardo”.

È l’incipit dell’autobiografia di uno dei più amati e originali registi del nostro cinema, il quale a 74 anni (Pupi Avati è nato a Bologna il 3 novembre 1938) ha pubblicato le sue memorie, perché

“non si cancella nulla della propria vita, dentro di me tutti i presenti coincidono”.

Aiutato dai tanti racconti, rievocazioni e aneddoti di una grande clan (“la famiglia è un libro di storie”) i cui componenti erano degli autentici personaggi cinematografici, l’autore, convinto che “ognuno di noi dovrebbe lasciare una traccia di se stesso”, ha scritto un libro che ripercorre buona parte del Novecento.

Tra le pagine di un volume che diverte e commuove, ecco la vita di Pupi: l’infanzia nel quartiere di San Vitale in un appartamento vecchio, buio e angusto, il duro periodo della II Guerra Mondiale, la tragica scomparsa del padre. L’amore per il jazz (“i ruggenti anni della jazz band”), passione che l’ha sempre respinto, il rifugiarsi nelle sale cinematografiche per cercare un altrove oltre la deludente vita di provincia, gli anni trascorsi come direttore della Findus, gli amici scomparsi come Federico Fellini (“se faccio questo lavoro è merito di Otto e mezzo”) e Lucio Dalla, i tanti chilometri di pellicola girati e molto altro ancora.

“Per me la bugia non era altro che una diversa modalità dell’immaginazione, un modo per dilatare il reale. E questo, in definitiva, è ciò che mi ha spinto a fare il cinema”.

Il regista confessa che ha sempre avuto la tendenza a mescolare il reale con la fantasia, oscillando continuamente tra il pensabile e l’impensabile. Tutto ciò ha portato Avati a confondere sempre più spesso la realtà con la finzione cinematografica.

“Quello tra me e il cinema è una storia d’amore che dura da più quarant’anni, praticamente una vita”.

La famiglia di Pupi Avati

La storia parte dall’incontro a Bologna nel negozio di antichità del nonno paterno, fra Angelo Avati (“mio padre, il più bel ragazzo della città, era un uomo soprattutto dotato della grande capacità di riconoscere il bello”) e Agnese Vigetti (“mia mamma era di origini modeste”). Se la famiglia di Angelo appartenente alla buona borghesia era dapprima monarchica e in seguito democristiana, quella di Agnese di ceppo contadino operaio, era socialista. Epiche le discussioni durante i pranzi della domenica ma all’interno del contesto familiare era l’affetto il collante che teneva tutti uniti.

Nel 1999 il regista ha dedicato un film, La via degli angeli, all’incontro fra i genitori perché il cinema di Avati era già tutto scritto nelle infinite storie familiari composte da esistenze complesse segnate da molti dolori.

“Molti membri di questa estesa famiglia, per ragioni d’età, li ho conosciuti solo attraverso le esaustive descrizioni di mia madre, ma della vicenda umana di altri sono stato io stesso testimone, soprattutto da ragazzo”.

Vale per tutti il personaggio di zia Amabile che a Sasso Marconi vestiva i morti (“quando moriva qualcuno si andava tutti dietro all’Amabile: noi a far visita alla famiglia, lei a preparare il defunto con ciò che lui stesso, in vita, aveva scelto e messo da parte all’interno di una grande scatola”) considerato che in quella cultura la morte non era “un momento avulso dalla vita, ma una porzione di essa, una parte del percorso”.

Il “narratore di una Emilia nostalgica che non c’è più” ora anche scrittore (“il cinema nasce sempre dalla scrittura”) pubblica a 74 anni un’autobiografia onesta e sincera come quella fotografia che ritrae Avati a 14 anni sotto i portici di via Saragozza. In quell’immagine, un adolescente in pantaloni corti e una camicia bianca a mezze maniche, Pupi riconosce il proprio archetipo, ciò che meglio lo rappresenta.

“Io sono definitivamente quel ragazzino della fotografia per il quale la parte più interessante della vita è lì per arrivare”.

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© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La grande invenzione. Un’autobiografia

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