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Recensioni di libri

L’ora buca di Valerio Varesi

Frassinelli, 2020 - Una rappresentazione realistica e al contempo potentemente simbolica di una civiltà decadente, che sembra in procinto di annullare, all’apice delle sue potenzialità scientifiche e tecniche, il suo valore umano.

Adriano Napoli
Adriano Napoli Pubblicato il 02-01-2021
L'ora buca

L’ora buca

  • Autore: Valerio Varesi
  • Genere: Gialli, Noir, Thriller
  • Categoria: Narrativa Italiana
  • Casa editrice: Frassinelli
  • Anno di pubblicazione: 2020

“Il dialogo è la conversazione perfetta” sostiene Nietzsche in Umano troppo

umano:
“Nel dialogo c’è un’unica rifrazione del pensiero: questa la produce l’interlocutore come lo specchio in cui vogliamo veder riflessi nel modo più bello possibile i nostri pensieri”.

Nella scrittura di Valerio Varesi il dialogo è la forma predominante di ogni narrazione: persino la lenta consunzione di un Toscano sulle labbra del Commissario Soneri al cospetto di un paesaggio di nebbia è in fondo un modo silente di interrogare la realtà e di attendere risposte. Solo che in questo nuovo libro, L’ora buca (Frassinelli, 2020), che si sviluppa in un ordito complesso che costeggia il teatro delle idee e l’impalpabilità di un giallo metafisico, il dialogo non serve da strumento di conoscenza, bensì di contraffazione manipolatoria della realtà. Come se i personaggi parlassero e si cercassero nella parola per meglio confondersi e annullarsi vicendevolmente, intorbidando il confine già precario tra verità e finzione, fino a diventare ombre che riflettono, per troppa consapevolezza, soltanto la propria obsolescenza.

“Ha tolto la mano dal viso e ha alzato gli occhi: “Così non mi basti.” Ha detto con un filo di astio. “Siamo solo ombre”. “Questo è vero Gina, ma vale per tutti. Ombre che si parlano.”

Tutto inizia in una sala insegnanti di un liceo del nord Italia, con una conversazione tra il protagonista, professore di fisica, e un suo collega, sotto lo sguardo sardonico di un bidello che fa da contraltare, con la sua liquida paciosità di animale vivente pago di ogni occasione che la vita gli offre, alla loro inquietudine ironica e inconciliata, (non dissimile, sembrerebbe, dal colloquio stralunato di due esemplari sopravvissuti di una specie estinta, in un beckettiano “finale di partita”). La situazione, che ricalca quella del Sehttps://www.sololibri.net/Secretum-...cretum petrarchesco, ma con un abbassamento di tono che rimarca l’assenza di una verità univoca, pacificante, si sviluppa in un crescendo paradossale, tra luoghi indeterminati e inumani, in cui il dialogo del protagonista con altre ombre (con il responsabile di una fantomatica Agenzia che sembra “una trasparente medusa che avviluppava le cose senza mostrare il suo centro”; con una donna, cliente dell’Agenzia, che si ostina a rivedere in lui il marito scomparso, in un gioco perverso di realtà e finzione; con allievi e colleghi; persino con le frequentatrici di un locale per scambisti dove, simbolicamente, occorre indossare una maschera fittizia per riconoscere in se stessi e negli altri il barlume languente di un’identità e un’appartenenza) rivela i contorni di una solitudine sconfinata e paradossale.
E forse il paradosso sta in questo: in un mondo che, al culmine della sua parabola scientifica e tecnologica, scopre con impassibile disinganno che la sua consistenza è ormai ristretta alla superficie esile e inscalfibile di uno specchio incrinato su cui la scienza, con le sue verità relative, friabili e intercambiabili, continua a disegnare ipotesi che hanno l’unico effetto tangibile di destrutturare l’umano, dopo aver via via banalizzato il mistero, il sacro, riducendo il dubbio a un arido scetticismo e la curiositas a un cinico sperimentalismo che confonde realtà e virtualità, desiderio e ostentazione di una mancanza, vita e morte.

Non sarebbe esagerato del resto paragonare l’io narrante e il suo collega Pampaluga a due discepoli del pirandelliano teosofo Anselmo Paleari, inventore della lanterninosofia, dal momento che anche loro portano in sé la consapevolezza di chi ha sperimentato nello strappo di un cielo di carta (che al tavolo di una friggitoria si declina nella variante seriocomica di un pianeta Terra somigliante a un arancino, con una crosta fragile e un nucleo incandescente, sperduto nell’universo infinito) l’assenza di ogni certezza e di un sentimento religioso della realtà.
Venuto a mancare il dubbio, in quest’epoca di false certezze, ciò che resta è lo scetticismo bulimico di una ragione che intorcendosi nei propri ragionamenti complessi e inconcludenti raggiunge un grado estremo di epurazione, che proietta il pensiero nell’aporia, la prassi umana nell’inconcludenza, l’ora di lezione a un chiacchiericcio caotico e inconcludente, il senso morale nell’assenza di una morale.

“Se non li vediamo, come facciamo a essere sicuri che ci sono?” ribattono con esasperato cinismo gli allievi del professore, interrompendo la sua svogliata dissertazione sui buchi neri e altri misteri dell’universo. Forse troppa chiaroveggenza porta all’errore, che non è un semplice contrario della Verità, ma un insonne vagare nel vuoto, in quel buco nero che è la vita non più assistita da alcuna fede nell’uomo, sigillata nell’autoreferenzialità confortevole di una ragione che produce solo mostri. Come se la scienza, ultima dea sopravvissuta al disastro, avesse raggiunto ormai un tal grado di autonoma e indipendenza da ogni valore umano da poter ridurre la vita, e il destino stesso della civiltà umana, all’esito indifferente di un esperimento.

A questo punto è la notte? Dopo Lo stato di ebbrezza e le ultime indagini di Soneri contrassegnate da un sempre più incalzante disorientamento del protagonista a muoversi nelle topografie di un mondo indecifrabile, in caduta libera nel caos e nell’indistinto, scarnificato ormai finanche delle sue topologie più elementari e concrete (come osservava lucidamente Italo Calvino già qualche decennio fa), in questo romanzo uscito in libreria nel tempo di una pandemia epocale e stravolgente, Valerio Varesi sembra aver raggiunto l’apice dello sperdimento attuale in cui siamo come annullati (“l’ora buca” del titolo è evocativa di una “vacanza” che è per l’appunto un vuoto in cui è più facile perdersi che ritrovarsi); il germe profondo e invisibile di una malattia dell’anima, più potente (e prodromica) di ogni virus, in cui l’uomo, assediato da troppe verità compulsive e respingenti, disertato dal dubbio, continua imperterrito a costruire la propria distruzione, trovando in se stesso (contrariamente ai precetti di un antico proverbio), nella verifica compulsiva del proprio limite, gli elementi del proprio disastro, piuttosto che i semi di una rinnovata salute.

Tra esperimenti di criogenesi, campi militari dove ci si allena alla fatica e al sacrificio rimossi dalla civiltà moderna, e laboratori asettici dove l’identità umana viene sottoposta a infinite manipolazioni e adulterazioni (e così il destino), tutta la storia, che ha il ritmo incalzante e ipnotico di una discesa immobile in un abisso che cresce intorno a noi, parrebbe simulare l’osservazione al microscopio di un esperimento scientifico sulla materia: sollecitata, forzata, stimolata con continui strappi, urti, e pressioni, per indagarne la resistenza, le possibilità estreme; o piuttosto per certificarne il vuoto nullificante, l’inconsistenza di detrito, nella cenere che resta?

L'ora buca

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© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: L’ora buca

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