L’imperio
- Autore: Federico De Roberto
- Genere: Classici
- Categoria: Narrativa Italiana
L’imperio di Federico De Roberto, pubblicato postumo e incompleto nel 1929, è un romanzo parlamentare, sottogenere in voga a ridosso dell’unità d’Italia. Numerose sequenze sono brillanti e ben condotte, altre prolisse o dispersive. Specialmente nell’ultima parte si affastellano temi, spunti e risvolti narrativi che dilatano ulteriormente la vicenda. Malgrado la disorganicità, su cui la critica si è espressa unanime, merita di essere conosciuto per lo spaccato della Roma crispina e per la sfiducia postrisorgimentale che lo accomuna a Pirandello de I vecchi e i giovani. Quanto al trasformismo, è un romanzo senza età.
Il romanzo, articolato in 9 quadri autonomi, verte sulle parabole apparentemente antitetiche di Federico Ranaldi e Consalvo Uzeda presentate a montaggio alternato. Rispettivamente giornalista e politico nella Roma di fine Ottocento, rappresentano due facce dell’inetto, nella versione idealista e cinica.
Sinossi
I
Un attacco in medias res proietta il lettore nel cuore di Montecitorio. Qui Federico Ranaldi, giovane intellettuale salernitano, assiste intimidito e confuso a una seduta parlamentare. Ma il cannocchiale da macchina da presa in soggettiva gli svela, suo malgrado, le miserie della politica, il vero dietro l’apparenza. Si accorge che le colonne non sono di marmo, ma di legno rivestito di carta marmorizzata. Ricordate la scena di “Mastro don Gesualdo” dedicata alla processione? Quando la statua del patrono, ritenuta d’oro, scopre la sua anima in vetro colorato? Si avvede che l’ambiente è angusto, ostile, falso. Che i politici osannati dalla carta stampata inanellano parole al vento e luoghi comuni. Che la corte di giornalisti, censurata da un marcato zoomorfismo, gareggia in superficialità, adulazione e maleducazione. Non è necessario scomodare Kafka, Apuleio, Collodi, Flaiano per sottolineare la valenza negativa dell’imbestiamento in letteratura.
II
È interamente centrato su Consalvo Uzeda principe di Francalanza - già ne "I Viceré" - che a Roma si butta in politica. Osservando il suo curriculum, scopriamo che dopo il Gran tour da giovin signore diventa onorevole tra le fila dei conservatori. Le sue capacità oratorie, l’ambizione e la boria nobiliare sono la sua cifra distintiva. Camaleontico per natura, si inserisce facilmente nel mondo della politica che viaggia sui binari della maldicenza, dell’ipocrisia e della manipolazione dei fatti. Ma sfondare è un altro paio di maniche.
III
È ambientato nei salotti politici che contano, legati alla politica o alla nobiltà. Spicca una galleria di figure femminili ugualmente incisive. La moglie del politico più carrierista del consorte. La bellissima contessina Renata che si innamora di Consalvo, oggetto della sua cieca idolatria. La stravagante Paola Boriani immortalata in pose ridicole e modaiole british friendly. Consalvo Uzeda ha bisogno di frequentarli: sa bene che altrimenti, lontano dal feudo della sua Sicilia, rischia di rimanere uno sconosciuto.
IV
Speculare al secondo, presenta il curriculum di Federico Ranaldi. Basti dire che, laureato in giurisprudenza e infiammato da un idealismo risorgimentale, crede fermamente nella politica. Degno di nota l’incontro con la giornalista Beatrice Vanieri. Cronista di punta e donna anticonvenzionale, mette in guardia Federico dal doppiogiochismo della politica e dalla giungla del giornalismo. A questo punto del romanzo i destini di Federico e Consalvo si intrecciano temporaneamente. Sono coinvolti a diverso titolo nella fondazione del giornale “La Cronaca”. Il primo è una sorta di articolista tuttofare; il secondo mette a disposizione il suo appartamento come sede per la redazione. Soprattutto fornisce informazioni di prima mano dal Parlamento, lui dice, aggiustate quel tanto che basta per giovare alla carriera, la sua, che non decollerà mai.
V
Si potrebbe intitolare un nobile in carriera perché focalizzato sulle tattiche adottate da Consalvo per migliorare il profilo professionale. Studia i trucchi dell’eloquenza altrui. Si impone una gravitas e un’autodisciplina che stridono a fronte della sua giovane età e temperamento. Osserva una castità forzata, intervallata da eccezioni mercenarie per il benessere psicofisico. Non disdegna il progetto di sposare la contessina Renata: un bel trampolino di lancio perché, non dimentichiamolo, la sua stella polare è l’ambizione da appagare con il successo politico.
VI
Prosieguo del precedente, è una bella pagina di psicologia. L’ascesa politica è in stallo, pertanto Consalvo strumentalizza la malattia e la morte di un parente con articoli ad hoc. Lo scopo è accendere, dirottare, mantenere i riflettori su di sé. Eppure anche questo escamotage ha vita breve. Così, convinto che i suoi natali siano un intralcio, il nobile siciliano fa il voltagabbana: si sgancia dai conservatori, dove è l’ultimo arrivato, per abbracciare i democratici progressisti. Che l’unico modo per trarre vantaggio dal suo nome sia farlo dimenticare?
VII
La lettura di questo capitolo, focalizzato sul discorso ufficiale dell’onorevole Consalvo di Francalanza contro il socialismo, comincia a diventare un po’ farraginosa. È un peccato, perché gli spunti di attualità del romanzo sono centrati e numerosi. Alla fine ecco il colpo di scena! L’onorevole è vittima di un attentato perché uno sconosciuto lo colpisce con due pistolettate.
VIII
L’autore ricostruisce la dinamica dei fatti, l’intervento del medico, la lunga degenza all’ombra di un’infermiera speciale: la giovane nobildonna che si prodiga con l’infermo. Finalmente Consalvo riesce a far parlare di sé: è diventato un eroe, un baluardo dei benpensanti contro il socialismo. E se la degenza è più veloce del previsto, non mancano gli artifizi per simulare uno stato di salute precario: l’ausilio di un bastone da passeggio, voce stentorea, l’invenzione di una lettera anonima che, preannunciata la minaccia, gli permette di esibire un coraggio che non possiede. Di lì a poco il trionfo con l’offerta del ministero dell’Interno. Il capitolo si chiude con la seduzione di Renata, uno stupro in piena regola. Intanto il Ranaldi, preso atto della vera natura del politico che lo ha strumentalizzato, è sopraffatto dalla delusione. Più avanti veniamo a conoscenza che il principe si è dimesso.
IX
A quarant’anni Federico, tornato a Salerno con l’amarezza del fallimento, trova il muro dell’incomprensione. Si sente in colpa verso i genitori che tante speranze hanno riposto in lui. I genitori sono in soggezione di fronte al figlio che ha vissuto nella capitale. Insieme alla volontà di stornare ogni ricordo dell’esperienza romana, emerge in lui la consapevolezza di essersi allontanato dalla sua città per liberarsi dal “giogo dei parenti” e che vivere significa “nascere, procreare, morire”. Il richiamo a Leopardi è d’obbligo. Afflitto da una depressione severa, non trova la freddezza necessaria per un gesto autosoppressivo.
L’ultima parte (il romanzo è incompiuto) tradisce la difficoltà dell’autore di chiudere la vicenda. Prevale un timbro melodrammatico per due figure femminili un po’ salvifiche, un po’ deus ex machina: Anna e l’anziana madre. Anna è la nipote diciottenne di un amico del padre di cui Federico si innamora, ricambiato. Ma l’uomo, che appartiene alla categoria dell’inetto sveviano, è incapace di vivere in serenità questo dono inaspettato della vita. Si tormenta, anzi si contorce tra dubbi e paure, finché la madre comunica a sorpresa che il loro matrimonio sarebbe benvoluto da tutti. Così Federico non ha più bisogno di scegliere. L’imperio di Federico De Roberto termina qui.
L'imperio
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: L’imperio
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