Gianluca Barbera è nato a Reggio Emilia nel 1965 e vive a Siena. Lavora in ambito editoriale, ambito nel quale è stato anche il perno per nuove innovazioni, e ha pubblicato racconti su riviste e antologie. Ha scritto già diversi romanzi, vincitori di premi di gran prestigio. Per Castelvecchi, nel 2018, ha scritto il suo romanzo più conosciuto ad oggi, ovvero Magellano, una riscrittura romanzata delle gesta del portoghese Magellano, uomo ombroso, capace di grandi azioni malevole, ma anche attraversato da sprazzi di umanità ed equità. Sempre per Castelvecchi ha pubblicato un altro romanzo storico, Marco Polo, nel 2019. Il suo ultimo libro, Il viaggio dei viaggi. Si può esplorare il mondo in cinquecento passi?, è uscito da pochi giorni per la casa editrice Solferino.
- Buongiorno Barbera, grazie per la disponibilità. Come definirebbe il suo libro Il viaggio dei viaggi? Un libro di avventure? Un fantasy? O un libro che amplia le verità storiche con un serrato studio sugli avvenimenti passati e presenti?
Vi racconto come è nato Il viaggio dei viaggi. Una sera, stavo leggendo le memorie di Darwin sdraiato comodamente sul divano quando mi ritrovai all’improvviso su una nave rompighiaccio che si apriva la via attraverso un’immensa distesa bianca, tra iceberg alti decine di metri. Mi sembrò un’immagine potente e buttai giù alcune annotazioni. Andai avanti e mi imbattei in un’altra scena memorabile. Afferrai lo smartphone e buttai giù queste altre righe: "Eravamo in viaggio da otto mesi quando, lasciate le acque fangose del Río de la Plata, la Beagle fece rotta verso Capo Deseado, sulla costa occidentale della Patagonia. Altre volte ci era capitato di trovarci circondati da insetti. Dunque non ci stupimmo più di tanto quando una sera, a dieci miglia dalla Baia di San Blas, fummo attorniati da migliaia di farfalle. Facendo correre lo sguardo da ogni parte ci accorgemmo che erano una distesa immensa. Anche scrutando con il cannocchiale non se ne vedeva la fine. I marinai gridavano: ‘Nevicano farfalle!’. Come si fossero spinte così lontano dalla costa restava un mistero”.
Ecco come tutto è cominciato. Spesso è da una semplice immagine che parto. Andai avanti con la storia di Darwin intorno al mondo (che in seguito nel romanzo è diventata il secondo capitolo). E da lì ecco nascere a poco a poco l’idea di un romanzo sui più grandi viaggiatori ed esploratori di tutti i tempi, collocandola però ai giorni nostri. Come fare? L’impresa si prospettava tutt’altro che semplice. Cominciai con lo scegliere i personaggi affidandomi alle mie personali inclinazioni, badando però a fare in modo di raccontare, attraverso quei personaggi, l’arte di viaggiare in tutte le sue forme: con il corpo, con la mente, per mare, cielo e terra, nel cosmo, negli abissi, nell’aldilà, nel cyberspazio. Il passo successivo fu trovare un filo rosso che collegasse tutte le storie e le collocasse nella contemporaneità. Ecco allora l’idea della scolaresca in visita al museo dei viaggi che, grazie alla suggestione degli oggetti esposti e a un libro dagli straordinari poteri, precipita in una grande avventura attraverso i secoli e lo spazio, come a bordo di un a macchina del tempo. Sono stato paragonato a Salgàri, a Stevenson, a Marquez, a Borges. Mi ritrovo in tutti. La cosa mi diverte.
- Questo libro, trascinante e pieno di curiosità, non è scritto col metro dell’erudizione, ma in modo leggibile, evitando "paroloni". Si aspetta che gli adolescenti la leggano?
Non è forse il sogno di ogni scrittore quello di essere letto dai ragazzi? Chi non ricorda le sue prime letture? Jules Verne, Emilio Salgàri, Robert Louis Stevenson, James Fenimore Cooper, Louisa May Alcott. Il mio primo libro è stato Barra tutta a dritta di Gianni Caratelli, un romanzo da tempo fuori catalogo, che andrebbe recuperato. Racconta di uno studente che si imbarca a Genova come mozzo per compiere il giro del mondo. Un segno del destino, se pensate che molti anni dopo ho scritto Magellano. I miei romanzi si strutturano su più livelli, offrendo piani di lettura differenti. Moby Dick, L’isola del tesoro, La linea d’ombra, Martin Eden non vengono forse letti da persone di ogni età, latitudine e livello di istruzione?
- In questo libro lei riprende personaggi storici già "usati" in altri testi, ovvero Marco Polo e Magellano. Soprattutto Magellano, che per mio gusto personale è il suo miglior libro, non tenendo conto di questo ultimo. Cosa doveva dire ancora su di lui? Come è nata questa passione per il portoghese Magellano?
Il capitolo su Magellano in realtà è un omaggio a Edgar Allan Poe e al suo Gordon Pym. L’episodio ha tinte fosche, gotiche. Il Magellano che presento è un’anima persa, crudele, ipnotica. Non dimentichiamo che, per quanto oggi Magellano evochi sensazioni positive, in realtà egli fu un uomo posseduto, direi quasi divorato, da un sogno; per coronare il quale trascinò verso la morte decine di persone, mettendo da parte qualunque ragionevolezza. Io l’ho celebrato, perché alla fine ciò che ci resta è la grandezza della sua impresa. Ma l’uomo fu discutibile. Quanto a Marco Polo, compare nel capitolo finale, in un episodio in forma di fiaba. Qui mi sono ispirato alle Mille e una notte. La narrazione è trasognata, e ci introduce in una dimensione parallela, nella quale spazio e tempo sono aboliti. Una conclusione aperta, piena di suggestioni, e di promesse.
- Nel libro, che inizia come uscita di istruzione scolastica, ci sono gli studenti e il professore Terranova? Come sono gli adolescenti del nuovo millennio? E i professori sono all’altezza delle nuove tecnologie o si accontentano di essere degli "affabulatori"?
Gli adolescenti di oggi non mi sembrano molto diversi da come eravamo noi. Una differenza sostanziale però c’è. Noi passavamo la maggior parte del tempo fuori casa, all’aria aperta, mentre molti di loro la passano in ambienti chiusi, davanti al pc. Almeno è quello che ho potuto osservare. Ho due figli adolescenti. Per venire ai professori, se un insegnante possiede doti affabulatorie è probabile che sia un ottimo insegnante. Se sa maneggiare anche la tecnologia, tanto meglio. Alle scuole medie avevoun’insegnante di italiano che ci leggeva in classe Vino e pane diIgnazio Silone. Ricordo ancora la sua voce bellissima, pastosa. È stata lei a farmi innamorare della letteratura, insieme alla prof di inglese del liceo, che mi fece conoscere a fondo George Orwell in lingua originale. Ecco quanto possono influire sulle nostre vite gli insegnanti!
- Il suo libro doveva uscire prima di maggio, ma la pandemia da Covid-19 lo ha fatto slittare? Come ha vissuto questo periodo?
Doveva uscire il 2 aprile, è uscito il 14 maggio. Poco male. Superate le prime settimane di disorientamento, mi sono rimboccato le maniche e mi sono tuffato nella stesura di un nuovo romanzo. L’ho abbozzato, non sarà pronto prima di settembre, ovviamente non uscirà che nel 2021. È un romanzo in cui protagonista è un luogo, un luogo elettivo, mitico. Non dico quale. Aggiungo solo che in questo nuovo romanzo mi sono addentrato nei misteri del tempo, che secondo alcuni studiosi non esisterebbe affatto, almeno a livello microscopico.
- Lei ha uno stile trascinante, ma anche, a tratti, pedagogico. Pensa di aver trovato il suo ritmo o questo cambia da un libro a un altro?
Per scrivere come scrivo uso questo sistema: velocità di pensiero e rapidità di scrittura. Poi rivedo il tutto, ma in genere cambio poco. Poche ma efficaci pennellate, per descrivere, raccontare, dare vita a un dialogo, a un personaggio. Il mio stile è sempre lo stesso, lo adeguo alle situazioni, all’epoca, all’effetto che voglio ottenere. Mi definirei un espressionista. Non mi interessa la singola frase, che pure levigo, quanto l’effetto complessivo della pagina, del brano, della storia. Spesso, chi lecca troppo la frase finisce per appesantirla, per consegnarla inconsapevolmente allo sguardo pietrificante di Medusa. Quello che ci resta in testa di un romanzo sono i personaggi, che devono essere indimenticabili, i dialoghi, che devono avere brillantezza, o ruvidezza. In ogni romanzo ci deve sempre essere qualche scena memorabile, di quelle che si imprimono nella mente del lettore e vi restano per sempre. Questa era anche l’opinione di Stevenson, il quale sosteneva che a rendere indimenticabile un romanzo, a farne un classico, fosse la sua capacità di suscitare incanto, di rappresentare scene memorabili, in grado di far sognare a occhi aperti; scene e situazioni capaci di ricondurci all’infanzia, a ciò che amavamo quando eravamo ragazzini, alle "pulite avventure all’aria aperta […] Robinson Crusoe che indietreggia dinanzi alle orme dei piedi, Achille che grida contro i Troiani, Ulisse che piega il grande arco. Questi sono momenti tutti culminanti nella leggenda e ognuno di essi ci s’imprime nell’occhio della mente per sempre".
- Lei arriva all’allunaggio, ma scrive anche di cyberspazio. Come immagina il futuro? La pandemia da coronavirus è stato solo un caso isolato o i giovani dovranno tener conto di altre malattie, di altri disagi nel tempo?
Be’, non credo che il mondo sia cambiato di colpo. Epidemie ce ne sono sempre state e continueranno a essercene. Ogni volta sembra la prima, perché per le generazioni che si trovano ad affrontarne una è in effetti sempre la prima volta. L’ultima, la spagnola, fu cent’anni fa. E si portò via cinquanta milioni di persone nel mondo. Ho letto che su quella epidemia restano ancora molte domande senza risposta. Ma era appena finita la guerra e la medicina non era al livello attuale. Mi auguro che riguardo a Covid saremo in grado di far luce su ogni aspetto. Mi ritengo una persona dotata di un coraggio nella media, ma cerco sempre di tenere a mente una memorabile riflessione di Spinoza: “Chi pensa di continuo alla morte, muore ogni giorno”. Perciò adotto le opportune cautele ma vado avanti. Per anni mi sono interessato ai filosofi stoici, e anche da loro ho imparato a non temere troppo la morte. Se deve accadere, accadrà: siamo mortali. Questo non significa mettere da parte la prudenza. Perché accorciarsi la vita? Perciò, nonostante non tema la morte, mi comporto come se la temessi: dunque uso prudenza.
- Sempre a proposito dei giovani, cosa pensa delle scuole di scrittura? Insegnano più a leggere o a scrivere?
Negli Stati Uniti vanno matti per le scuole di scrittura. Ci sono libri molto utili, che ho letto, nei quali si spiegano tecniche e trucchi. Io credo che scrivere sia non solo un’arte, ma anche una scienza. Perciò ritengo si possa imparare a scrivere un buon romanzo, o un buon saggio. Certo, bisogna aver letto molto. Pretendere di scrivere senza prima leggere sarebbe come voler far viaggiare la propria auto senza carburante. E poi bisogna mettere da parte i moralismi, evitare di abbellirsi. Niente mezzucci. Niente giri di parole, più diretti possibile. Nessun compromesso. Niente melassa. E non guardare in faccia nessuno. Io sono solare, ma si può anche essere lugubri, o malinconici. A ciascuno il suo temperamento. Se si raccontano bugie (e che cos’è un libro di fiction se non una serie di storie in parte inventate?) bisogna credere fino in fondo in quelle bugie.
- Il viaggio dei viaggi è attraversato da un entusiasmo insolito in altri scrittori, dalla voglia di spiegare senza essere barbosi. Mi chiedo quali libri italiani recenti l’hanno colpito, in positivo o in negativo?
Come dicevo, ognuno scrive il base al proprio temperamento. Evviva il pluralismo, per fortuna siamo tutti diversi. Non capisco quelli che dettano canoni immutabili della letteratura contemporanea escludendo coloro che non vi rientrano. “Scrivere storie ormai è impossibile” si sente dire ogni tanto dai critici. Poi arrivano Houellebecq e Kundera e li spazzano via. Tra gli italiani non mi perdo un libro di Michele Mari, Giordano Tedoldi, Veronica Tomassini e Davide Brullo.
- Cosa si aspetta dallo scrivere libri? Pensa che lo scrittore abbia ancora un ruolo morale? Pensa che leggere molti libri porti una persona a essere migliore? Cosa distingue la cultura dall’erudizione?
Scrivo per restare. Come nel Simposio platonico, credo che tutti sognino l’immortalità, la quale si può ottenere in due modi: attraverso i figli, o creando opere destinate a restare. Se leggere non serve a renderci più elastici, aperti al mondo, non serve a nulla. L’erudizione è fine a se stessa, coda di pavone. La cultura deve spingere verso il sapere, la conoscenza, la ricerca della verità. Molti grandi scrittori sono stati delle canaglie: Dante fu accusato di peculato, Seneca era un usuraio, Balzac un truffatore, Poe un alcolista, Baudelaire frequentava usurai e prostitute, Saint-Exupery era perseguito come evasore fiscale. Eppure sul piano artistico nessuno li mette in discussione. Una cosa è l’opera, un’altra la vita. Per dirla con Oscar Wilde: "In un artista un intento morale è un imperdonabile manierismo stilistico".
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Gianluca Barbera, in libreria con Il viaggio dei viaggi. Si può esplorare il mondo in cinquecento passi?
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