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Recensioni di libri

Il serpente piumato di David H. Lawrence

Mondadori, 1981 - Il viaggio in un Messico quasi irreale, una lunga notte trafitta dal silenzio e dai volti accesi degli indigeni. Il Messico dipinto da Lawrence è il ritratto di un luogo immobile nella superficie, ma dove tutto ribolle in profondità in una sorta di paganesimo del sangue.

Claudia Ciardi
Claudia Ciardi Pubblicato il 29-04-2009

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Il serpente piumato

Il serpente piumato

  • Autore: David H. Lawrence
  • Categoria: Narrativa Straniera

Il viaggio in un Messico quasi irreale, quello che ci appare in "Il serpente piumato" di David H. Lawrence, una lunga notte trafitta dal silenzio e dai volti accesi degli indigeni. L’alba portata dalla misteriosa corrente di un fiume che sfocia nel lago sacro di Quezalcoatl. Divinità perdute rimaste a dormire nel folto dei canneti, abbandonate al solitario languore delle chiome dei salici. La pacata inquietudine del paesaggio, ombre e bellezza su una terra che sembra destarsi continuamente dentro un sogno. Il turbamento di una donna irlandese in fuga dall’Europa e da una cultura che a metà della sua vita sembra essersi dissolta, lasciandola a una deriva di solitudine e incertezze.

E cielo chiaro, e un’immensa ombra azzurrastra sulla terra, pendii bruciati, cosparsi di misere stoppie di granoturco. E una hacienda sperduta, e un uomo a cavallo, ravvolto in una coperta, che conduceva una muta mandria, di mucche, pecore, tori, capre e agnelli, ondulante massa quasi spettrale nel mattino. Un interminabile canale fiancheggiava la ferrovia, coperto di lucide foglie verdi tra le quali spuntavano le teste violacee del lirio, il giacinto acquatico. Sorgeva il sole, rosso. E in un momento dilagò l’intenso oro abbagliante del mattino messicano.

Il cuore scuro degli indigeni, pulsante dal profondo come vento notturno che scuote gli alberi e le porte scardinate delle vecchie case. La caduta dei frutti di cuentas nel gravido silenzio irreale di orti abbandonati al sonno, scandisce il rito di una veglia panica e carnale, accompagnando “il ribollio della vasta, cava notte che si effonde”.
Il paesaggio greve e allo stesso tempo sfuggente del Messico diviene la metafora psicologica del suo popolo. La volontà suicidale e inesorabile del sangue indio, che sembra salire come un’onda potente su tutto ed evocare a sé il passato più primitivo e istintuale dell’uomo sulla terra, imprime al Messico un misticismo fisico che invade i sensi e forza inesorabilmente alla piena comunione carnale col mondo.
I cargadores che scaricano lungo le rive del lago, i venditori ritrosi e taciti seduti sul lastricato della plaza, la spiaggia prigioniera della torpida immobile canicola, i bagliori del temporale che all’improvviso fotografano la spettralità di ogni cosa sono la natura e le persone del Messico trascinate al colmo del desiderio e della consunzione.
Ma cova ancora un fuoco incorrotto in questo popolo indifferente alla meschinità dell’occidente.

Di dentro dall’impetuoso sole guardavano gli occhi bui di un sole più profondo, e un possente cuore batteva entro le costole azzurre delle montagne, il cuore segreto della terra.

La fiera densità dei sensi che appartiene ai nativi risveglia una voluttà primordiale. L’acqua del maguey, l’agave, la linfa della terra che scorre dappertutto come il succo della femminilità.
Così la protagonista lentamente si abbandona al legame viscerale del Messico e dei suoi dei, il cui volto profondamente terreno la spinge a una nuova coscienza, una contemplazione della sua personalità femminile che va oltre l’estasi e l’appagamento sessuale. La faticosa rinuncia alla fede nell’individualità divinizzata degli occidentali le permette di scoprire una nuova più profonda forma d’amore, e dunque di sessualità, che consiste nel darsi senza possesso e nel limitare fortemente la propria volontà.
Il progresso occidentale ha spogliato il Messico delle sue risorse materiali e umane. Si tratta di tornare a un sentire innocente, senza astrazioni, di tornare alla terra in cui sono conservate le vere origini, la vera essenza di ognuno.
Questo romanzo è anche un documento antropologico e una articolata riflessione sulla religione come elemento che costituisce l’ossatura cosciente di un popolo, purché i suoi miti e simboli attingano direttamente alla tradizione storica di quel popolo e come tali siano sentiti.

L’autore ci fa inoltrare in un percorso le cui tappe portano a una nuova sensuale fioritura della vita, la rinascita di una grazia selvatica che permette di recuperare un legame più intimo e autentico col mondo. Il Messico dipinto da Lawrence è il ritratto di un luogo immobile nella superficie ma dove tutto ribolle in profondità in una sorta di paganesimo del sangue.
Uno scrittore e un viaggiatore visionario amato dai poeti americani e letto con particolare devozione dalla beat generation.


© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il serpente piumato

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Commenti: 1

  • Vittoria Caiazza
    25 settembre 2018, 11:32

    Sono arrivata a questo libro forte della lettura de "L’Amante di Lady Chatterley", sicuramente il romanzo più celebre di Lawrence, ma sono rimasta decisamente disorientata.
    Il romanzo, dalla trama soltanto in apparenza semplice, è in realtà di difficile lettura per i continui simbolismi e per la lettura di una realtà decisamente nuova - quella dell’antico pantheon messicano - per la protagonista, Kate, ed anche per il lettore, realtà che viene vissuta, interpretata e metabolizzata dalla donna fino all’ultima parola dell’ultima pagina, tanto che il finale, apparentemente scontato, a conti fatti non è poi così scontato. Perché diciamocelo: Kate non avrebbe potuto cambiare idea?

    La trama tutto sommato in sé è semplice: una bella vedova irlandese di quarant’anni, dopo aver viaggiato un po’ per tutto il mondo, arriva a Città del Messico e qui resta subito colpita dall’indolenza ed al tempo stesso dalla violenza della popolazione (le prime scene sono quelle di una corrida sanguinosa durante la quale Kate assiste alla morte terribile di alcuni cavalli il cui ventre viene squarciato dalle corna di un toro…).
    E’ un mondo completamente diverso dal suo, molto istintivo, ma allo stesso tempo quasi rassegnato, e lei si sente subito molto attratta da esso al punto da decidere di restare quando i suoi due accompagnatori torneranno negli Stati Uniti. Kate decide, infatti, di affittare una casa e di andarci a vivere con Juana, una donna che le fa da domestica, ed i figli di lei.

    Ma non è solo il Messico in sé che l’affascina, la donna, infatti, non riesce a sottrarsi al fascino che esercitano su di lei due uomini, Ramon e Cipriano, perfette incarnazioni di questo mondo. Entrambi sono legati al culto di un antico dio - Quetzalcóatl - che vogliono ristabilire in Messico e nel quale coinvolgeranno definitivamente anche Kate, tanto che sarà proprio in suo nome che verrà celebrato il suo matrimonio con l’uomo che la chiederà in moglie. Lei stessa sentirà dentro di sé i caratteri propri della divinità femminile di quest’antico pantheon ed alla fine la sua vita risulterà così trasformata da condurla a prendere la decisione che segnerà per sempre la sua esistenza.

    La storia è veramente particolarissima ed in alcune parti spiazza veramente il lettore. Vi è un’originale lettura dell’amore, del sesso, del ruolo della donna, della vita intera. Ciò che c’è di certo e di indiscutibile è la bravura narrativa dell’autore che rende bellissime alcune descrizioni, soprattutto paesaggistiche, ed incantevoli alcuni passaggi in cui l’anima e i dubbi di Kate vengono messi totalmente a nudo.

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