

Il dormiveglia
- Autore: Giuseppe Bonaviri
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Mondadori
Il romanzo di Giuseppe Bonaviri Il dormiveglia (Mondadori, 1988), che si situa nel fantastico e nel contempo segna l’incontro della narrativa col discorso scientifico, ha un incipit dalle tonalità poetiche. Il narrante, un geriatra detto Mercoledì, evoca ricordi e presenta in un assolato ambiente agreste il suo maestro Epaminonda, direttore di un laboratorio specializzato di ricerche genetiche. Questi è dotato di una strana caratteristica: emana una lieve luce che soprattutto verso sera sembra disfarlo in una “vacua luminosità” e viene colto in un pomeriggio d’agosto mentre spigola tra le stoppie. Entrambi hanno in comune l’interesse per il dormiveglia, “nero fiume che vortica”, e aspirano a scrivere un saggio sull’argomento in collaborazione con Joseph Cooper. Epaminonda, per il quale ogni cosa, perfino la rosa, il cardellino e l’agnello che prega Gesù hanno il dormiveglia, sostiene che nell’uomo esistono due pensieri:
Il diurno che è quello comune, o razionale, e il pensiero notturno che si manifesta principalmente, durante il dormiveglia, con gli elementi allucinatori che si svolgono in modo irregolare, disgregato, filiforme, dando luogo ai presogni, ben diversi, per la loro costituzione frammentaria, dai sogni.
È il mantello cutaneo a essere considerato come un palcoscenico su cui la mente proietta la maggior parte dei presogni, tipici del dormiveglia che è uno stadio pre-onirico fra il sonno e la veglia in cui il sogno e la realtà non si distinguono e si mescolano in un’unica dimensione. La sua peculiarità consiste nella
capacità di pescare nel mare dei ricordi le cose più lontane e impreviste. Bisogna, però, galleggiare su se stessi come pesci sulle onde del mare.
La memoria del dormiveglia, che risveglia sensazioni, paesaggi, memorie millenarie
è diversa da quella corrente. Questa è lineare, ha una successione logica di emersioni mnemoniche; quella, no. È dispersiva e entropica come entropico è il mondo. Puoi paragonarla ad un uomo che, solo, pesca in un lago e prende i pesci, e gli oggetti più imprevisti. Non c’è rigore logico.
Ecco stagliarsi in uno straniamento spazio-temporale il “palcoscenico del sogno”: Mineo, paese natale dello scrittore rievocato da Mercoledì, è “chiaramente divisa in tre rioni disposti sui dossi del monte”. Sul rione più alto sta la cattedrale gotica con le guglie che si impennano altissime nel cielo. Le vetrate mostrano “la storia del paese sin dal re siculo Ducezio, nonché le comuni vicende di lavoro di sarti, calzolai, fabbroferrai e contadini”. Partivano i contadini la mattina all’alba e tornavano la sera, stanchi, dietro i loro asini carichi di erba e di legna; parlavano sottovoce agli animali del dolore di vivere e del desiderio di morire e gli asini “assentivano abbassando i grossi occhi malinconici”. Lungo il tragitto attraversato dal narrante e da Epaminonda, incontrano una vecchia contadina le cui parole sono amare:
Qua, in questa terra, tutto piange. Non sentite il lamento delle arance e dei mandarini? Fra il padrone e il villano, e tra il Governo e gli operai, c’è stato sempre di mezzo il diavolo […], formato di filamenti mucosi, di cattivo odore, che fuoriescono dal cervello dei villani. Ma questi filamenti resterebbero informi se non incontrassero, nel loro peregrinare, l’altra parte fatta dagli spurghi dei padroni. Così, le due differenti metà si uniscono tra di loro. Si forma in tal modo un essere che, col suo soffiare sovvertitore, divide, sempre più lavoratori e padroni.
Se prestigiosa è la storia di Mineo, misera e decadente è la realtà del presente: senza luce elettrica, con la siccità nell’assolata campagna dagli immensi silenzi e con le donne che sognano l’acqua. A prevalere è un senso di desolazione e di abbandono in un’atmosfera di solitudine fra sassi che rotolano e corvi che scendono tra fichidindia e petraie. Fa la sua comparsa il biologo americano Joseph Cooper, biologo dagli occhi malinconici. Era arrivato da New York per un viaggio a Roma insieme a loro. A questo punto occorre dire che il viaggio qui è un’esigenza necessaria alla conoscenza di se stessi (“Chi viaggia accresce se stesso”); è una peregrinazione esistenziale, un’avventura conoscitiva che, insita nella natura delle cose, arricchisce. Viaggiare è movimento d’apprendimento, è itinerario di conoscenza:
Come un andare per il mondo non per raggiungere una meta precisa ma come un vagare per nessuna ragione, spinto da ragioni o, meglio, da istinti profondi esistenziali. Ogni cosa si muove: la cellula – ameba, il raggio di luce, la nostra mente.
La prima tappa del viaggio è Roma dove si aggregano agli amici Zaid, giovane danzatrice di Addis Abeba alla quale Bonaviri attribuisce alcune caratteristiche della propria figlia Pina, e il senologo Li Po innamorato di lei. Nello stato di dormiveglia le allucinazioni si susseguono fino alla comparsa del padre di Mercoledì, don Nané morto a 62 anni il 18 marzo 1964. E adesso i protagonisti sono nel maggio 1987. Affettuosamente struggente la rievocazione di Mercoledì che fa venire in mente la sincronicità junghiana; confida agli amici ciò a cui ha assistito dopo la morte di suo padre, avvenuta a seguito di un’emorragia cerebrale nel marzo 1964.
Ma vi devo per forza premettere delle notizie […] Da sei anni lavoravo come assistente medico nell’ospedale di Frosinone […]. La sera in cui mio padre moriva, erano venuti a battere contro i vetri dell’ospedale degli storni e dei passeri bianchi. Quando mio padre era in agonia, in corsia moriva un bambino con leucemia mieloide acuta, e l’ombra delle sue mani era enormemente proiettata sul muro grigio scrostato per i riflessi dell’ultimo crepuscolo.
Sorge un’altra illusione: un’imbarcazione sospinta da un esile giovanetto trasporta una vecchina morta e il narrante riconosce in lei sua madre:
Dalla sua faccia si diffondeva una oscura luminosità senza pensieri. Sugli occhi non vi si leggevano ricordi, virtù, o sentimenti, ma una fredda immobilità.
Segue una descrizione tra scienza, filosofia e memorie autobiografiche fino alla conversazione sull’anima:
una vera forza collante che dopo la morte del corpo ritorna al primitivo Iddio che è il Nulla, esistito prima del tempo cosmologico.
Ciascuno presenta la propria convinzione, ma l’enigma infinito permane: “forse soltanto retorica della mente”. In Cina apprendono che gli alberi dai cinesi sono considerati delle deità che uniscono la terra al cielo, dando così al creato una assoluta unità. Il fantastico si nutre di energie psichiche, di metamorfosi e di parole arcaiche. Zaid, sognando, si fa consapevole delle molteplici identità che agiscono in lei:
Una notte in dormiveglia, per sensazioni che mi nascevano dai seni, diventai un pavone […]. Si è vista pavone; tigre; la professoressa.
La discussione sulla trasmigrazione delle anime e la rappresentazione di sogni dai desideri impossibili avvolgono nel mistero la narrazione. In un batiscafo i protagonisti conoscono Gutemberg, l’amico fisico di Joseph Cooper, che dice:
Amici, col vostro consenso raggiungeremo gli abissi. Potremo discutere se ne abbiamo voglia, o restare muti ad ammirare una bellezza oscura e infera a cui non siamo abituati.
Contro l’oscura dissoluzione sterminatrice, Bonaviri affida la salvezza all’inviolabile e sacra possibilità del ricordo da cui affiorano ombre di volti familiari. Mercoledì dice:
Di colpo mi ricordai del fioco lampeggiare dei lampioni a petrolio che sino al 1930, a Mineo. lo stagnino Francesco Passante accendeva ogni sera, dopo averli raggiunti con una scala. I vicoli, le straducole fangose, gli svalanghi, i tetti si illuminavano vagamente...
Sono tristi raffigurazioni di un paesaggio familiare respirate in un dormiveglia inesausto: allucinazioni d’una vita che è “un errore casuale della morte” (“Cioè, la vita vi è affiorata per caso dentro la sua tela nera”). Piangendo, Zaid parla della sua idea:
Ti dico, Li Po, che a nostra immagine e somiglianza, è esistita un’altra persona. Sono come l’ombra e la penombra che i tanti platani facevano sul terreno dell’altopiano di Abeba quando tramontava il sole.
Gli amici attraversano il Pakistan e raggiungono l’Iran in cui la guerra dura senza tregua da dieci anni: non a caso Dio da alcuni giovani teologi viene pensato soltanto come un guerriero che crea il mondo combattendo. Raggiungono l’Arabia dove visitano una base di lancio, la prima costruita dagli americani in quel territorio. Possono ora realizzare il viaggio nell’astronave per arrivare sulla luna. Sul satellite avviene l’incontro con Gagarin che si mostra afflitto dalla nostalgia per il suo paese. Li ospita nel suo abitacolo artificiale e guida gli studiosi nelle loro ricerche e rilevazioni sui fenomeni delle eclissi lunare connessi con il dormiveglia. A causa di un terremoto, Li Po e Zaid precipitano in un burrone in cui vengono ingoiati e dissolti in semplici colori. Si addensa sulla pagina il film del ricordo, veloce di fotogrammi che mostrano credenze del mondo contadino sulla luna e memorie di altre vite. Tornati sulla terra, gli amici sostano nella New York dei grattacieli con milioni di antenne televisive: è la loro ultima tappa. Cooper parla anche del tentativo di trapianto di un morto in una persona viva in modo da trasferirvi le sue tante esperienze, sogni, amori, sapienza e creare così l’uomo ideale dotato di un poli-pensiero o meglio di una poli-memoria per vivere esclusivamente nella nebbia sognante del dormiveglia con l’annichilimento del pensiero razionale (“si trattava di far concrescere nel nostro corpo i tessuti encefalici dei trapassati”). Mercoledì si ritrova ancora con le proprie rimembranze: si riporta indietro negli anni ed evoca i suoi vissuti paesani (“Vidi le schiere dei lavoratori, addetti agli innesti, partire sul mattino, da Vizzini Grammichele Caltagirone Piazza Armerina, assieme alle capre e ai caprai”). Cooper mostra i suoi “archivi onirici” dove sono registrati i pre-sogni e i sogni di una moltitudine di individui ed espone i suoi esperimenti (“Qui […] ho raccolto, in infinitudini videocassette, i sogni dei filosofi, dei capitani d’industria, di gangsters, di scienziati, di prostitute, di madri, vecchi, e di esseri che vivono sottoterra immersi in un magma zolfoso”). Poi aggiunge:
Il dormiveglia è un mondo infero in cui, rompendosi i viluppi di rapporto che abbiamo col mondo, ci immergiamo nel Nulla.
Epaminonda esprime i suoi dubbi (“’Che senso ha’ interloquì ’unire in un solo individuo tre vite psichiche disuguali?’”) e sostiene che se si vuole avere un contatto con i morti, quand’è plenilunio, basta andare al cimitero. Per Joseph il dormiveglia è tenebra, ricerca di un profondo ed oscuro senso dell’essere; per Epaminonda è invece gioiosa libertà da realizzare in ambienti luminosi.
I ricordi sulla vita trascorsa a Mineo, mai perduta, vengono fissati da una scrittura struggente e calamitante: i ragazzini che sommessi dall’afa dei pomeriggi caldi si bagnano nelle fontane sotto il rione delle Mura, i centauri che compaiono sui monti, la dolcissima sensazione carnale prodotta dall’acqua, nibbi e sparvieri fermi in alto nel cielo. Nel recupero del passato affascinano i microsogni luminosi che danno la sensazione di essere immersi nell’infinito brillio della canicola degli spiriti:
Quando il sogno scompare, la nostra anima, nel dormiveglia, sazia di vita, ha desiderio di morte.
Evidente il contrasto fra luce e oscurità. La visione di Epaminonda è arcaica e agreste invece quella di Cooper è interessata al modello divino del geometrico pozzo profondo: i grattacieli che rovesciati si immergono in profondità nella terra. Il progetto è triste per Epaminonda. Attratto piuttosto dalla via lattea che racchiude i sogni amorosi dei ragazzi, rievoca con nostalgica tenerezza un’esperienza:
Una sera di settembre tornando dalla Nunziata al paese, illuminato dal chiaro di luna, guardando il chiarore delle campagne e delle valli, mi venne desiderio di amare il cielo. Mi direte: “Come si può amare il cielo? Era limpido, profondo e lucente”.
Zampillano le visioni del territorio amato che contrastano con la vita frenetica della metropoli e accendono il desiderio di ritornarvi.
La narrazione si risolve in un tragico finale: il suicidio di Cooper probabilmente deciso per aver compreso l’impossibilità di realizzare il suo sogno consistente nel trasferimento della memoria di un morente su di un vivo. O forse si era reso conto che un tipo simile di uomo dalle plurime identità sarebbe stato sottoposto a un’infinità di impulsi incontrollabili con conseguenze imprevedibili. Il romanzo, che fa magmaticamente interagire ogni particella del cosmo in un panvitalismo di energie nervose, si conclude con una sezione scientifica intitolata Osservazioni teoriche sul dormiveglia, comprendente testi scritti da Epaminonda. Pare ora di poter dire che il dormiveglia, luce sugli abissi, richiama sensazioni sensoriali, memorie agreste, oralità popolare, vite anteriori e miti mediterranei. Rimanda alla dimensione soggettiva dello scrittore, la quale si configura nel ricordo sentito come realtà e fantasia, nonché nel passaggio dalla cultura della megalopoli a quella del villaggio.

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