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Recensioni di libri

I miracoli della vita di Stefan Zweig

Passigli editore, 2020 - Due racconti mistici, carichi di passione carnale e spirituale unite, in cui l’elemento trascendente, ricercato quasi con furore, appare nel divenire e negli eventi, in momenti eccezionali della Storia dove il Divino si rivela, immanente.

Graziella Atzori Pubblicato il 30-03-2023
I miracoli della vita

I miracoli della vita

  • Autore: Stefan Zweig
  • Genere: Raccolte di racconti
  • Categoria: Narrativa Straniera
  • Anno di pubblicazione: 2020

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Nella Piccola Biblioteca Passigli trovo un libro di Stefan Zweig intitolato I miracoli della vita (pp. 126, 2020) tradotto da Loredana De Campi.
Contiene due racconti mistici, carichi di passione carnale e spirituale unite, in cui l’elemento trascendente, ricercato quasi con furore, appare nel divenire e negli eventi, in momenti eccezionali della Storia dove il Divino si rivela, immanente. Ma è sempre riconosciuto?

Il primo racconto, il più lungo, I miracoli della vita, porta il lettore in Fiandra, ad Anversa, nel 1566, durante il conflitto duro e feroce tra protestanti e cattolici. Non sono importanti le fedi religiose, esse appaiono più come ideologie che come verità vissute nel cuore. Così è per la massa anonima, urlante, scalmanata e insensata, dove si annidano delinquenti comuni, pronti a compiere l’assalto al Duomo per distruggerne i tesori d’arte e depredarlo.
Due personaggi si stagliano puri nel dramma: un vecchio pittore mite dai capelli candidi e gli occhi chiari, a cui è stato commissionato un ritratto della Madonna da un ricco mercante. Egli è tormentato dal dubbio sulle sue reali capacità artistiche, sa di essere in grado di copiare dal vero ma di non possedere ancora la fiamma creativa che attinge al mondo invisibile oltre le forme, generatore di queste, e se ne cruccia. Ha compreso l’essenziale, sa che

Non siamo forse creati a immagine del Signore e, per offrire il meglio di sé, la perfezione degli uomini non deve essere forse una pallida e debole copia dell’Invisibile?

Zweig pone quasi sempre la sua visione del mondo in forma di domande, probabilmente per indurre alla riflessione sul quesito posto, inoltre per evitare ogni forma di dogmatismo.
Il pittore è alla ricerca di un volto di donna che sveli la tenerezza della Vergine, la sua celestiale missione. La trova in una ragazzina ebrea, affacciata alla finestra di un vicolo buio del ghetto, all’ora del tramonto. Il sole aureola il capo della fanciulla, il cui volto esprime quanto l’uomo cerca, con in più un atavico dolore che rende i tratti del viso fieri, caparbi; è inavvicinabile. Invece essi si avvicineranno, lei attratta da una bontà paterna sconosciuta. È figlia adottiva di un oste beone e grezzo, sebbene non malvagio, che in un’altra città non precisata ha accettato di salvare la bimba e suo nonno da un pogrom e di portarli con sé, dietro pagamento di una ingente somma di denaro. Il nonno morirà poco dopo. Esther, la bambina, vive una vita nell’ombra, estraniata da tutto e tutti; naturalmente odia i cristiani, non può essere che così, per ora, questi hanno distrutto e ucciso la sua famiglia.

Nella posa, la piccola modella quindicenne deve tenere un pargoletto nudo tra le braccia. All’inizio è contrariata, imbarazzata perfino da quella nudità innocente. Rifiuta il bambino in cuor suo, invece ne viene conquistata, al punto da sentirlo suo. Lo accarezza e bacia di continuo, ricambiata nell’amore dal piccolo.
Il pittore pensa che per dipingere un quadro di valore, che rappresenti Maria, Esther debba convertirsi al cristianesimo. Comprende però che non è necessario, la vita compie i suoi miracoli. Lui stesso viene trasformato dall’affetto provato per la ragazzina di un’altra religione e dalla luce che Esther emana.
Per la prima volta nella sua vita produce un’opera che non è una copia ma verità vissuta e da lui partecipata.

Ma proprio nel momento in cui si sentì vicino come non mai al mistero delle forze divine e della vita stessa egli non pensò più ai loro segni e ai loro miracoli, ma li visse nell’attimo stesso in cui li creava.

Esther, in adorazione del quadro con il bambino posto sulla pala vuota nel Duomo, verrà travolta dalla furia dei rivoltosi.
Non è necessaria nessuna conversione, perché, Zweig afferma, ancora una volta con una domanda, relativa alla piccola martire:

“Forse che in lei non s’erano trovati insieme Dio e Amore?...”

Il secondo racconto, Il pellegrinaggio, narra di un giovane ebreo che arde dal desiderio di conoscere il Messia. Abbandona il suo mondo e si pone in cammino verso Gerusalemme, la città Santa. Lo scrittore usa la maiuscola. Alle porte della città il ragazzo vede tre croci issate su una collina ma non si ferma poiché si tratta di tre malfattori condannati. Non vedrà mai il volto del Redentore immaginato.

Notte e giorno sognava di Lui, e quel desiderio che non gli dava tregua lo portava a creare infinite immagini dei suoi tratti pieni di immensa bontà e tenerezza, ma egli ben sapeva che esse erano solo faticose riproduzioni di una perfezione infinita.

Ma è una perfezione che per lui esclude il "malfattore". Non sa ancora nulla della trasmutazione redentrice, della conversione che il Messia opera interiormente, come ben testimoniano le Confessioni di Agostino.

Stefan Zweig, morto suicida nel 1942 in Brasile, perseguitato in quanto ebreo e costretto all’esilio, è stato uno scrittore e poeta pacifista cosmopolita, sopraffatto dall’insostenibile malvagità umana.

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© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: I miracoli della vita

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