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Storia della letteratura

Gabriele D’Annunzio: vita, opere e poetica

5 cose da sapere su Gabriele D'Annunzio, 5 concetti chiave indispensabili per preparare una tesina e per un ripasso in vista degli esami di maturità.

Simone Casavecchia
Simone Casavecchia Pubblicato il 25-05-2016

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Gabriele D'Annunzio: vita, opere e poetica

Gli esami di maturità si avvicinano e molti studenti sono alla ricerca di riassunti per un ripasso veloce degli autori principali del Novecento. Per conoscere la vita, le opere e la poetica di Gabriele D’Annunzio, uno dei massimi esponenti del decadentismo italiano ed europeo abbiamo analizzato 5 nuclei tematici principali, che consentano di entrare nell’universo letterario di questo controverso e affascinante autore.

Ecco le 5 cose principali da sapere su Gabriele D’Annunzio, un riassunto dei concetti necessari per comprendere l’autore, sperando che siano un utile punto d’avvio per la redazione di una tesina scritta in vista degli esami di maturità o la scrittura di elaborati con un maggiore livello di approfondimento, spesso richiesti negli esami universitari.

Vita e opere di Gabriele D’Annunzio

Gabriele D’Annunzio nasce a Pescara nel 1863 da genitori di famiglie agiate e compie studi liceali a Prato, dove ottiene la licenza nel 1881. Trasferitosi a Roma, collabora con giornali e riviste e conosce la mondanità; nel 1882 pubblica Canto Novo, con cui riscuote un notevole successo di critica, e la raccolta di novelle Terra Vergine. L’anno successivo sposa Maria Hardouin di Gallese e pubblica le poesie di Intermezzo di Rime che suscitano scandalo per il tema erotico. Del 1886 sono la raccolta di novelle San Pantaleone e la raccolta Isotta Guttadauro e altre poesie. Nel 1887 frequenta Barbara Leoni; pubblica i romanzi: Il Piacere (1889) che riscuote grande successo e L’Innocente (1891).

Dopo un soggiorno in Abruzzo, si trasferisce a Napoli nel 1891, insieme alla sua nuova amante Maria Gravina Cruyllas. Nel 1893 pubblica le raccolte poetiche Il Poema Paradisiaco e le Odi Navali. Lasciata Napoli nel 1894, termina i romanzi Il trionfo della morte (1894) e Le Vergini delle Rocce (1895).
Dopo una crociera in Grecia, Gabriele D’Annunzio inizia una relazione con l’attrice Eleonora Duse (1895) per la quale scrive il dramma teatrale La Città Morta (1896). Nel 1897, con i voti della destra, viene eletto deputato; l’anno successivo si trasferisce a Settignano, in Toscana, nella villa "La Capponcina" dove, tra lussi e sfarzi enormi, termina il romanzo Il Fuoco e, dopo aver abbandonato i banchi parlamentari (1900), compone la tragedia Francesca de Rimini (1901). Pubblica nel 1902 la raccolta Novelle della Pescara e, l’anno successivo, i primi tre libri delle Laudi (Maia, Elettra, Alcyone); compone anche il dramma in versi La figlia di Jorio, a cui segue La fiaccola sotto il moggio.

A una tumultuosa vita sentimentale (lascia la Duse per Alessandra di Rudini e, poi, quest’ultima per Giuseppina Mancini) corrisponde una frenetica produzione letteraria e drammaturgica (Più che l’amore; La nave; Fedra, pubblicati tra il 1906 e il 1909) che gli dà fama internazionale.
Tra il 1910 e il 1915 è in Francia dove si trasferisce, nel 1910, dopo la pubblicazione del romanzo Forse che sì, forse che no, insieme a Nathalie de Goloubeff; compone Le martyre de Saint Sebastien (1911), in francese arcaizzante, musicato da Debussy; il melodramma Parisine (1912), musicato da Mascagni e sceneggia il film Cabiria (1914).

Assurto ormai a poeta vate della nuova Italia, nel 1915 rientra in patria, dove è protagonista della campagna interventista e della Grande Guerra, in cui partecipa a numerose azioni belliche e perde l’occhio destro. Nell’immediato dopoguerra rimane uno degli italiani più in vista, soprattutto per l’occupazione di Fiume (1919) dove fonda la "Reggenza italiana del Carnaro".
Tornato in Italia nel 1921 si stabilisce nella villa di Cargnacco sul lago di Garda, nominato principe di Montenevoso da Vittorio Emanuele III (1924) e, foraggiato da regime fascista, si dedica alla sistemazione editoriale della vastissima produzione letteraria e alla trasformazione della villa di Cargnacco nel monumento nazionale del "Vittoriale degli Italiani", dove muore nel 1938.

Estetismo e superomismo

La vita e la produzione letteraria sono difficilmente separabili in D’Annunzio che, per sua stessa ammissione, voleva

"Fare della propria vita un’opera d’arte."

Pur essendosi espresso in molti generi letterari tra loro diversissimi ed essendo stato attratto da svariate manifestazioni artistiche, alla base della sua produzione D’Annunzio pose consapevolmente un progetto di vita inimitabile, fatto di scelte estreme e clamorose, amori scandalosi, uno stile di vita sfarzoso, imprese militari e una diffusa eccentricità. Ciò lo rese non solo uno scrittore ma anche un protagonista della vita nazionale, capace di influire, come un modello di comportamento, sull’opinione pubblica.

Alla radice delle scelte artistiche ed esistenziali si ritrova, comunque, il medesimo desiderio di vivere e di possedere la realtà in tutte le sue manifestazioni sensibili, un bisogno ossessivo di godimento sensuale, di vitalità, energia e di forza, impulsi che si sublimano nel culto estetizzante della Bellezza. D’Annunzio può essere, quindi, definito un esteta, perché concepisce la vita come culto dell’arte e del bello, la costruisce come opera d’arte raffinata e preziosa e pone, esulando da ogni morale, la Bellezza stessa come valore assoluto della propria vita.

Influenzato da Nietzsche, di cui lesse lo Zarathustra, avversò sempre la routine del mondo borghese industriale e le istituzioni democratiche e parlamentari a cui contrappose una concezione aristocratica, con il correlato disprezzo delle masse. Attraverso il mito del superuomo, declinò la sua concezione totalizzante dell’arte anche nella dimensione civile e politica, elaborando l’idea di una missione di grandezza e di potenza della nazione italiana, da realizzare attraverso una vita eroica e il perseguimento della gloria militare; a questo mito dell’eroe si collegano il giudizio negativo sull’Italia postunitaria e la ricerca delle proprie radici storiche nella civiltà pagana greco-romana e in quella rinascimentale.

La poetica di Gabriele D’Annunzio

La poetica di D’Annunzio – di ascendenza nettamente decadente – deriva dai presupposti ideologici appena richiamati e si contrappone a quella di stampo positivista poiché ripudia la ragione come strumento di conoscenza e nega all’intelligenza la possibilità di stabilire una gerarchia valoriale che possa guidare l’agire umano.
L’istinto sessuale, l’ebbrezza erotica e l’amore fisico diventano lo stimolo per attingere il segreto della vita profonda, intesa come incessante rinnovamento della forza e della bellezza, per intuire la divinità delle cose e per partecipare al ritmo della natura e fondersi con la sua anima divina.

La poesia, quindi, viene intesa come sapienza intuitiva che coglie la suprema armonia dell’universo, un mondo e una verità più profondi di quelli mostrati dalla ragione e dalla scienza. Conseguenza diretta di tale posizione è l’esaltazione della parola musicale, alogica, allusiva ed evocativa e del verso capace – come si legge nel Piacere – di

"Definire l’indefinibile e esprimere l’ineffabile, [...] abbracciare l’illimitato, penetrare l’abisso [...] raggiungere l’assoluto".

Lo stile dannunziano è caratterizzato dall’uso di vocaboli rari e preziosi, da una ricca quantità di immagini e dalla continua ricerca del ritmo e della musicalità che puntano a colpire i sensi più che l’intelletto del lettore. Nelle liriche più alte (Alcyone) le parole e le immagini si fanno evanescenti, sfumando in una musica suggestiva, mentre il linguaggio è finemente alogico ed evocativo, l’emozione del poeta comunica l’ideale del panismo, ossia il compenetrarsi con la natura e la capacità di immedesimarsi con il tutto, la dispersione dell’io nel ritmo vitale della natura e la dissoluzione del soggetto negli infiniti aspetti delle cose, per attingere a una dimensione superumana, quasi divina. Il panismo indica la capacità del poeta di abbandonarsi ai brividi più tenui e impalpabili della natura, di immedesimarsi con le cose stesse, con il mare, il fiume, la pioggia, sino a perdere il proprio nome e il proprio destino tra gli uomini.
Un celebre esempio di quanto detto è la poesia La pioggia nel pineto.

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Le rime e le laudi

In D’Annunzio convivono il poeta simbolista, che ricerca una forma eletta di conoscenza e di espressione del reale, e l’esteta superuomo, consapevole del valore pratico dell’opera d’arte, carica di potenzialità civili e poetiche.
Nelle prime raccolte liriche (Canto Novo) emerge il motivo più potente dell’ispirazione dannunziana, la vena sensuale, erotica, naturalistica e pagana, messo a tema con una lingua evocativa, più musicale che discorsiva, utilizzata per attingere a una dimensione di pura bellezza; nelle raccolte degli anni successivi, invece, è più evidente l’estetismo e il manierismo dannunziano, l’intarsio di voci alterne dove i contenuti di raffinata sensualità e di erotismo si alternano ai toni più morbidi e malinconici della sazietà della carne, del vagheggiamento della purezza dell’infanzia, del compiacimento di una ritrovata bontà.

Nelle Laudi, invece, è più netta l’identificazione con il superuomo di Nietzsche: anche ricorrendo a topoi della cultura classica, D’Annunzio celebra l’eroismo in tutte le sue manifestazioni, siano esse civili, politiche, artistiche e culturali. Canta, poi, lo slancio panico dell’io che contempla la bellezza della natura e si perde totalmente in essa: nell’estate e nell’ora panica (quella assolata, del meriggio estivo), descritte in Alcyone, il poeta, messe da parte le esasperazioni erotiche e la retorica magniloquente, si abbandona all’incanto musicale della natura ed esprime la dissoluzione dell’umano nel naturale, cioè la capacità dell’io di trovare la comunione con il tutto.

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I romanzi e il teatro

Dopo gli esordi, con alcune raccolte di novelle dedicate al mondo selvaggio e violento dei contadini abruzzesi, D’Annunzio si deciderà presto per il romanzo, genere in cui la sua produzione prosaica raggiunge i vertici più alti. Queste opere, dove il protagonista è sempre un esteta dalla volontà malata, risultano assai deboli dal punto di vista dell’intreccio e del ritmo narrativo, si rivolgono a un pubblico colto e mirano a costruire un libro ideale dove lo stile deve dar prova di padroneggiare le più diverse virtù della parola scritta.

Il Piacere (che, insieme a Il Ritratto di Dorian Gray e ad À rebours, è uno dei vertici del decadentismo europeo) descrive la vita principesca del protagonista, le sue idee, i suoi arredi, i suoi travagli artistici e, soprattutto, le passioni del protagonista per donne fatali, sensuali e travolgenti: è il romanzo in cui D’Annunzio trasferisce tutto il proprio estetismo e la propria esperienza di dandy e di artista.
Nei romanzi successivi emergerà in modo più evidente la tematica del superuomo, con dei protagonisti che acquistano coscienza della funzione culturale e politica del proprio estetismo, sentendosi investiti della missione di gettare le base di una nuova élite di dominatori e di contrastare la "bestia" democratica e parlamentare.

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Nella produzione teatrale, D’Annunzio ha ricercato uno strumento espressivo più persuasivo rispetto al romanzo; l’avvicinamento al teatro, anche se almeno parzialmente indotto dalla relazione con Eleonora Duse, risponde anche a precise esigenze letterarie perché gli permise di stabilire un rapporto diretto con il grande pubblico. Come i romanzi, il teatro di D’Annunzio è essenzialmente lirico, povero di azione, spesso retorico e magniloquente, quasi sempre intriso di sangue, incesti, crudeltà di ogni genere.

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