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Recensioni di libri

Alcune questioni di filosofia morale di Hannah Arendt

Einaudi, 2015 - La filosofa e scrittrice Hannah Arendt non poteva accettare quello che accadde nei campi di concentramento nazisti e fino all’ultimo trovò conforto nelle questioni morali di cui gli uomini si erano imbevuti fin da Socrate.

Vincenzo Mazzaccaro
Vincenzo Mazzaccaro Pubblicato il 01-01-2023
Alcune questioni di filosofia morale

Alcune questioni di filosofia morale

  • Autore: Hannah Arendt
  • Genere: Filosofia e Sociologia
  • Categoria: Saggistica
  • Casa editrice: Einaudi
  • Anno di pubblicazione: 2015

Chi scrive ha molte difficoltà a scrivere di Hannah Arendt perché è una parte della sua vecchissima tesi di laurea. Ci ho messo del tempo a leggere libri nuovi scritti da Arendt o libri che scrivono di lei, che non erano stati pubblicati (ma nemmeno scritti) ai tempi della laurea. Non avendola più letta nemmeno per sbaglio (e non avendo più copie perché molto gentilmente me le aveva procurate la Biblioteca delle Comunità Ebraiche a Roma), ammetto che nel tempo ho dimenticato tutto e ora leggo Arendt come un lettore comune. Questa lunga premessa autoreferenziale era necessaria, dal momento che mi appresto a scrivere di Alcune questioni di filosofia morale (Einaudi, 2015), lezioni tenute negli Stati Uniti a metà degli anni Sessanta, tradotte con acume da Davide Tarizzo e con la prefazione illuminante di Simona Forti.

Hannah Arendt inizia con chiedersi se gli uomini hanno un concetto universale di cos’è il male e cos’è il bene che vale per tutti, per gli europei e per gli americani (senza citare altri popoli, perché i libri o i filosofi da cui lei prende spunto non dicono niente a un cinese) e fa leva su una famosa frase di Terenzio, commediografo latino, che recita in italiano:

"Tutto ciò che è umano mi appartiene, non mi è estraneo".

Arendt sostiene che questo nuovo interesse per la filosofia morale deriva dai processi che si sono avuti dopo la fine del nazismo contro chi ha organizzato i campi di sterminio per gli ebrei (l’autrice non ha mai menzionato gli zingari o gli omosessuali o i principali politici che lottarono con forza contro il nazismo, anch’essi morti nei lager, semplicemente perché lo sterminio degli ebrei era "la soluzione finale" affinché non restasse nemmeno un ebreo sulla terra).

Arendt capì subito che parlare di principi morali era un ginepraio inestricabile. Troppi gli esempi che rendevano i problemi morali e il moralismo simili nel significato, senza esserlo. La morale è un codice di comportamento che la singola persona può rigettare per avere maggiore libertà interiore e nelle azioni, mentre il moralismo è essere continuamente sul pedale dei doveri imprescindibili, per cui non puoi fare questo o quello, fino al non poter nemmeno indossare un vestito che ti piace. Il moralismo è un comportamento ipocrita di chi non vuole ci siano cambiamenti nel mondo, nella famiglia, nel singolo individuo. Hannah Arendt, da filosofa, non si esprime in modo così sciatto, ma il concetto base rimane, perché gli aspetti morali, per cui lei inizia da Socrate e finisce a Nietzsche, passando per Kant, sono diventati poi l’ossessione della studiosa quando intervistò Adolf Eichmann, il capo dei campi di concentramento, che le disse che non esisteva per lui né il bene, né il male. Quest’affermazione fatta da un uomo che aveva sulla coscienza la responsabilità della "soluzione finale" ebraica le restò come una macchia indelebile, da cui doveva uscire (e infatti in questo libro il nome Eichmann compare solo una volta).

Tutto l’impianto filosofico che mette su Arendt è per dire che non possiamo lucidamente scrivere di morale in quel che successe in Germania in quel periodo di guerra, pena il pensare che l’uomo comune non faccia cose obbrobriose perché non ne ha gli strumenti, che l’intera umanità preferisca l’indifferenza allo sdegno. Questo comportò che Arendt purtroppo non riuscì mai veramente a discutere di filosofia e di altro che andasse aldilà della sua analisi sul totalitarismo nazista e i suoi effetti agghiaccianti, racchiusa ne La banalità del male. Fu il grande limite di una donna coltissima, ma anche spiritosa e gioviale, che divorziò dal collega Günther Anders, perché troppo pessimista e troppo cupo, e questa cupezza gli rimaneva appiccicata anche nelle abitudini matrimoniali, tanto che la studiosa gli diede il benservito.

Una donna complessa e ironica che rimase legata a doppio filo a quel libro che lei cominciò a detestare, ma ancora di più l’intervista che fece a Eichmann in prigione, condannato a morte. Per questo leggere queste lezioni serve enormemente per togliere a Hannah Arendt un vestito strettissimo che lei stesse volle indossare per anni.

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© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Alcune questioni di filosofia morale

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