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Recensioni di libri

La banalità del male di Hannah Arendt

“La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme”, saggio di Hannah Arendt, è entrato nella storia della filosofia perché supera le comuni definizioni di bene e di male. Hannah Arendt, filosofa ebrea, seguì in qualità di giornalista il processo che si tenne a Gerusalemme contro Heichmann, criminale nazista...

Rosa Aimoni
Rosa Aimoni Pubblicato il 28-06-2011

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La banalità del male

La banalità del male

  • Autore: Hannah Arendt
  • Genere: Filosofia e Sociologia
  • Categoria: Saggistica
  • Casa editrice: Feltrinelli

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“La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme”, saggio di Hannah Arendt, è entrato nella storia della filosofia perché supera le comuni definizioni di bene e di male.
Hannah Arendt, filosofa ebrea, seguì in qualità di giornalista il processo che si tenne a Gerusalemme contro Heichmann, il criminale nazista condannato per essere stato il principale responsabile della cosiddetta “soluzione finale”.
Durante il processo, Heichmann mostrò al mondo la sua vera personalità che, contrariamente a quello che si potrebbe pensare, non aveva nulla di demoniaco; in altre parole il male, secondo Hannah Arendt, non origina da un’innata malvagità ma dall’assenza totale di pensiero.
Heichmann si rivelò una persona “banale”, il cui carattere palesava anche tratti burleschi e istrionici; da ciò la Arendt dedusse che il male “non è radicale, ma solo estremo”, come specifica anche nel saggio “Ebraismo e modernità” da lei stessa scritto.
Furono proprio l’assenza di pensiero e l’incapacità di confutazione a rendere Eichmann un criminale. Le persone che come lui non riflettono sono inclini ad eseguire gli ordini imposti dal potere senza nemmeno chiedersi se essi siano giusti o sbagliati; ecco cos’è la banalità del male, nient’altro che la totale assenza di idee. Tale mancanza rende la persona una marionetta che esegue, senza nemmeno discuterli, i dettàmi provenienti da coloro che comandano.
Dal pensiero della Arendt si ricava un ribaltamento delle categorie concettuali di bene e di male; esse non sono in antitesi perché, in realtà, non hanno niente in comune per potersi rapportare. Il bene è “radicale”, proviene dalla mente, dalla riflessione e dal cuore; il male, al contrario, non si fonda su nulla, nemmeno sull’odio, ma è causato solo dalla totale incapacità critica.
Il saggio si sofferma anche sulla questione, non meno importante, della modalità con cui si è svolto il processo a carico di Heichmann. Quest’ultimo, secondo la Arendt, avrebbe dovuto essere processato da un tribunale internazionale e non da quello israelita: Heichmann, come tutti i nazisti, commise crimini non solo contro il popolo ebraico, ma contro l’umanità intera. Tentare di eliminare una razza dalla terra equivale infatti a compromettere l’esistenza di tutta l’umanità, proprio perché si fa venir meno una sua parte essenziale, esattamente come quando, amputando un braccio, si danneggia l’intero corpo di una persona.
La lettura di questo saggio è consigliabile perché propone delle tematiche dai risvolti ancora attuali. Il libro, inoltre, invita il lettore a riflettere e a porsi spontaneamente la domanda: “Ma se io fossi vissuto in Germania ai tempi del nazismo avrei contrastato Hitler o avrei seguito la maggioranza?”

Altre informazioni su La banalità del male nella video recensione di Rosa Aimoni:


© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La banalità del male

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Commenti: 2

  • Rosa Aimoni, scrittrice
    1 luglio 2011, 12:59

    Vorrei scrivere un’ultima considerazione su questo prezioso libro; esso dovrebbe essere studiato in tutte le scuole superiori.
    Dovrebbe, inoltre, essere OBBLIGATORIAMENTE studiato, e in maniera approfondita, nelle suguenti facoltà:
    - giurisprudenza, (ad esempio all’interno dell’insegnamento di filosofia del diritto) perché il libro sottopone al lettore questioni dai risvolti filosofici e giuridici (come la modalità in cui è stato processato Eichmann);
    - psicologia e sociologia perché affronta in maniera diversa la tematica del male, sia dal punto di vista individuale che del condizionamento di massa.

    Rosa Aimoni.

  • Stefania Carbone
    22 febbraio 2013, 12:52

    La recensione di questo libro chiarisce perfettamente il significato dell’espressione “la banalità del male” di Hannah Arendt.

    Sono pienamente d’accordo con Rosa Aimoni quando sottolinea la necessità di promuovere la lettura di questo testo nelle Scuole Superiori e in Università, ai laureandi in giurisprudenza, psicologia e sociologia, oltreché agli studenti di filosofia. Infatti, questo saggio ci permette di fare molteplici considerazioni sulla realtà socio-politico-culturale che ci circonda. A tal proposito vorrei suggerire un’ulteriore riflessione proponendo la lettura dell’articolo “Siamo capaci di giudicare?” (http://filosofare.webnode.it/h-arendt-1906-1975-/).

    Si tratta di una mia personale considerazione, breve ma significativa, sul concetto di giudizio in rapporto al potere e alla responsabilità che vi dovrebbe essere nel prendere decisioni in ambito morale, scientifico, storico e politico.

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