

Uomini della RAF. Il Bomber Command nella Battaglia di Berlino 1943/44
- Autore: Agostino Alberti Luca Merli
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2024
Un volume illustrato strepitosamente, con rare foto in bianconero, schede e tavole anche a colori. Due autori esperti di aviazioni militari. Un editore specializzato in saggi di storia aerea, accanto a manuali di volo, tecnica aeronautica e aerospazio. Indubbiamente un’opera per appassionati, ma il taglio di “politica” militare ed etica tracciato nell’introduzione, unito all’ottima scrittura e all’agevole leggibilità, rende adatto a un pubblico più vasto Uomini della RAF. Il Bomber Command nella battaglia di Berlino 1943/1944, pubblicato da IBN Editore nella collana Aviolibri Dossier (Roma, settembre 2024, 232 pagine). Lo firmano Agostino Alberti e Luca Merli, due quinti del gruppo di archeologi dell’aviazione Air Crash Po Airfinders, studiosi e ricercatori volontari di velivoli precipitati nel territorio padano e non solo, durante la Seconda Guerra mondiale.
Oltre alle tante e ben riprodotte immagini del periodo bellico, un’ulteriore galleria fotografica è a disposizione degli interessati, inquadrando il QR Code nell’ultima pagina di testo, la numero 228, su iniziativa dell’editore romano, Istituto Bibliografico Napoleone.
Parlare di Bomber Command significa evocare la discussa dottrina dell’area bombing e il comandante in capo dell’aviazione britannica pesante, maresciallo dell’aria Arthur Harris, che la condusse cocciutamente, senza scrupoli, insensibile alle implicazioni morali e alle ricadute politiche. Per quanto negasse d’incentivare bombardamenti terroristici indiscriminati (di cui accusava invece la Luftwaffe nella precedente battaglia aerea d’Inghilterra), è oggettivo che le missioni di equipaggi pur giovani e valorosi abbia causato la distruzione di intere città e la morte di centinaia di migliaia di civili. Del resto, con i bombardamenti notturni (a tappeto e non di precisione), la RAF inglese si prefiggeva di annientare l’industria e mettere in ginocchio la società civile.
Gli autori ricordano che la British Official History dell’offensiva aerea ha decretato un giudizio severo nel 1961: la campagna di area bombing aveva mancato l’obiettivo d’incidere sulla produzione industriale nemica e di spezzare la volontà di resistere dei tedeschi, pur avendone indebolito la macchina bellica, con la distruzione delle vie di comunicazione e la distrazione di forze dai fronti per contrastare la minaccia dal cielo. Prima di affrontare gli aspetti etici, va detto che il personale del Bomber Command proveniva da almeno quattordici Nazioni alleate: una forza aerea cosmopolita. Tutti gli aviatori erano volontari. All’inizio del conflitto l’equipaggio standard di un bombardiere leggero Blenheim o medio Wellington contava tre-quattro uomini, dal 1942 invece, a bordo di un quadrimotore erano in sette-otto: pilota (uno solo), navigatore, puntatore, motorista, marconista, due mitraglieri, dorsale e caudale. Erano entrati in linea bombardieri pesanti di nuova generazione, Short Stirling, Handley Page Halifax, Avro Lancaster, per portare sulla Germania un carico maggiore di micidiali bombe ad alto potenziale ed esplosive. I grandi velivoli condividevano in generale ottime qualità aviatorie, facilità di pilotaggio, ampia autonomia, manutenzione relativamente semplice, buone doti d’incassare colpi, alte capacità di carico di bombe, ma un armamento difensivo insufficiente, una velocità massima insoddisfacente e un aspetto grossolano.
Tornando all’introduzione, non si può dire che la storiografia abbia riservato un trattamento generoso agli aviatori del Bomber Command. La campagna della RAF contro le città tedesche è condannata come criminale e inutile. Altissimo il prezzo pagato dalla popolazione in Germania, come in Italia e nell’Europa occupata, Francia, Olanda, Belgio, Balcani. Tremende le distruzioni di edifici, fabbriche, infrastrutture, linee di comunicazione e ci vollero anni per ricostruirle, nel dopoguerra. Le vittime civili dei bombardamenti sui territori controllati dalle truppe tedesche furono quasi un milione e molti di più i feriti. La dottrina dell’area hombing, il bombardamento a tappeto delle città, concorse comunque alla vittoria finale. Gli equipaggi del Bomber Command subirono le perdite più elevate tra gli Alleati (meno però degli equipaggi degli U-Boote tedeschi). Complessivamente, in 364.514 voli andarono perduti 8.325 velivoli (2,2%), ma il dato impressionante riguarda chi volava: su 125 mila, rimasero uccisi 57.205 (46%), 84.013 feriti e 9.838 prigionieri. In totale, 75.446 aviatori perduti in azione, pari ad oltre il 60% della forza.
Questo contributo, scrivono Alberti e Merli, vuole rendere giustizia e merito ad equipaggi raffigurati come “macellai, terroristi dell’aria, gangster che se la prendevano con la popolazione civile”. In realtà, ragazzi di vent’anni o poco più erano mandati allo sbaraglio, dopo un addestramento lungo e completo, comunque insufficiente a prepararli. Il compito di decollare dall’East Anglia, sorvolare l’Europa occupata, raggiungere l’obiettivo, sganciare le bombe e rientrare alla base provocava uno stress emotivo straziante. Era anche malagevole e insicuro: quegli aerei non erano progettati per stare comodi, ma per trasportare il maggior carico di bombe sull’obiettivo. Dalle temperature polari alle alte quote ci si difendeva spesso empiricamente. Gli strumenti di navigazione, per quanto all’avanguardia, non erano paragonabili agli attuali. L’armamento difensivo e la velocità restarono sempre insufficienti a proteggere i bombardieri britannici dai caccia notturni della Luftwaffe. Anche i numeri erano contro. L’altissimo rateo di perdite negava statisticamente di sopravvivere al tour operativo di trenta missioni. Da un tasso di abbattimenti del 4%, ritenuto accettabile, sarebbe derivata la perdita del 120% degli aviatori!
Erano matematicamente votati alla morte.
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