Una lacrima color turchese
- Autore: Mauro Corona
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Mondadori
- Anno di pubblicazione: 2014
"Quando s’avvicina il Natale, precisamente verso il primo dicembre, ci disponiamo tutti alla bontà. O meglio, a essere più buoni, perché buoni siamo convinti di esserlo già".
Questo è il perentorio incipit dell’ultimo libro di Mauro Corona, "Una lacrima color turchese" (Mondadori, 2014, pp. 92): una fiaba "cattiva", come la definisce l’autore stesso, una fiaba dello svelamento, una fiaba che racchiude la malvagità del nostro secolo.
In un anonimo paesino rintanato tra le montagne, sotto il periodo natalizio, quando l’albero troneggia in un angolo della casa, addobbato e luccicante, quando le nenie natalizie campeggiano indisturbate fuori dalle abitazioni e la gente tutta si affanna per camuffare, nel più gioioso dei modi, il mantello di falsità che generalmente la avvolge, proprio ora, quando nulla doveva essere fuori posto, altrimenti la messa in scena non sarebbe andata a buon fine, succede un fatto che sconvolgerà l’intero paese. Il Bambin Gesù scompare dalla culla. Tutte le pie donne di famiglia si scandalizzano di fronte all’accaduto ed incolpano sulle prime i loro giovanissimi figli, salvo poi ricredersi quando realizzano che in qualunque presepe, esposto privatamente o all’esterno, manca il Bambin Gesù. Nel giro di poco tempo la notizia si spande e si viene a sapere che l’atroce misfatto non riguarda solo il paesino sperduto tra le montagne, ma ha investito l’Italia e l’Europa.
In un fuggi fuggi di notizie, aizzati da una spietata corsa contro il tempo, giornalisti, emittenti televisive ed esperti si mobilitano per risolvere - e soprattutto per trasformare in business - il caso dello scomparso Bambin Gesù.
All’interno di una storia semplice e lineare, dal sapore rude e a tratti selvaggiamente beffardo, Mauro Corona incastra la vita di tutti i giorni: la critica all’ipocrisia e al perbenismo natalizio, in realtà, si snodano all’interno del racconto fino a trasformarsi in un feroce attacco all’ipocrisia e al perbenismo che ci accompagnano giorno dopo giorno nella quotidianità di questo nostro Tempo. A partire dalle amare e ricorrenti considerazioni sulla religione dei fedeli integerrimi, quelli che sono cresciuti a pane e sospetti, quelli che fanno la comunione tutti i giorni e poi dimostrano "indifferenza verso chi non ha niente per campare", quelli che si recano alla messa di Natale che non viene più fatta a mezzanotte, perché le messe di mezzanotte "sono andate a farsi benedire. I preti, impegnati in altre faccende, (…) le celebrano alle 21, rubando gran parte di intensità al fascino natalizio", a partire da questo, si procede con le terribili riflessioni sulla cronaca e sulla modernità.
Posto il fatto che un presunto colpevole della sparizione del bambinello dal presepe dovesse esserci, e assodato ormai che quelli del paese "volevano il colpevole e siccome non sapevano chi fosse, gliene bastava uno qualsiasi. Uno da linciare", ciò non giustifica (o forse sì?) l’accanimento mediatico nei confronti di una questione tanto delicata quanto intima: ciò che più spinge Corona ad accanirsi contro "giornalisti, televisioni locali e scribacchini" non è tanto il giusto interessamento che costoro nutrono per il fattaccio, quanto l’ormai dilagante ed alienante volontà di distorcere quelle poche notizie giunte alle loro orecchie, tutto volto alla speculazione di un episodio che avrebbe dovuto allarmare, più che incuriosire.
La critica più atroce che Mauro Corona avvinghia alle pagine di questo libro è insieme un atto di coraggio e un bisogno di verità. Dedicando a Papa Francesco questo racconto, in cui è descritta con lucidità spiazzante – in uno stile tutto made in Corona - la codarda curiosità dei “cardinali con attici nella capitale degni di nababbi” di scoprire dove si sia cacciato questo Gesù, forse un po’ discolo e un po’ monello, lo scrittore di origini trentine ci costringe a posare lo sguardo su questo “Natale mutilato” del terzo millennio, dove l’unico elemento destinato a conservare la propria purezza è la neve, che cade imperterrita quasi a voler nascondere la “festa ormai vuota e falsa” che è diventata il Natale, “fotocopia anemica e priva di sincerità” rispetto a quella di quant’anni fa.
Perché Corona è la voce dell’autenticità, è il moderno scrittore della nostalgia, dell’antica bellezza che riuscivamo a ritrovare nei versi di Ungaretti di ormai cento anni fa (“Non ho voglia/ di tuffarmi/ in un gomitolo/ di strade (…) Qui/ non si sente/ altro/ che il caldo buono”) o in quelli di Rodari. Corona è il poeta che si accorge dei dimenticati, degli emarginati, degli anziani genitori che stazionano in un ricovero di periferia e dei “bambini indifesi e violati” dai “pedofili, adescatori di giovinetti” che “saltavano nelle sagrestie indignati dalla scomparsa del Bambin Gesù”. L’occhio attento di Corona non risparmia niente e nessuno, neanche i genitori di figli assenti, avviluppati nella morsa tenace della tecnologia, quella stessa tecnologia che li distrae e ne sgretola la coscienza di esseri umani: come Giuseppe e Maria nel presepe continuavano a tenere lo sguardo fisso sulla culla vuota e “non mollavano dal viso la pietas di genitori umili e felici”, così le mamme e i papà di oggi perseverano nel tenere sotto controllo il vuoto di fronte a loro, il vuoto che i loro figli hanno lasciato, ragazzi dall’involucro splendente, patinato e concavo, dentro cui si avverte l’eco della disperazione, che non giunge alle orecchie degli adulti.
Urlando al mondo di aprire gli occhi, di volgerli al cielo anziché di tenerli fissi, bassi, sui nostri tablet, sui nostri cellulari, chiedendo che venga fatta giustizia nei cuori della gente, affinché sia in grado di comprendere il vero e terribile misfatto che ognuno di noi, quotidianamente, compie verso se stesso, Mauro Corona con questa fiaba breve ma intensa, crudele e armoniosa, regala un po’ di sé ad un Bambin Gesù ribelle e audace, inedito e dedicato ad un pubblico maturo, ma che ancora deve prendere piena consapevolezza del tradimento che riversa contro la propria blanda identità.
Una fiaba natalizia che si conclude con un finale inaspettato, che lascerà a bocca aperta perfino i più scettici. L’ironia e il sarcasmo che accompagnano la scrittura di Mauro Corona sono spie di un malessere che sente la necessità di essere ascoltato, un malessere che Corona, proprio come gli antichi latini e greci, ci ha somministrato indorando la pillola e trasformando una vera e propria denuncia in una splendida fiaba natalizia.
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