Un Occidente prigioniero
- Autore: Milan Kundera
- Genere: Politica ed economia
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Adelphi
- Anno di pubblicazione: 2022
In questi tempi calamitosi giunge opportuna la decisione della casa editrice Adelphi di pubblicare Un Occidente prigioniero di Milan Kundera (2022, trad. G. Pinotti). Questo libretto consta di due parti:
- La letteratura e le piccole nazioni, discorso tenuto in occasione del Congresso degli scrittori cecoslovacchi del 1967,
- Un Occidente prigioniero o la tragedia dell’Europa centrale, saggio uscito nel 1983 sul periodico "Le Débat".
Secondo Kundera:
"Nel dopoguerra si sono delineate... tre situazioni fondamentali: quella dell’Europa Occidentale, quella dell’Europa Orientale e quella, la più complessa, della parte d’Europa situata geograficamente al Centro, culturalmente ad Ovest e politicamente Est".
Verso la metà del 1800 lo storico František Palacký, la figura più rappresentativa della politica ceca del diciannovesimo secolo, elaborò il concetto secondo il quale:
"L’Europa Centrale avrebbe dovuto costituire un nucleo di nazioni uguali che, nel reciproco rispetto è sotto l’egida di uno stato comune e forte, avrebbero coltivato le loro specifiche diversità".
Il tutto concepito sulla base di questa regola: il massimo di diversità nel minimo spazio. Tutto il contrario della Russia, che si fondava sulla regola opposta: il minimo di diversità nel massimo spazio.
A parere di Kundera:
"All’Europa Centrale e alla sua passione per la diversità, infatti, nulla poteva risultare più estraneo della Russia uniforme, uniformante, centralizzatrice, tesa a trasformare con temibile determinazione tutte le nazioni del suo impero (ucraini, bielorussi, armeni, lettoni, lituani ecc.) in un unico popolo Russo".
Per Kundera una delle colpe dell’Europa Centrale risiede in quella che definisce "ideologia slava". Secondo lui "si tratta solo di una mistificazione politica inventata nel diciannovesimo secolo".
E riporta, a tal proposito, una dichiarazione dello scrittore ceco Karel Havlíček del 1844, che metteva in guardia i suo compatrioti contro la loro russofilia ingenua e priva di realismo: "Ai russi piace definire slavo tutto ciò che è russo, in modo da poter poi definire russo ciò che è slavo".
A pagina trenta del libretto Kundera riporta una famosa frase di una lettera di Voltaire a Helvétius, citata spesso (non di rado a sproposito):
"Non sono d’accordo con quanto dite ma mi batterò sino alla morte perché abbiate il diritto di dirlo".
Mirabile spiegazione del principio etico su cui si basa la cultura moderna.
Nel settembre 1956, il direttore dell’agenzia di stampa ungherese, pochi minuti prima che il suo ufficio venisse distrutto dall’artiglieria, trasmise per telex un disperato messaggio che termina con queste parole:
"Moriremo per l’Ungheria e per l’Europa".
Che intendeva dire? Certamente che i carri russi mettevano in pericolo l’Ungheria e l’Europa. Così come ai giorni nostri in Ucraina è anche l’Europa a essere presa di mira.
Un Occidente prigioniero
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