Un’indicibile tenerezza
- Autore: Giorgio Montefoschi
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: La nave di Teseo
- Anno di pubblicazione: 2024
Un’indicibile tenerezza (La Nave di Teseo, 2024), nuovo romanzo di Giorgio Montefoschi, risuona a chi lo segue da decenni come qualcosa di già sentito eppure sempre nuovo, nell’intonazione della narrazione che, con gli anni che passano, sempre di più si identifica con una generazione che si avvia verso il tramonto, per età anagrafica, per la consuetudine di abitudini, sensazioni, sentimenti che sembrano essere entrati in una stagione priva di entusiasmi e poco attratta dal futuro.
Pietro Navarra, lo scrittore ormai maturo, ha appena incontrato nel suo appartamento romano di via Gramsci ai Parioli la giovane editor della sua storica casa editrice milanese, e le ha appena detto che non vuole pubblicare il suo nuovo romanzo, il cui manoscritto giace abbandonato sul cuscino di un divano. Paola Frontali, la giovane editor, senza trucco e dai capelli neri corti, cerca di insistere, ma la decisione sembra presa. Il dialogo rapido tra i due è uno scambio di informazioni, da una conferenza su Musil che la giovane donna aveva ascoltato al Forum Austriaco di Cultura, che ha sede proprio lì davanti, fino a se sia possibile trovare un taxi dove abita Paola, in centro, a via dei Giubbonari, o se non sia meglio prendere la circolare, oppure andare a piedi. Tutto questo avviene proprio camminando insieme a Paola verso il centro di Roma, in un itinerario che sembra descritto dal navigatore, tanto è analitico e topograficamente esatto, quasi che lo scrittore abbia necessità di ancorare i passi dei suoi personaggi a luoghi consueti, da sempre frequentati, nei quali ritrova la sua identità come, d’altra parte, facevano anche Kafka e Proust, elencando gli itinerari di Praga o di Parigi.
In una recente intervista al Venerdì di Repubblica, alle domande di Paolo Di Paolo, Montefoschi risponde pacatamente, seduto su una panchina del Parco dei Daini, come usa fare anche il protagonista del romanzo: lasciatemi essere borghese, lasciatemi parlare di ciò che conosco bene:
“Ma nemmeno ho bisogno di andare a cercare le storie, come vedo fare a certi colleghi, a migliaia di chilometri da qui. I romanzi non dovresti andare a cercarli in Afghanistan, ma dentro te stesso”.
Ed è proprio quello che fa Giorgio Montefoschi in Un’indicibile tenerezza: tenerezza è una parola bellissima, piuttosto desueta nell’attuale lessico che preferisce termini più aggressivi. Lo scrittore Navarra, al suo ventesimo romanzo, si è stancato, ritiene la sua ultima fatica poco riuscita, malgrado il parere diverso del suo storico editore e amico, Mario Gotti, che aveva mandato da lui Paola Frontali proprio per convincerlo a recedere dalla sua decisione. Quello che succede imprevedibilmente invece, è che Pietro, che ha una vita noiosamente regolare, la compagna architetto Sabina Vaccaro, che vive in Prati con sua figlia Annalisa, Mina, fedele domestica filippina che lo accudisce, il saltuario impegno al circolo del tennis, a Belle Arti, vicino casa, improvvisamente è attratto dalla giovane Paola, dalla sua energia vitale, sportiva, piena di interessi, bella. Così inizia questo itinerario triangolare, tra casa ai Parioli, casa di Sabina in via dei Gracchi, casa di Paola in via dei Giubbonari. Eccoci allora intenti a seguire le vie del cuore di Pietro Navarra, in luoghi familiari, talvolta un po’ distanti dai soliti, a seguirne le intermittenze di sentimenti che mutano a seconda del tempo, del mutare delle stagioni, dell’arrivo dei malesseri, dall’accorciarsi delle giornate, dell’impalpabile metamorfosi della natura. Pietro Navarra deve confrontarsi con un amore improbabile, poco corrisposto, mentre la realtà intorno a lui si fa complessa, come la vita che scorre: Sabina è inquieta, delusa; Annalisa, giocatrice di pallavolo, ha un infortunio grave, l’amico Mario Gotti viene più spesso a Roma perché ha un grave problema di salute, lui stesso accusa un malessere che lo spaventa.
Così, un po’ a cena da Nino a via Borgognona, dal Bolognese a Piazza del Popolo, per un aperitivo da Rosati o al Cigno di viale Parioli, passeggiando al Pincio o al Giardino del Lago, passano i mesi, e la situazione sentimentale del protagonista scrittore muta, perché bisogna trovare il coraggio di ripartire. E da dove, se non dalla scrittura, da un nuovo inizio, l’unica vera medicina contro la depressione e l’angoscia di morte?
Giorgio Montefoschi mi appare sempre più come lo scrittore capace di raccontare una generazione di borghesi colti, che hanno amato la letteratura che rispecchia identità un po’ fuori moda, con una prosa formalmente raffinata e particolarmente efficace. Padrone dell’arte del dialogo, Montefoschi ci mette dentro situazioni emotive che tutti abbiamo vissuto, senza farci troppo caso, cogliendone il dolore e la sofferenza, che solo lo scrittore riesce ad analizzare, decifrare, esprimere letterariamente in modo profondo e convincente. La Roma attuale, i taxi introvabili, il centro storico affollato, le chiese dove talvolta, come nel caso del Gesù, si trovano padri gesuiti grandi predicatori, le cliniche private, i circoli sportivi, gli alberghi, qualche soggiorno al mare, Fregene, Sabaudia, ci raccontano una vita agiata ma piena di soffusa malinconia, di incompletezza, di vuoto, di mancanza di qualcosa che si chiama amore, felicità, appagamento, che può arrivare solo, dice Montefoschi nell’intervista citata, continuando a scrivere, come del resto gli aveva suggerito il grande critico Pietro Citati.
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