Tutto sommato. Qualcosa mi ricordo
- Autore: Gigi Proietti
- Genere: Storie vere
- Casa editrice: Rizzoli
- Anno di pubblicazione: 2013
“Riordinare l’album dei ricordi è un lavoraccio infame”.
Nella sua prima autobiografia dedicata “Alla mia famiglia che mi ha sopportato e che ancora mi sopporta” il grande one man show Gigi Proietti racconta la sua carriera attraverso cinquant’anni di spettacolo italiano. “Qualcosa mi ricordo” recita il sottotitolo del volume e la memoria dell’attore torna in via di Sant’Eligio, una traversa di via Giulia, “esattamente nel cuore di Roma. La casa in cui sono nato” il 2 novembre 1940 nel “centro assoluto della città”.
Queste ironiche e divertenti “quattro chiacchiere sul passato, sperando che a qualcuno interessi” hanno inizio dalla presentazione dei suoi genitori. Il padre Romano, emigrato dall’Umbria nella Capitale da ragazzo “era riuscito a trovare un impiego da cameriere – portinaio – tuttofare per una famiglia nobile in un bel palazzo del centro”. La madre, Giovanna Ceci, era nata a San Clemente, tra le montagne vicino a Rieti, “terre spietate, pietrose, luoghi in cui si viveva di pastorizia e agricoltura”. Entrambi i genitori dell’attore appartenevano a quella generazione di persone nate in famiglie dell’Ottocento e cresciute, all’ombra di due guerre, nella provincia contadina di un’Italia che ancora non parlava una lingua sola.
“Si facevano in quattro per arrivare a sopravvivere, eppure non li ho mai sentiti lagnarsi”.
Terminata la II Guerra Mondiale, la famiglia Proietti dalla palazzina di tre piani di via Annia vicino al Colosseo si era trasferita al Tufello, un quartiere allora ancora in costruzione. La città stava cambiando, “Roma iniziava a ingigantirsi” e le periferie continuavano a essere cementificate. A ridosso dei casermoni popolari del Tufello nei quali aleggiava l’ascolto perenne della radio (“pardon, l’aradio, maschile singolare”) Gigi andava a scuola, faceva giochi spericolati e cantava insieme ai suoi amichetti canzonacce
“il Tufello è quella cosa che si chiama prepotenza ecco qua tutta la lenza che cià voglia de menà”.
Non mancava il bagno proibito alla marana “un temibilissimo e melmoso ramo dell’Aniene”, le sortite al cinema modernissimo, l’Aureo, dove Rita Hayworth faceva la danza dei sette veli in Salomè e le gite al mare a Fregene “su un camion dell’esercito con i biglietti che ci regalava un maresciallo amico di famiglia”. Per Proietti i giorni dell’infanzia trascorsi al Tufello furono fondamentali, perché il quartiere era un posto dove per capire la differenza tra giusto e sbagliato “dovevi prima provare tutte e due le cose”. Se la parrocchia “ti ipotecava l’anima” ma ti toglieva dalla strada e Gigi divenne “un ottimo chierichetto”, c’era sempre il tempo per osservare personaggi affascinanti come Maria Zozzetta, la prostituta del quartiere. Gli anni passavano, le nuove costruzioni sorgevano e il Ponentino romano stava per essere ammazzato dalla grande cementificazione. Romano Proietti nella veste di socio di una cooperativa edilizia formata dagli impiegati dell’azienda dove lavorava, che aveva costruito una palazzina in una traversa di via Latina, aveva deciso di trasferire la famiglia da Roma Nord a Roma Sud. Iniziava un nuovo capitolo nell’esistenza del nostro eroe.
“Non importa quanto sono difficili le circostanze in cui nasci, il destino non è scritto e buona parte di quello che sarai nel futuro sei tu stesso a deciderlo”.
Eccitante e godibile è l’album dei ricordi di un personaggio poliedrico, un autentico Fregoli, dalle prime esperienze come cantante nei night club, attraverso quelle teatrali al Cut (Centro Universitario Teatrale) fino alla direzione del Globe Theatre a villa Borghese nel cuore verde di Roma.
“Raccontarsi. Poi, è difficilissimo. Richiede una buona dose di onestà e un grande sforzo di memoria. So già che trascurerò molti dettagli, alcuni per riserbo, altri perché li ho persi per strada, ma le cose davvero importanti non le ho mai dimenticate. Tutto sommato, qualcosa mi ricordo”.
Teatro, cinema, tv come Maresciallo Rocca, doppiaggio: in tutti i campi nei quali Gigi si è cimentato ha portato una ventata di novità, di simpatia e d’indubbia bravura. Il talento di Proietti ha avuto conferma con lo spettacolo A me gli occhi, please al Teatro Tenda di Roma (2 anni di repliche, 500mila spettatori), riuscendo a portare davanti a lui gente che di solito non varcava la soglia del teatro.
“Per me il pubblico di un teatro popolare deve essere disomogeneo. E dopo l’ingresso, piano piano, deve amalgamarsi, sentendosi accomunato come assistendo a un rito laico”.
Proietti inoltre durante la gestione del Teatro Brancaccio ha creato un laboratorio teatrale
“dove è riuscito a far passare il concetto per il quale la recitazione è cosa nobilissima, ma non sacra, è un mestiere, e come ogni mestiere, si può migliorare solo con la pratica”.
Del resto ne era convinto Shakespeare cinque secoli fa:
“Tutto il mondo è un teatro e tutti gli uomini e le donne non sono che attori: essi hanno le loro uscite e le loro entrate”.
Tutto sommato qualcosa mi ricordo
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Mi sono segnata su di un foglio per rileggerla ed approfondirne il senso la frase : " La leggerezza è una categoria irraggiungibile, come la perfezione e la bontà...", tutto sommato...è un grande insegnamento;