Tuamore
- Autore: Crocifisso Dentello
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: La nave di Teseo
- Anno di pubblicazione: 2022
La costruzione di un amore assoluto. Lo scrittore Crocifisso Dentello lo scrive chiaro e tondo, senza sofismi: Tuamore (La nave di Teseo, 2022) è un inno alla madre, che vuole essere chiamata Melina.
Il romanzo è proprio la storia di Melina raccontata dal figlio, che come un novello Pasolini scrive di lei che è la sua unica donna, castigo e beatificazione. La sua morte non può dunque essere accettata in modo spartano, come accade a chi è ormai genitore a sua volta, per cui una madre malata può essere più un fastidio che altro. No, senza la madre non c’è più nulla, nemmeno la vita sociale può fare da medicina.
Dentello narratore si disegna come più vedovo del padre: è irrimediabilmente solo, pur avendo ancora un padre e una sorella e un fratello.
Ma queste sono parole accennate, quasi prive di importanza. Qui, invece, c’è il racconto di come Melina è esistita nel mondo, delle sue origini siciliane, del trasferimento al Nord, vicino Milano, la prima casa, i figli che arrivano, un marito distratto dalla giovane età. Lo scrittore scrive anche avvenimenti che forse mamma Melina avrebbe tenuto nascosti, come la decisione di abortire perché tre figli in pochi anni mal si conciliano con i pochi soldi guadagnati dal marito.
E sempre come in Pasolini c’è anche l’elogio della povertà, le bambole finte fatte di rami, i vestiti che si indossano per più anni. Appare sulla pagina l’inventario del meridionale che cerca fortuna al Nord, senza poi arricchirsi. Melina è fondamentalmente una donna allegra e gioviale, con un carattere diverso dal figlio, che è il suo opposto, diventato scrittore per liberarsi dalla zavorra della timidezza, per eccesso di intelligenza e di zelo. Melina ammira questo figlio, ma lo vede anche come un estraneo, una persona troppo colta per sopportare i capricci dell’altro fratello, incapace di capire la sorella che vive da più di dieci anni in Calabria, con marito e figli. Il narratore si bea solo della presenza materna. E sembra quasi far capire, ma questa potrebbe essere solo un’impressione personale, che tolto il padre, intoccabile, tutto il resto della famiglia gli è quasi estranea. Solo la sorella, forse, gode della sua stima. Ma, ancora una volta, sono tutti corsivi, cose non importanti: la madre giganteggia. Addirittura si ha il sospetto che quando il narratore parla di lei o della malattia lo faccia proprio per impoverire sempre più il presente, in cui la madre non c’è più e niente ha più significato.
La grandezza di questo breve libro è proprio in questo: dichiarare che la malattia della mamma è stata uno schifo, un tumore che nessuno voleva. E che soprattutto non voleva il figlio, che odia il fatto che la madre sia morta così giovane, che non possa assistere al suo libro più riuscito, non possa chiamare i parenti per dire che è uscito Tuamore. E la vita può anche fare schifo, ma il libro è bellissimo: forse direbbe così una madre ancora presente e malata. Invece niente da fare, la letteratura vince e la vita di una madre amatissima si chiude a sessantadue anni.
Era da tempo che non usciva un libro così intenso e sincero (per restare in Italia, direi da L’altare per la madre di Ferdinando Camon, del 1978, con cui l’autore vinse il premio Strega).
Tuamore
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