Sull’orlo dell’abisso
- Autore: Paolo Volpato
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2013
Il feldmaresciallo Conrad ha sempre avuto ragione: il punto debole del fronte italiano nella guerra 1915-18 era il saliente trentino della linea austriaca, che puntava il vertice in basso, contro l’altipiano dei Sette Comuni e le ultime alture che lambivano la pianura veneta. Per l’impero austroungarico, la vittoria sarebbe venuta da un’offensiva verso Bassano e Vicenza. Quella sì avrebbe colpito l’Italia alla gola, mettendola fuori gioco. Il generale aveva testato la manovra nella primavera 1916, con la Strafexpedition, fallendola solo per l’ultima resistenza grigioverde sul pianoro. Riprovò nel novembre 1917 dopo la rotta disastrosa degli italiani a Caporetto e non riuscì a sfondare per un capello. Come e perché il progetto strategico non ottenne il successo sono gli argomenti di un saggio storico di Paolo Volpato, “Sull’orlo dell’abisso. Altopiano di Asiago: Monte Cornone-Sasso Rosso-Monte San Francesco”, pubblicato dalla casa editrice bassanese Itinera Progetti nel 2013 (pp. 156 pagine, 81 foto, 4 cartine, euro 21,50).
Autore e curatore di studi sul primo conflitto mondiale e la guerra in montagna, il ricercatore concentra l’attenzione sulla sezione dell’altopiano che sovrasta a picco la Val Brenta. Il libro è impreziosito da un pregevole supporto fotografico, con immagini d’epoca in bianconero e scatti più recenti, a colori, che riprendono i luoghi oggi. Provengono dagli Archivi Dal Molin e Dal Broi, mentre per i testi lo studioso romano ha consultato documenti conservati dall’Ufficio Storico dello Stato Maggiore Esercito.
Scenario è un territorio aspro, che pure ha ospitato masse di uomini e materiali ingenti. Il limite orientale dell’altopiano di Asiago è segnato da pareti di roccia che precipitano a strapiombo nella Val Brenta: al margine di quegli orridi, centinaia di soldati europei hanno vissuto e combattuto. Non pochi sono morti. E tutto in un cono di pietra divenuto un gigantesco termitaio umano.
Su monti San Francesco, Cornone, Sasso Rosso, ma anche nei profondi canyon scoscesi di Val Frenzela, Val Vecchia e altre vallette più piccole, gli italiani fermarono l’offensiva austro-ungarica, nello sconsolante contesto del ripiegamento dal fronte giulio al Piave. Su quei picchi di roccia viva si lottò alla morte per non cedere alle truppe imperiali un lembo di terra veneta sul quale per tre anni avevano versato sangue soprattutto gli alpini.
Una posizione impossibile, sotto certi aspetti indifendibile. Eppure la attrezzarono e la tennero, senza arretrare, quando sarebbe stato più facile scendere a valle, cercare rifugio in qualche casolare. Che se la sbrigassero gli altri italiani a vincere la guerra. Altrimenti: in mona tutto!
Ma non lo fecero. Restarono.
Contro le leggi della guerra, della fisica e della natura, gli alpini resistettero sugli ultimi lembi di altopiano, si difesero, addirittura contrattaccarono.
Non furono i soli. Con loro artiglieri, fanti, bersaglieri, meno addestrati alla guerra di montagna, ma ispirati dall’esempio delle penne nere.
Si combatté a novembre 1917. Conrad insisteva cocciutamente nel suo disegno tattico, tremendamente insidioso. Le perdite austriache furono gravi e il giovane imperatore Carlo ordinò di sospendere l’offensiva. Ma il vecchio condottiero gli strappò il permesso di continuare qualche combattimento, per procedere solo a piccole rettifiche del fronte.
Altro che correzioni delle linee! Le sue truppe continuarono a rovesciarsi contro le nostre trincee e nei primi dicembre furono sul punto di farcela, ma i nostri tennero, nonostante tutto, incuranti delle perdite e degli aggiramenti locali che avevano messo fuori causa interi reparti, fatti prigionieri, ma rimasti a lottare fino all’ultima pallottola questa volta .
Gli scontri continuarono nella cattiva stagione, con minore energia, per riaccendersi nel solstizio 1918, in appoggio all’ultima offensiva austriaca di giugno. Il Monte Cornone vacillò, ma il controllo italiano si mantenne saldo sulle altre porte d’accesso alla pianura.
A fine estate, toccò alle truppe di Diaz prendere l’iniziativa e in quelle zone si rividero in scala ridotta le inutili spallate alle linee nemiche, protette da grovigli insuperabili di filo spinato e da campi di tiro incrociato delle mitragliatrici. L’artiglieria austriaca era come sempre molto efficace e dotata di materiali Skoda eccellenti.
I nostri attaccavano, si avvicinavano a ridosso della linea avversaria e vi erano ricacciati dal fuoco intenso dei difensori e dal lancio di bombe a mano.
Alpini, fanti e bersaglieri tornarono all’assalto a fine ottobre, cozzando contro avversari affamati, sul punto di crollare, ma motivati a mantenere alto l’onore dei reparti. I combattimenti cessarono solo per il cedimento generale del fronte nemico, che decretò il successo dell’offensiva italiana e alleata su Vittorio Veneto.
L’Italia vinse, il 4 novembre 1918, grazie anche alla “tigna” dei difensori dei Monti di Foza, davanti alla Val Brenta.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Sull’orlo dell’abisso
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