Splendi come vita
- Autore: Maria Grazia Calandrone
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Ponte alle Grazie
- Anno di pubblicazione: 2021
L’Amore è un’arma pericolosa, a doppio taglio. Questo è uno dei temi appassionati e dolenti del libro di Maria Grazia Calandrone, Splendi come vita, edito da quella preziosa casa editrice che è Ponte alle Grazie. Si tratta di una storia vera, la storia della vita dell’autrice, una delle poetesse contemporanee più amate, vincitrice di premi, scrittrice, giornalista, drammaturga, autrice e conduttrice radiofonica, molto attiva anche nel sociale.
Il libro racconta una storia drammatica, che negli “anni sessanta” ha appassionato i lettori di giornali. Infatti Maria Grazia, nata nel 1964, è stata abbandonata a pochi mesi di vita a Roma, in Villa Borghese, dalla madre biologica, una donna siciliana, poi suicidatasi gettandosi nelle acque del Tevere. La bambina fu molto presto adottata da Giacomo Calandrone, combattente nella guerra di Spagna, dirigente del Partito Comunista, giornalista e scrittore, e da sua moglie Consolazione, insegnante di lettere, anche lei siciliana, trapianta a Roma con la propria madre.
In apparenza una storia che si risolve in un semplice e costante lieto fine. In realtà una storia complessa, nella quale vengono amplificate e drammatizzate le dinamiche, spesso comunque difficili, tra genitori e figli e particolarmente tra madre e figlia. In questo caso l’Amore tanto grande tra madre adottiva e figlia, per la paura di un’adulta di non essere amata perché non madre biologica, si trasforma nella donna in disamore.
Tutto nasce quando Consolazione, per timore di una scoperta tardiva della figlia e quindi destabilizzante della sua condizione, rivela a lei, che ha appena quattro anni e che non aveva mai mostrato alcun dubbio sulla madre, né desiderio di sapere alcunché, la sua condizione. La prematura rivelazione traumatizza la madre, non la figlia, che continua a percepirla e amarla come Madre Vera. Per la donna, invece, la rivelazione stessa del proprio non essere madre biologica genera un processo di svalutazione che la conduce a sentirsi Madre Finta, ma soprattutto la porta a non credere più nella sincerità dell’amore della bambina. Lo dice perfettamente l’autrice:
“Sono dunque certa che la notizia dell’adozione si sia depositata in me come neve. Un’astrazione che non interferiva con la realtà, meno che mai con la realtà perturbata e scintillante del mio amore infantile e di poi. Madre invece uscì malamente ferita dalla sua stessa rivelazione. Aveva inoculato nel proprio corpo un sentore di plastica, di soldo che non suona, di bambola di gomma... Madre adesso sapeva che sapevo che il suo sangue non era il mio sangue. Madre credeva che l’Amore non potesse diventare sangue...
Dalla sfiducia materna si genera un lungo e doloroso distacco della madre dalla figlia, che pur non sentendosi amata, continua ad amare la Madre:
“Col tempo la notizia scavò un solco oceanico nel mistero affettivo di Madre, tra lei e l’Amore che portava. Che non ha visto più. Ma io ero fatta tutta di quell’Amore, non avevo altro”.
Il distacco è reso ancora più tagliente dall’arrivo dell’adolescenza per la figlia e poi dall’avanzare della malattia materna; l’esistenza prosegue attraversando più di un trentennio di storia italiana, di cui l’Autrice racconta a pennellate alcuni fatti salienti.
A volte Maria Grazia appare sfrontata e indifferente, si difende dal dolore, ma non è vinta dal disamore. Le frecce che ha nel suo arco sono, inizialmente, finché non sarà colto da morte prematura, l’amore stabile ed equilibrato del padre, il suo eroe, poi il suo stesso temperamento che, con una parola abusata, potrebbe essere definito resiliente. Ma soprattutto Maria Grazia con la scoperta della scrittura, delle parole per esprimersi trova “la pietra filosofale, l’officina alchemica dove ogni dolore viene ridato al mondo come bellezza” e impugna “le armi dei disarmati”. E allora dedica alla madre, alla sua mancanza e alla sua presenza, un fiume di parole intense e sofferte.
Le armi e l’età adulta la conducono a prendere le distanze dalla propria sofferenza e a comprendere e accettare quella della madre, fino a riuscire a non vederla più solo come madre, ma anche e soprattutto come donna dolente.
Questo percorso esistenziale solo parzialmente risolto, che parla del mistero della vita e dell’amore, viene narrato dall’Autrice in uno stile frammentario, attraverso una prosa poetica, usando un linguaggio evocativo.
Il romanzo avvince e riesce a trasportare il lettore all’interno del magma incandescente in cui si fondono le dinamiche affettive. Offre inoltre molti i spunti di riflessione, dei quali quelli qui accennati sono solo alcuni. Di notevole interesse risulta, secondo me, anche la ricerca di un linguaggio sperimentale che Maria Grazia Calandrone affronta. Tutto questo riesce a farci perdonare qualche eccesso melodrammatico e qualche edulcorazione dell’Autrice quando il proprio amore verso questa madre dagli affetti disfunzionali viene rappresentato esente da qualunque ostilità profonda, da qualunque disamore rancoroso.
Splendi come vita
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