Dove non mi hai portata. Mia madre, un caso di cronaca
- Autore: Maria Grazia Calandrone
- Genere: Storie vere
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Einaudi
- Anno di pubblicazione: 2022
Chi scrive mai si era emozionato tanto come con la lettura del libro di Maria Grazia Calandrone Dove non mi hai portata (Einaudi, 2022).
Se la copertina porta questo titolo, nelle pagine interne il titolo intero è Dove non mi hai portata. Mia madre, un caso di cronaca.
La scrittrice fa un lavoro certosino di ricerca nel trovare tutti i pezzi per ricostruire la storia di sua madre bambina e poi adolescente, con sempre un margine di errore, perché la vera Letteratura è sempre finzione, ricostruzione.
Della madre biologica Maria Grazia Calandrone conserva solo due foto. La prima è scattata durante il matrimonio. Nella foto Lucia non ride e sembra scontenta. Nell’altra, trovata per caso in una borsetta a Roma, c’è un ritratto della donna molto bella e sicura di sé, sembra Claudia Cardinale nel film La ragazza con la valigia di Valerio Zurlini.
Nata da una famiglia che possiede una masseria agricola in un paese vicino Campobasso, Lucia Galante viene al mondo nel 1936, dopo tre figlie: quindi dai genitori non è desiderata, perché volevano un maschio che poi arriverà col nome di Rocco. L’azienda agricola ha una casetta colonica in cui al primo piano ci sono le bestie, mentre al piano superiore è situata la cucina e due camere da letto. Ma per capire meglio come era la vita contadina di allora proponiamo questo passo di grande bellezza anche formale:
All’alba, tutto è immediatamente movimento d’uomini e di altri animali. Gran parte del lavoro con le bestie, si svolge alle prime luci: portare il fieno a mucche e conigli, qualche volta a carote zuccherine o piccoli fasci di rughetta spizzicosa; spargere orzo, grano e granturco per le oche, i fagiani e le galline; rovesciare i freddi sapidi resti della cena umana nel troguolo dei maiali; mungere vacche e pecore - e poi la solitaria, la riottosa capra. Intorno è tutto un rianimarsi di gatti e di cacciún (cani), una complessa orchestrazione di notifiche del risveglio, composta da crescenti pigolare, abbaiare, muggire, chiocciare, miagolare, grugnire, starnazzare.- belare , per il momento invano: pecore e capre vanno al pascolo dopo la colazione delle donne.
Se leggere dà consapevolezza e un senso di benessere, lavorare, nella vita reale, in una masseria era faticosissimo. Le donne poi facevano il doppio del lavoro, oltre a far mangiare le bestiole, rifare i letti, spazzare, cucinare per tutti. Quando si ammazza il maiale è festa per tutti, anche se la piccola Lucia si chiude le orecchie perché il maiale, quando viene sgozzato, strilla forte.
E questa è la masseria, ma in paese i Galante vivono un una casa che ha l’affaccio proprio sulla strada principale, per vedere lo struscio, la Via Crucis.
Alla fine del Secondo conflitto bellico, nel paesino di Palata si contano due morti, ma intorno è stato un pandemonio. Fino al 1943 a Campobasso, che era una città abruzzese (il Molise all’epoca ancora non era una regione, Ndr), venivano messi in case abbandonate, in caserme non funzionanti e pure in abitazioni requisite a privati cittadini, ebrei, rom, sinti e tantissimi slavi catturati dalle forze nazifasciste.
La guerra viene dimenticata presto perché tutti i capi di governo europei si preoccupano per la ricostruzione, grazie agli aiuti economici degli statunitensi.
Lucia, invece, ha paura, per la prima volta, di qualcosa che la riguarda.
La bambina è intelligente, ha un buon rendimento alle scuole elementari, potrebbe sfruttare la sua intelligenza a cominciare dalla scuola superiore sino all’università. Ma sono i genitori, i Galante, a non sentire ragioni. La figlia serve per ampliare gli acri di terra della masseria, quindi tocca al figlio maschio studiare.
Nel frattempo sono arrivati i De Grandis, che lavorano le terre del notaio di Palata, non avendo altro che il lavoro per le altre masserie. Le terre in questione sono a cinquecento metri dalla masseria di Lucia. Tra Lucia e Tonino, figlio dei De Grandis, nasce una simpatia, un trasporto, che dura per anni. I due si sono parlati a malapena, solo un bacio che Tonino le ha dato da lontano. Il ragazzo per Lucia farebbe qualsiasi cosa. Nei momenti di gioia, Calandrone sa usare con maestria una prosa poetica per gli innamorati ritrosi, ma ancora meglio sa scrivere con umiltà quando va tutto male:
Quando lui compie diciassette anni, in omaggio alla usanza del luogo, manda ai genitori di Lucia un ambasciatore di matrimonio in calze rosse, per chiedere la mano della figlia. La risposta è “No”. Il pretendente è povero, non ha terreni, non è all’altezza di Lucia. Una mannaia.
Tonino, ferito nell’orgoglio, parte.
Ma i genitori di Lucia - ricordiamoci che i genitori sono i nonni biologici di Maria Grazia Calandrone - hanno capito che Lucia è pronta a sposarsi con un uomo che invece possiede terre al sole. Uno definito "il buffone del paese" , un uomo pigro, brutto. La scrittrice lo descrive così, molto scontenta:
Quel bietolone, umorale e inetto, che tutte le mattine, appena sveglio già accompagna il caffè col cognacchino.
Luigi è un infelice, quasi sempre ubriaco a fine giornata, che nemmeno la vede Lucia, non la desidera, perché tiene ben celata la sua omosessualità, per non perdere l’amore della madre, che lui idolatra. A questo punto la scrittrice fa entrare nella narrazione la sé stessa del 2021 per descrivere il posto dove la madre viveva con il marito Luigi e quel poco che è rimasto della masseria. La scrittrice entra così nella vita dei suoi avi, come se stesse accanto alla madre Lucia. A volte la stessa Calandrone fa le veci del Narratore onnisciente capace di muovere le persone vere come fossero i personaggi di un romanzo corale.
La vita di Lucia con Luigi è un incubo; non c’è nemmeno un bambino da svezzare, perché Luigi le dà calci e pugni, ma il letto è fatto per dormire. È come vivere con un fratello faticoso, che la donna non può e non riesce a cambiare.
Ma all’orizzonte c’è Giuseppe, l’amore vero e l’amore passionale. Travolto dalla passione per Lucia, Giuseppe si dimentica di moglie e figli, perché Lucia per lui è il primo, vero amore. Una moglie vergine di un altro che non la merita perché non riesce nemmeno a toccarla. Questa convinzione lo lega sempre più a Lucia Galante che presto darà alla luce la loro bambina, Maria Grazia.
Giuseppe, per non mettere la giovane Lucia in una posizione di scandalo per lei insostenibile, la porta con sé a Milano. È la fuga di due innamorati, ma anche un gesto disperato.
La grande città non fornisce più occasioni di lavoro come una volta. Lontani dal paese, i due muoiono letteralmente di fame con i pochi lavori a giornata che Giuseppe riesce a rimediare. Il viaggio dei due amanti si trasforma infine in un’odissea, da Milano a Roma in una peregrinazione senza requie. La scrittrice dà conto delle inique leggi dell’epoca in materia di divorzio e intreccia parecchi scenari per dare contezza di un finale estremo: l’abbandono della bambina, che è poi lei, Maria Grazia. Nulla tuttavia sarà lasciato al caso, perché l’intento di Giuseppe e Lucia è quello di promettere alla piccola una nuova vita, una vita migliore della loro.
I genitori capiscono che la bambina non può vivere in quella casa dove manca tutto, quindi decidono di lasciarla in un posto dove non passa troppa gente, ma non è nemmeno isolato: accanto alle imponenti colonne di Villa Borghese. La decisione estrema di Giuseppe e Lucia è frutto della mancanza di cibo e di conforto, ma soprattutto della scarsità di leggi e tutele. A ucciderli è la stanchezza di non trovare un proprio posto nel mondo.
Ma il finale è in fondo una promessa di futuro e la parte più intensa di un libro che è bellezza pura, perché dentro c’è tutto: la vita e la morte. Ci siamo anche noi lettori in questa poesia in prosa.
Dove non mi hai portata. Mia madre, un caso di cronaca
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