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Recensioni di libri

Solo se c’è la luna di Silvana Grasso

Marsilio, 2017 - La potenza di un’immaginazione vivace e l’estro di una lingua febbrile raccontano lo scontro tra la natura e la modernità sullo sfondo di una Sicilia assolata e primitiva, costretta a piegarsi alle atmosfere notturne, più rarefatte e inquietanti.

Alida Airaghi
Alida Airaghi Pubblicato il 07-02-2017

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Solo se c'è la luna

Solo se c’è la luna

  • Autore: Silvana Grasso
  • Categoria: Narrativa Italiana
  • Casa editrice: Marsilio
  • Anno di pubblicazione: 2017

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“Notte di lunapiena era stata, e un incendio di luce albina, spaventosa, magnifica, aveva furiosamente rovistato tra rami di ciliegio maturi, anche loro ormai prossimi al parto. Ma i ciliegi non soffrivano come le femmine, quando partorivano”.

Così l’incipit di “Solo se c’è la luna”, questo intenso romanzo di Silvana Grasso, scrittrice siciliana tra le più originali delle nostre lettere, indagante con coraggiosa e inventiva caparbietà nelle pieghe e nelle piaghe sociali, morali e linguistiche della sua isola. Sul parto doloroso e difficile della giovane Gelsomina si apre la narrazione, da subito testimoniante una scrittura corposa e carnale, densa di metafore spiazzanti, che sempre accomunano gesti ed espressioni umane alla fisicità di una natura pulsante, viva e crudele nella sua vegetazione e nei suoi animali. Facce che sembrano alberi, mani che si trasformano in zampe, cieli arsi da un sole vendicativo o illividiti in costellazioni glaciali.
Gelsomina Caltabellotta, contadina semianalfabeta e poco intelligente, con l’unica ossessione dell’intaglio e della scultura, è costretta dal padre a sposarsi sedicenne con il cinquantenne Girolamo Franzò, tornato ricco in paese dopo un’emigrazione trentennale in America. Personaggio a tutto tondo, questo Girolamo che si fa chiamare Gerri, e imbastisce il suo dialetto siculo di americanismi ridicoli nella loro spavalda presunzione: bisinès, marketinghi, fastifud, oddogghi, coctèl, fifti fifti, unisecsi, occhèi. Senza dimenticare tuttavia la sua imbastardita lingua madre (furrìa, alluppiato, majarìa…) che infarcisce di frequentissimi “figli di buttana!” e “cazzo!”, coerente con la sua statura di volgare vanesio, “esaltato quanto coglione”, convinto di potersi comperare il mondo intero: parenti, dipendenti, donne, chiesa e politici compresi. Di ritorno da Chicago, dove era emigrato da bracciante affamato e rabbioso, e dove aveva fatto fortuna, Gerri Franzò crea un impero economico, un enorme bisnès di fabbriche di saponi e prodotti cosmetici (la “Gerri Soap”), abbagliando il suo arretrato paese, rassegnato a un immobilismo secolare e ignorante, con lo sfarzo di un lusso esibito e sfrontato. Disprezza familiari e compaesani

“Qui sono ancora all’antidiluvio, qui vivono come capre, non c’è volontà d’emanciparsi, di conoscere cos’altro c’è oltre la terra, gli ulivi, le vigne, i conigli, le galline, le vacche”

ma cerca la sua rivalsa nel matrimonio con una ragazzina vergine e ingenua, nella speranza di ricavarne dedizione, gratitudine e prole vigorosa. Rimane deluso e scornato: la moglie è “scimunita ritardata rancorosa”, chiusa in un mutismo superstizioso; l’erede sperato è purtroppo femmina, un

“pezzo di lacerto di manzo, una bambola di panno lenci, colore del cuore di coniglio… una serpicina di carne stitica, bianchiccia… che di bello aveva solo il nome della luna, ‘Luna’”.

La bambina oltretutto è malata di una sindrome rarissima e incurabile, che la costringerà a vivere al buio per tutta la vita, protetta da qualsiasi raggio di luce che potrebbe scatenarle allergie dermatologiche e respiratorie letali: può uscire di casa solo la notte, “Solo se c’è la luna”.
Crescendo, pallida e superba, tra lei e l’astro celeste si creerà un’empatia sentimentale e culturale condivisa solo con l’amica che il padre le impone come custodia fraterna, Gioiella: una ragazza orfana, bellissima e sensuale, ma ruvida e altera.

La seconda parte del romanzo racconta il legame morboso e ribelle che si instaura tra le due ragazze, imbastito di erotismo, talvolta eccessivamente ostentato, con un turpiloquio esuberante e insistito. Il sesso rifiutato sdegnosamente da Gioiella, ed esplorato con avidità da Luna, si impone con tutto il suo brutale e prepotente giogo, finendo per assoggettare tragicamente le due amiche in uno spietato destino di autodistruzione. Rimarrà a ricordarle il vecchio Gerri, con la sua boria post-americana, facendo costruire pacchiani mausolei in memoria, e progettando nuovi prodotti di bellezza battezzati “Luna”, per una nuova e vincente strategia di marketinghi.


© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Solo se c’è la luna

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