Quel fascista di Pansa
- Autore: Giampaolo Pansa
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Rizzoli
- Anno di pubblicazione: 2019
Sì, Giampaolo Pansa ha vestito la camicia nera. Saranno soddisfatti i detrattori del cronista dei vinti: c’è un’immagine che lo riprende con indosso i simboli del regime. Però è in divisa da Figlio della Lupa, non aveva nemmeno otto anni ed era ormai il 10 giugno 1943, ad appena tre mesi dall’avvio della guerra di liberazione contro i nazifascisti.
Il giornalista monferrino (1 ottobre 1935 - 12 gennaio 2020) l’ha reso pubblico nel penultimo dei suoi tanti libri, l’ultimo dedicato alla pubblicistica sullo scontro fratricida tra i partigiani antifascisti e i repubblichini di Salò, nel 1943-45 e oltre. Quel fascista di Pansa, pubblicato per Rizzoli nel febbraio 2019, è un volume personale e biografico, sulla vicenda di un giornalista di successo (vicedirettore di "Repubblica" e condirettore de "l’Espresso"), che per mezzo secolo è stato anche uno scrittore di storia e di storie.
Laureato in scienze politiche a Torino, con una tesi in storia moderna sulla guerra partigiana tra Genova e il Po, aveva fondato con gli amici un circolo gobettiano. Era un ragazzo di sinistra, “rosso” ma non comunista, nonostante gli inviti dei “compagni”, negli anni giovanili, ad avvicinarsi al Partito.
Nel corso della sua attività giornalistica e saggistica, la conoscenza della materia storica e la curiosità intellettuale per quanto accaduto a quelli dell’altra parte lo portarono ad approfondire gli aspetti oscuri della resistenza e a guardare con partecipazione umana al dramma dei combattenti fascisti “normali”, non i crudeli assassini che pure abbondavano tra loro.
È nato così il ciclo dei vinti, che gli ha attirato contro le accuse di revisionismo storico, sempre più pesanti da sinistra man mano che si sommavano quei suoi volumi, tanto venduti e tanto contestati.
Lasciamo descrivere Giampaolo Pansa dal “coccodrillo” dedicatogli dal suo quotidiano, il 12 gennaio, quando è scomparso all’età di 84 anni. La collega Simonetta Fiori ricordava in quell’occasione che “anche su Repubblica” erano stati messi in discussione “i presupposti e il metodo” del suo lavoro storico narrativo, in un momento politico del Paese, nei primi del Duemila, in cui Berlusconi e la destra cercavano di estirpare le radici antifasciste su cui era stata costruita la nostra Repubblica, nata dalla resistenza.
Alle critiche, osservava Simonetta, rispondeva “alla sua maniera”, protestando con veemenza, dedicando alle polemiche pagine di libri successivi, “ma senza mai negare l’abbraccio affettuoso del vecchio collega”.
Fascista, Pansa? Al piccolo Giampaolo non garbava essere “bardato in quel modo”, per sua ammissione nel libro. Quelle fasce bianche incrociate sul minuscolo torace gli sembravano più adatte a un neonato, non vedeva l’ora di indossare la più virile divisa da balilla. Al giovane universitario interessava fortemente l’esperienza partigiana. Per rispondere alla precoce fame di verità storiche, non si stancava mai di incontrare gli ex comandanti delle formazioni che si erano distinte nella sua provincia, quindici anni prima.
La loro memoria non si distaccava, com’era ovvio, da una narrazione della Resistenza che non fosse quella “patinata” ufficiale.
"Stragi, vendette, uccisioni di innocenti? Erano soltanto favole raccontate dai superstiti fascisti della Repubblica sociale. Nessuno volle parlarmi di quanto era avvenuto dopo il 25 aprile."
Uno solo accennò al “lato oscuro” della guerra civile, Mario Silla, detto Curone, classe 1891, agricoltore e sindaco socialista di Tortona, prima del fascismo, comunista dopo. Era stato commissario politico di una Brigata Garibaldi sull’Appennino tortonese. Alla metà degli anni Cinquanta aveva 64 anni e per primo accennò alle vendette sui fascisti sconfitti.
“Sono un tipo strano e non ho mai avuto paura della verità”: Curone riconobbe che alla fine della guerra e dopo “ne avevano fatte di cotte e di crude”. Se un comandante non teneva a freno gli uomini, succedeva di tutto.
Col tempo, Pansa approfondì a lungo la ricerca e nacque Il Sangue dei vinti, pubblicato nel 2003, “che suscitò polemiche non lievi”, ricorda sempre Simonetta Fiori su Repubblica. Per la prima volta, alcuni dei partigiani che avevano liberato il Paese da nazisti e fascisti si vedevano agire nelle vesti di aguzzini e seviziatori, tra maggio 1945 e fine 1946. Storie di stupri e di torture, di cadaveri irrisi e violati, di fucilazioni di massa e crimini gratuiti. L’autore dichiarò che oltre alle atrocità commesse dai repubblichini gli era sembrato giusto vedere l’altra faccia della medaglia.
La pubblicazione scatenò l’inferno delle polemiche, contro il revisionista, contro “quel fascista di Pansa”, un giornalista famoso, considerato di sinistra, che aveva osato scrivere un libro di destra, per ottenere vantaggi dal potere, da Silvio Berlusconi.
Successo dopo successo dei suoi titoli seguenti, le critiche si sono fatte sempre più pesanti, appena intiepidite dalla sua morte.
Si è avverata la profezia di Curone: “se ascolterai anche i repubblichini, ti daranno del voltagabbana e anche del fascista”. È andata come aveva predetto il partigiano di buona memoria: “Le sue parole mi hanno accompagnato negli anni del mio revisionismo”, scrive Pansa, affidandoci le sue ultime parole in Quel fascista di Pansa.
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