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Recensioni di libri

Pentcho di Antonio Salvati

Castelvecchi, 2021 - Antonio Salvati parte dalla vera storia del Pentcho per farne un romanzo epico, una sorta di moderna Antologia di Spoon River, che ne appare il modello letterario di riferimento.

Elisabetta Bolondi
Elisabetta Bolondi Pubblicato il 07-05-2022
Pentcho

Pentcho

  • Autore: Antonio Salvati
  • Genere: Storie vere
  • Categoria: Narrativa Italiana
  • Casa editrice: Castelvecchi
  • Anno di pubblicazione: 2021

Due nomi importanti della saggistica italiana: Paolo Rumiz e Claudio Magris, vengono subito in mente parlando del libro uscito lo scorso luglio per Castelvecchi a firma del magistrato Antonio Salvati: Pentcho, che è il nome del battello con bandiera bulgara su cui vengono imbarcati oltre quattrocento ebrei nel porto di Bratislava nel 1943, seguendo il folle progetto del giovane Alexander Citrom uno studente ebreo deciso a portare in salvo verso la Terra Promessa, la Palestina, un gruppo di ebrei che le recenti imprese hitleriane nell’Europa dell’est avrebbero destinati alla deportazione e alla morte certa.

Rumiz nell’introduzione al romanzo parte dall’attualità, citando i suoi viaggi a Lesbo, l’isola greca che accoglie migranti senza futuro, anche loro una specie di “ebrei erranti”. Per poi passare al Danubio, “aorta d’Europa”, la vena d’acqua che come ci aveva raccontato Claudio Magris nel suo capolavoro del 1986, Danubio, attraversa tutte le nazioni europee per giungere con il suo vasto delta nel Mar Nero.

Antonio Salvati parte dalla vera storia del Pentcho, i cui documenti sono stati raccolti da un valente studioso, Enrico Tromba, per farne un romanzo epico, una sorta di moderna Antologia di Spoon River, che ne appare il modello letterario di riferimento. Venticinque personaggi sono i protagonisti di questa storia tragica, a volte comica, come solo la letteratura ebraica riesce a fare, con il suo witz.

Il romanzo ripropone in modo tanto metaforico quanto realistico un pezzo, forse il più drammatico, della storia del ’900 in Europa; la sua narrazione è precisa, attenta alle sfumature nella ricostruzione di un microcosmo miserabile, affollato, puzzolente, angusto, quello della “bagnarola” stipata fino all’inverosimile, dove uomini e donne di ogni età, dalla neonata che vede la luce sul ponte della nave ai più anziani e sofferenti, sperano e disperano di vedere la meta agognata. Il battello vecchio e sovraffollato, il comandante della nave esperto ma litigioso, i popoli incontrati che respingono con forza gli ebrei stipati in questa sorta di “zattera della medusa”, dove nella promiscuità si prega, si inveisce, ci si scontra, sono lo specchio del destino degli ebrei, odiati e respinti, invidiati e vilipesi, e finalmente sterminati nel progetto del genocidio hitleriano.

Molti dei personaggi disegnati da Antonio Salvati sono memorabili; mi ha colpito quello della dottoressa Lili Ickovic, alla quale viene data un’enorme responsabilità etica, quella di scegliere chi far salire a bordo della nave e chi lasciare a terra. Dopo lunga meditazione la giovane donna ricorda le parole di suo padre, “La tua felicità non può mai essere vera e completa se si nutre della infelicità di altri”, e firma i documenti di tutti quanti avevano fatto richiesta di imbarcarsi, anzi, saliranno a bordo oltre cento persone in più della capienza del battello. Nelle testimonianze dei vari protagonisti del viaggio attraverso il fiume e poi dopo terribili avventure per raggiungere il Mar Nero e subire infine il naufragio su uno scoglio del mar Egeo, in territorio italiano all’epoca, incontriamo anche personaggi storici: il governatore dell’arcipelago greco sottomesso alle forze italiane, De Vecchi, il quadrumviro fedelissimo al Duce che diffida il giovane Ufficiale di Marina che comanda la nave Camogli: dovrà mettere in salvo gli ebrei scampati al naufragio, che giudica feccia di imbroglioni, per poi deportarli in Calabria, dove li attende il campo di concentramento Ferramonti. Orlandi e il suo equipaggio saranno accoglienti, solidali e affettuosi con i naufraghi, che vedranno in questi militari i primi volti umani e solidali.

Nel romanzo di Salvati compaiono dei flash della storia della deportazione che commuovono: il viaggio nel vagone piombato di un giovane ingegnere ebreo che incontra Primo Levi; la famigerata rampa di Auschwitz dove Mengele con uniforme immacolata e frustino indica la vita e la morte ai perseguitati. E ancora due dei viaggiatori che erano riusciti a fuggire per mettersi in salvo, arrivano a Roma il 23 marzo 1944. Arrestati, da Regina Coeli finiranno inconsapevoli alle Ardeatine.

Ci sono molti spunti che, in questi giorni di guerra, ci fanno tornare a ricordare quelle regioni e quei popoli che nel cuore d’Europa hanno collaborato con i nazisti: penso agli ungheresi, ai polacchi, ai rumeni, a quanti hanno praticato un antisemitismo violento: questo libro colto, pieno di grande sensibilità ci fa rivivere una storia che sembra potersi addirittura ripetere, come temeva Primo Levi. Tuttavia la forza della letteratura, l’amore dell’autore per la cultura e la letteratura ebraica, ci fanno sperare che una rinnovata umanità possa, leggendo pagine appassionanti, ritrovare consapevolezza e determinazione a non ripetere quel viaggio agli inferi che ci ha appena raccontato Antonio Salvati, scrittore e uomo di legge.

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© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Pentcho

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