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Recensioni di libri

Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters

Geniale nella sua “polifonia”, l’antologia di Spoon River è il sunto di molte vite, tutte accomunate da un luogo: Spoon River.
Masters compila il suo capolavoro come una raccolta di epitaffi autobiografici dei vari personaggi che, nelle poche ultime righe racchiuse sulle loro lapidi, riassumono il senso di un’esistenza.

Dimitri Stagnitto
Dimitri Stagnitto Pubblicato il 06-06-2008

2

Antologia di Spoon River

Antologia di Spoon River

  • Autore: Edgar Lee Masters

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Geniale nella sua “polifonia”, “L’antologia di Spoon River” è il sunto di molte vite, tutte accomunate da un luogo: Spoon River.
Masters compila il suo capolavoro come una raccolta di epitaffi autobiografici dei vari personaggi che, nelle poche ultime righe racchiuse sulle loro lapidi, riassumono il senso di un’esistenza.

Il libro è stato d’ispirazione a Fabrizio de Andrè per l’album “Non al denaro, non all’amore nè al cielo” che altro non è che un estrapolato riadattato degli epitaffi di alcuni personaggi particolari di Spoon River come il medico, lo scemo, il malato di cuore e il suonatore Jones, probabilmente il personaggio del libro più caro a De Andrè .

“L’antologia di Spoon River” è un’opera difficile da catalogare e sicuramente apprezzabile su più livelli: se da un lato invita al pensiero sulla caducità e l’insignificanza della vita umana, dall’altro lo svelare esplicitamente i misteri racchiusi nell’animo di quelli che altro non sono che stereotipi umani della società occidentale possiede quel sapore di frivolo voyerismo che sta alla base delle odierne serie televisive. (A tal proposito, la copertina del libro è richiamata dalle immagini dei titoli d’inizio della nota serie “Desperate Housewives” che, in modo analogo, descrive la vita degli abitanti di un paesino americano, Wisteria Lane.)

E’ proprio grazie a questa possibilità di molteplici interpretazioni che “L’antologia di Spoon River” può risultare una lettura gradevole per “palati” diversi, sia che siano alla ricerca della classica lettura da ombrellone, sia che si avvicinino all’opera spinti dalla necessità di confrontarsi con il pensiero di quello che, forse, è il fine ultimo della vita: la fine.


© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Antologia di Spoon River

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Commenti: 3

  • Fabio Scarnati
    8 agosto 2011, 16:22

    Se i morti potessero parlare cosa direbbero? Senza più veli né ipocrisie, senza il conformismo e il bigottismo che pervade l’esistenza terrena, essi direbbero, né più né meno, semplicemente La Verità. Questo deve essersi chiesto Edgar Lee Masters mentre scriveva l’Antologia di Spoon River. La verità si erge dunque imperiosa dalla coltre di polvere alimentata, come un focolaio dal vento, dalle mille dolenti voci che giungono dal regno delle ombre. Essa assume talvolta il tono pacato della rassegnazione, delle speranze fallite; talaltra quella dell’astiosa vendetta o dell’inutile richiesta di perdono o ancora quella dell’amore incompreso e dell’ammonimento a vivere la vita semplicemente. Leggendo verrebbe da pensare a un’opera come la commedia dantesca; in realtà non si tratta qui del viaggio di un vivo nel regno delle ombre, ma sono i morti che “riaffiorano” cercando qualcuno disposto ad ascoltarli. Ogni poesia è infatti un epitaffio che porta il nome e la storia di un uomo o di una donna. L’epopea dei trapassati che riposano sotto le lapidi di una collina di un piccolo villaggio americano assurge così a simbolo e valenza di una universale condizione umana ed il lettore è subito preso dal vortice della narrazione, protagonista e spettatore suo malgrado di tante storie umane. Egli non sa resistere alla tentazione di sfogliare avanti e indietro le pagine di questo libro alla ricerca di una frase, di un rigo che contenga un’intuizione illuminante; come un viandante che si aggira inquieto tra le lapidi della collina.

  • Fabio Scarnati
    8 agosto 2011, 16:25

    Se i morti potessero parlare cosa direbbero? Senza più veli né ipocrisie, senza il conformismo e il bigottismo che pervade l’esistenza terrena, essi direbbero, né più né meno, semplicemente La Verità. Questo deve essersi chiesto Edgar Lee Masters mentre scriveva l’Antologia di Spoon River. La verità si erge dunque imperiosa dalla coltre di polvere alimentata, come un focolaio dal vento, dalle mille dolenti voci che giungono dal regno delle ombre. Essa assume talvolta il tono pacato della rassegnazione, delle speranze fallite; talaltra quella dell’astiosa vendetta o dell’inutile richiesta di perdono o ancora quella dell’amore incompreso e dell’ammonimento a vivere la vita semplicemente. Leggendo verrebbe da pensare a un’opera come la commedia dantesca; in realtà non si tratta qui del viaggio di un vivo nel regno delle ombre, ma sono i morti che “riaffiorano” cercando qualcuno disposto ad ascoltarli. Ogni poesia è infatti un epitaffio che porta il nome e la storia di un uomo o di una donna. L’epopea dei trapassati che riposano sotto le lapidi di una collina di un piccolo villaggio americano assurge così a simbolo e valenza di una universale condizione umana ed il lettore è subito preso dal vortice della narrazione, protagonista e spettatore suo malgrado di tante storie umane. Egli non sa resistere alla tentazione di sfogliare avanti e indietro le pagine di questo libro alla ricerca di una frase, di un rigo che contenga un’intuizione illuminante; come un viandante che si aggira inquieto tra le lapidi della collina.

  • Patrizia Falsini
    22 settembre 2018, 08:24

    Una splendida visione dell’America profonda. Grandi ipocrisie ma anche grandi gesti d’amore.

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