L’ospedalità palermitana nei secoli
- Autore: Carlo Di Franco
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2021
Sovente si pone rilievo al fatto che a Palermo alla fine dell’Ottocento fossero costruiti quasi in contemporanea due teatri (il Politeama Garibaldi e il più grande d’Italia, il Teatro Massimo) in un persistente stato di carenza di strutture essenziali come gli ospedali per l’assistenza agli infermi. Ma la Storia insegna come la situazione a Palermo fosse molto più complessa e articolata. Difatti per come risulta dall’attenta ricerca svolta nel saggio L’ospedalità palermitana nei secoli (Edizioni Lapademi, 2021) di Carlo Di Franco, l’incombenza di assistere i malati ed in genere i bisognosi, nel corso del tempo, è stata esercitata da diversi organismi.
La cura dei malati a partire dal Medioevo, è stata tra i compiti principali di numerose congregazioni e confraternite sia di carattere prevalentemente religioso, che laico.
La radice etimologica del termine “Ospedale” fa riferimento invero al termine latino “Spedale”, che indicava un “Ospizio per forestieri”, un luogo destinato al ristoro dei viandanti lungo gli itinerari di pellegrinaggio, sempre più numerosi a partire dal Medioevo.
La storia dell’ospedalità palermitana inizia agli inizi del Basso Medioevo, con gli Altavilla, Roberto il Guiscardo e il Conte Ruggero, i quali nel 1071 danno vita all’Ospedale degli Infetti, presso la chiesa di San Giovanni dei Lebbrosi.
La nascita di confraternite e congregazioni religiose a carattere assistenziale, avviene a partire dal XIII secolo, e queste sono finalizzate a procurare alla popolazione sempre più indigente e bisognosa, conforto anche materiale, oltre che spirituale.
Successivamente nella seconda metà del XIV secolo, in ragione delle condizioni sociali dei più disagiati, con carattere sempre più endemico, vi è un forte incremento di congregazioni laicali, che suppliscono alla carenza di strutture assistenziali e sanitarie.
Tali congregazioni cominciano ad operare all’interno degli Ospedali, centri le cui funzioni erano quelle di ricovero e di centro dispensatore di elemosine: generalmente privo di competenze specifiche, lo “Spedale” mirava a soddisfare tutte le necessità degli indigenti il cui sostentamento era garantito grazie a elargizioni anche cospicue, sotto forma di legati e donazioni.
Nei centri gestiti dalle nuove compagnie e confraternite, ecco dunque iniziare ad operare medici esterni, le cui prescrizioni venivano eseguite dai confrati nascendo così il concetto di moderno Ospedale.
La fondazione dell’Ospedale Grande, ha luogo esattamente il 24 luglio 1432, con il re Alfonso V d’Aragona, e con il beneplacito del Senato palermitano. Si vennero così ad inglobare gran parte delle piccole e disorganizzate strutture ed il nuovo Ospedale venne realizzato all’interno dello splendido Palazzo Sclafani (presente nella foto di copertina, Ndr).
Erano presenti in città anche congregazioni femminili, sebbene non numerose, ma rappresentative di una realtà del contesto sociale di Palermo già nei primi del Quattrocento. Tutte le congregazioni nel loro insieme esprimevano e realizzavano in concreto i principi di un cattolicesimo attivo che intendeva ospitare, visitare i carcerati, curare gli infermi e come ultimo atto di umana pietà, seppellire i defunti ispirandosi ai principi evangelici delle Sette opere di misericordia (Matteo,25) mirabilmente dipinte da Caravaggio in una sua tela.
L’agile ma pur anco completo volume di Carlo di Franco esplicita la struttura e l’organizzazione interna delle diverse Congregazioni e/o Confraternite ed è corredato da un chiaro e ricco apparato iconografico, pieno illustrazioni e di mappe e piante che indicano la distribuzione e la loro posizione nel tessuto urbano.
Nel centro storico di Palermo nel periodo medievale, all’interno e all’esterno della cinta muraria, esistevano circa ventotto ospedali e di questi, meno della metà erano ancora in funzione alla fine del XVI secolo. Alcune strutture ospedaliere si caratterizzavano per essere destinate ai connazionali delle varie “Nazioni” come i Pisani, Veneziani, Lombardi, Toscani, Napoletani, Lucchesi. In quel periodo le altre città erano considerate estere, e si dovrà attendere l’Unita d’Italia per riunirle nella stessa nazione.
La comunità degli Ebrei, prima della loro cacciata avvenuta nel 1492, aveva anch’essa un suo diverso ospedale sito in un cortiletto dietro la Sinagoga nel vicolo della “Meschita”, ed era nominato come l’ospedale dei Giudei.
Al largo diffondersi di malattie delle pelle, come la scabbia, concorreva l’erroneo concetto della natura di esse, i mezzi impropri di cura, la assoluta assenza di igiene e, ancor più, la superstiziosa ignoranza del volgo.
Nell’hospitalia magna, nel cortile all’interno dei portici, addossati ai muri perimetrali furono realizzati alcuni affreschi che servivano da monito a coloro i quali, oltrepassata la porta d’ingresso venivano ricoverati. Un affresco eseguito nel 1440 raffigurava il Giudizio Universale , ma venne distrutto durante i lavori di riadattamento dell’edificio nel 1713. Il celebre unico affresco pervenuto è il famoso “Trionfo della Morte” o “dell’Allegoria della Peste”, oggi salvaguardato presso la Galleria Regionale di Palazzo Abatellis, situata nell’antica strada dell’Alloro. Limitrofo all’ospedale, collegato da un cavalcavia gravitava l’infermeria dei Padri Cappuccini.
L’insieme di tutte le strutture ospedaliere e di assistenza, fece fronte alle storiche epidemie di Palermo: di peste prima e poi di colera.
Viene ricordata da Carlo Di Franco la figura del protomedico Gian Filippo Ingrassia, (1509- 1580), nativo di Regalbuto ma residente a Palermo dove tentò di arginare i danni del morbo e insieme ad altri colleghi, studiò delle forti contromisure. Ma ancora più famosa, e tragica, fu l’epidemia di peste del 1624, debellata secondo la Tradizione, dopo la scoperta delle ossa di Santa Rosalia.
La lezione di mezzo secolo prima e il “manuale” del protomedico Ingrassia, furono estremamente utili, in una città molto popolosa come Palermo, per evitare un’ecatombe in cui la vittima più illustre fu il Viceré Emanuele Filiberto di Savoia, deceduto il 3 agosto 1624.
Allo sparire della peste in Europa, subentra sin dal 1817 una nuova epidemia non meno letale di quella precedente, il colera che tra il 1830 e il 1832 si espanse in proporzioni allarmanti nei diversi stati europei, e nel 1837 provocò a Palermo una vera e propria ecatombe. Alla perdita di tanta gente comune, si aggiunse quella di illustri personaggi come lo storico Nicolò Palmeri, l’erudito Giuseppe Alessi, il giurista Antonino della Rovere, il filantropo Pietro Pisani.
Nel XIX secolo Palermo fu soggetta ad altre sei epidemie coleriche che avvennero negli anni 1854, 1855, 1866, 1867, 1885 e 1887, ma il numero totale dei morti (17.950) non superò quello del colera del 1837, che fu di oltre ventiquattromila.
In genere, in occasione dei moti rivoltosi e delle sollevazioni popolari come quella avvenuta in città dal 16 al 22 settembre 1866 (la c.d. rivolta del sette e mezzo), venivano date delle istruzioni per evitare il contagio. Un libretto considerato un “Catechismo Igienico popolare” venne distribuito gratuitamente presso le sezioni municipali; ma non fu letto da tutti, poiché in quel tempo molta gente era analfabeta e fu proprio quell’evento rivoluzionario che contribuì alla propagazione. Da alcuni per superstizione o malafede veniva poi diffusa la falsa notizia che il manifestarsi dell’epidemia era altresì da ricondurre all’arrivo dei soldati “piemontesi”, 40.000 uomini (fanti, granatieri e bersaglieri) al comando del generale Cadorna.
Il libro si conclude con un capitolo scritto da Mario Di Liberto, esperto in toponomastica che spiega come nei nomi delle strade vi fosse il rimando e l’indicazione alle strutture ospedaliere come appunto via dell’Ospedale o il vicolo Infermeria dei Cappuccini.
Una ricca bibliografia e sitografia è posta alla fine del appassionante lavoro di ricerca messo in atto ad opera di Carlo Di Franco con presentazione di Stefania Garifo Lapa, che stimola e invita a maggiori approfondimenti e che suscita indubbia curiosità e interesse per una materia ritornata di recente di stretta attualità.
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