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Recensioni di libri

Non sentite l’odore del fumo? di Danilo Dolci

Laterza, 1971 - Versi di grande valore profetico, ai quali non si può non riconoscere il merito di avere evidenziato, e incisivamente anticipato, il motivo dominante del nostro tempo: il nichilismo come condanna del presente e tramonto del futuro.

Federico Guastella
Federico Guastella Pubblicato il 24-01-2018

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Non sentite l'odore del fumo?

Non sentite l’odore del fumo?

  • Autore: Danilo Dolci
  • Categoria: Poesia
  • Casa editrice: Laterza

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Apriamo il testo “Non sentite l’odore del fumo?” (edito da Laterza, Bari, 1971) e leggiamo la lettera introduttiva con cui Danilo Dolci fornisce una spiegazione sulla genesi dell’opera. Rendendosi conto della crescita attorno a sé di apologie del fascismo, egli prende la decisione di ritirarsi nel campo di concentramento di Auschwitz a meditare sulle sorti dell’umanità.

È lì che scrive le poesie della raccolta, incentrate sulla violenza nazifascista; in appendice si trova la proposta di una discussione sulla ricerca di nuovi modi atti a denotare una società non violenta. Auschtwitz sta figliando, muove da questa forte affermazione il suo punto di vista:

“Le più grandi risorse / erano la speranza e la dignità. // Chi si rassegna, muore prima. // Non so se i giovani hanno /appreso. // Se ci si lascia chiudere, terrorizzare / se ci si lascia cristallizzare / si diventa una cosa / gli altri ci diventano cose”.

Sappiamo la profonda umanità del nostro poeta che non lo fa rimanere estraneo dinanzi all’irrazionale presente nella storia. Scompare l’invenzione dinanzi ad una realtà angosciante che prende il sopravvento. L’attenzione del poeta non è soltanto rivolta al passato. Non si esaurisce nella testimonianza dell’accaduto. I campi di sterminio risorgono e sono presenti tra noi con la loro carica distruttiva quando l’alienazione, esito di perdita della speranza e della dignità, riduce l’uomo a cosa fra le cose. La rassegnazione e la chiusura in se stessi rendono miopi, paralizzano le conoscenze e il desiderio di immaginare il futuro. Sono versi i suoi di grande valore profetico, ai quali non si può non riconoscere il merito di avere evidenziato, e incisivamente anticipato, il motivo dominante del nostro tempo: il nichilismo come condanna del presente e tramonto del futuro. Il fondo umano è affidato a una voce lancinante:

“Molti ancora non sanno: / Auschwitz è tra noi. È in noi”.

Incessantemente avanzano la mercificazione e il conformismo che svuotano la realtà dii significati:

“Non so se i giovani hanno appreso”

scrive dubbioso Danilo Dolci.
Il testo continua e si realizza nella sofferenza del paesaggio desertificato estraneo alla rivolta interiore, al volo verso un mondo nuovo, ma è l’insieme a stemperare l’amarezza, facendo intravvedere uno spiraglio nel buio:

“Ad Auschwitz ci torno volentieri. // Mi dà la misura dei fatti”.

La memoria non è sterile: lascia fluire l’aria che si respira, fa entrare aria nuova nel sangue per comunicare propositi, pianti, speranze.

“Non sentite l’odore del fumo?”, “Auschwitz sta figliando”.

Sono stati tagliati e bruciati i rami intossicati, ma il fumo – si sa - è cancerogeno: s’infiltra nei polmoni e agisce contro i cosiddetti diversi.

“Il viaggio dunque comincia quando il viaggio finisce”

annota Danilo Dolci citando poi un’espressione di Primo Levi. I ritmi e le suggestioni dei suoi testi guardano al rinnovamento dell’uomo e al suo peso di sofferenze. Specificamente alla speranza. Desiderare è sperare, è avere il senso della direzione; e sperare vuol dire saper progettare. L’incontro con il pensiero di Bloch è chiaro: la speranza verso il possibile non ancora realizzato allarga, amplia la vita:

“Ma sapere solo Auschwitz o il Vietnam, intossica / ai giovani occorre, anche, / l’esperienza di un mondo nuovo davvero”.

Il discorso, che ha il pregio del recitativo, coniuga la semplicità del linguaggio con profonde metafore sull’impegno sociale e si pone contro il tempo della mercificazione, quello del denaro secondo la ben nota espressione di Benjamin Franklin:

“Time is money”.

In Si butta mezza sarda che fa odore, leggiamo:

“La tecnica è la stessa, cambia l’esca, / il primo premio della lotteria / che arricchisce ciascuno, sfaticandolo; / il soldo e la divisa luccicante / per chi poi serve / a mantenere quieti i turbolenti; / l’ostia che ti promette eterna pace”.

Se non si svuotano i contenuti illusori, può fuggire la speranza. Viene in soccorso la voce di Danilo Dolci che l’ha fatto poeta: in tempi di menzogne dire la verità e denunciare è un atto di rivolta.


© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Non sentite l’odore del fumo?

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