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Recensioni di libri

Mi chiamo Lucy Barton di Elizabeth Strout

Einaudi, 2016 - Una malattia fa sì che Lucy Barton incontri, dopo molto tempo, la madre: è il momento in cui la donna dovrà fare i conti con quel nodo inestricabile, fatto di dolore, rimpianti, nostalgie, contraddizioni, rancori, che lega ogni individuo a chi l’ha generato.

Alessandra Stoppini
Alessandra Stoppini Pubblicato il 09-05-2016

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Mi chiamo Lucy Barton

Mi chiamo Lucy Barton

  • Autore: Elizabeth Strout
  • Categoria: Narrativa Straniera
  • Casa editrice: Einaudi
  • Anno di pubblicazione: 2016

“Mi chiamo Lucy Barton” (Einaudi, 2016, titolo originale My name is Lucy Barton, traduzione di Susanna Basso) è il nuovo romanzo della scrittrice statunitense Elizabeth Strout, nata a Portland nel Maine nel 1956 e residente da molti anni a New York, Premio Pulitzer nel 2009 con la raccolta di racconti “Olive Kitteridge”.

“Ciascuno ha soltanto una storia. Scriverete la vostra unica storia in molti modi diversi. Ma tanto ne avete una sola”.

Il romanzo dell’autrice di “Amy e Isabelle”, “Resta con me” e “I ragazzi Burgess”, dedicato “Alla mia amica Kathy Chamberlain”, uscito lo scorso gennaio negli Stati Uniti, è stato definito dal Kirkus Review “magistrale” e “pieno di poesia”, e dal New York Times “potente, malinconico e squisito”.

Lucy Barton, un marito e due figlie, di professione scrittrice, ricorda che molti anni fa ci fu un tempo

“in cui dovetti trascorrere quasi nove settimane in ospedale”.

Di notte dalla finestra della camera Lucy osservava il grattacielo Chrysler che illuminava la notte newyorkese con la sua scintillante geometria di luci, mentre il giorno spegneva la bellezza dell’edificio che

“a poco a poco, ridiventava solo l’immane architettura stagliata contro il cielo azzurro e, come le altre, remota, silenziosa, altera”.

Trascorsi i mesi di maggio e giugno era arrivato luglio e l’organismo di Lucy grazie agli antibiotici era riuscito a sconfiggere quella preoccupante febbre sopraggiunta dopo l’operazione di appendicite, alla quale la giovane donna era stata sottoposta. Il marito di Lucy aveva il suo daffare a mandare avanti la casa e il lavoro e di rado andava a trovare la moglie, anche perché odiava gli ospedali. Le figlie di Lucy erano state portate in visita alla madre da un’amica di famiglia.

“Come sei magra, mamma!”

avevano esclamato le piccole, spaventate. Un pomeriggio, circa tre settimane dopo il ricovero, Lucy aveva girato lo sguardo dalla finestra e aveva visto sua madre seduta ai piedi del letto. “Ciao, bestiolina”, quello stesso vezzeggiativo che la donna non usava da una vita, aveva fatto sciogliere la tensione nell’animo di Lucy, come per incanto.

“Non vedevo mia madre da anni; continuavo a fissarla, non capivo come mai mi sembrasse tanto cambiata”.

Lucy Barton e sua madre, la storia del loro ritrovato rapporto è una storia universale, che appartiene a ciascuno di noi. Quel nodo inestricabile che lega ogni individuo a chi l’ha generato fatto di dolore, rimpianti, nostalgie, contraddizioni, rancori, tutto quel “non detto”, che una delle voci più raffinate e sincere del mondo letterario contemporaneo indaga con passione e sensibilità. Elizabeth Strout, in una recente intervista riguardo sua madre che si chiama Beverly Bean Strout, ha dichiarato

“Confesso che ultimamente mi capita di pensare spesso a mia madre che vive nel Maine, la terra in cui sono nata, e nel tempo è rimasta sempre identica, cioè non affettuosa dal punto di vista fisico e severamente critica verso gli altri. Penso che questa sua attitudine mi abbia condotta, per reazione, ad applicarmi alla scrittura tentando di non giudicare troppo me stessa. È stato l’influsso più determinante che ho avuto sul mio lavoro”.

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© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Mi chiamo Lucy Barton

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