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Recensioni di libri

Luce ovunque di Cees Nooteboom

Einaudi, 2016 - Un’antologia poetica del più noto scrittore olandese, finora conosciuto in Italia soprattutto per la sua narrativa: versi che intuiscono e propongono al lettore varchi verso l’ignoto, pur ancorandosi alla realtà quotidiana e sofferta di tutti noi.

Alida Airaghi
Alida Airaghi Pubblicato il 22-09-2016

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Luce ovunque

Luce ovunque

  • Autore: Cees Nooteboom
  • Categoria: Poesia
  • Casa editrice: Einaudi
  • Anno di pubblicazione: 2016

Cees Nooteboom (L’Aja, 1933) è uno dei maggiori scrittori contemporanei, autore di numerosi romanzi e libri di viaggio, pubblicati in Italia da Iperborea. Ha scritto anche una decina di volumi di poesia, che ora Einaudi ha scelto di antologizzare “a ritroso”, dall’ultimo uscito nel 2012, al primo del 1964. Leggendo i suoi versi appunto dai più antichi ai più recenti, dalla conclusione del volume all’inizio, ci si avvedrà della progressiva illuminazione che si riflette nei contenuti e nella forma, fino ad approdare al consapevole schiarimento di “Luce ovunque”.
Le raccolte del primo ventennio esprimono infatti, già dai titoli, una sorta di cautela, quasi un timoroso sospetto nei confronti del mondo circostante, e dei sentimenti che lo animano: “Poesie chiuse”, “Presente, assente”, “Aperto come un guscio, chiuso come una pietra”, “Esca”. Anche le singole composizioni alludono a una recinzione timorosa, a un’asprezza inibita e sofferta che cerca un suo sfogo e uno scampo nell’assoluzione della scrittura: Golden Fiction, Niente, Ultima lettera, Nessuno, Empty Quarter, Pietre rotolanti.
Le poesie giovanili di Nooteboom sono ancorate a un’idea costante di dissolvenza, dei corpi e della storia, rassegnate all’inevitabile sparire delle persone, e all’inconsistente testimonianza del loro agire e scrivere:

«Sono sepolti, i miei amici. / Sotto gli alberi continuano i corpi il loro cammino. // …Perché sono così triste / se altro non aspetto che guardare i fuochi / e la partenza di una nave?», «Gli immortali sono morti e dimenticati, / loro casa è una tomba», «È rimasto tanto poco di te / ora che sei stata bruciata, / un pugno di cenere che sembra cenere / e ancora quest’anno volevi un mio bacio», «Ieri torna a ripetersi. // … No, qui non è mai cambiato nulla», «Niente assume forma. I giornali si sciolgono, / le foto si dissolvono. La pietra è di cera, / la scrittura di cenere, il tempo afferra se stesso / e ripete l’apparizione», «Mi trascino dietro questa vita sconvolta / come un pescatore la sua rete lungo la riva // … Il dolore non mi evita».

Privato e pubblico si equivalgono nel loro vano nullificarsi, nell’imperturbabile sovrapporsi di stagioni e anni, a cui nemmeno gli affetti familiari, o la passione degli amanti, riescono a opporre resistenza. La natura, descritta nella varietà dei paesaggi visitati (Mediterraneo e Oriente, oceani e deserti, metropoli e villaggi sperduti) mantiene nei confronti dell’osservatore un’impenetrabile ostilità: fiumi morti, tempeste di sabbia, montagne sonnacchiose, canneti torturati, agavi pungenti… Anche lo stile, nella sua limpida perentorietà, non manifesta nessuna clemenza, nessuna titubanza espressiva, o ansia di originalità.
Più indulgenti verso se stesse e la vita sono le poesie mature, dagli anni ’90 in poi. C’è in primo luogo la volontà di ancorarsi culturalmente e ideologicamente a un passato riconosciuto come “classico” e fondante, tuttora vitale e formativo. Perciò si susseguono gli omaggi alla scrittura dei grandi, da Omero a Esiodo, da Lucrezio a Virgilio, da Cartesio e Wittgenstein, da Ungaretti a Borges. Persino i titoli delle raccolte si aprono a una più luminosa accettazione del reale (Vista, Così poteva essere, Incontri, Luce ovunque), con un richiamo costante allo sguardo verso l’esterno (una sezione intera è dedicata all’occhio), e alla sospensione positiva dell’attesa (la figura del postino, foriero di novità, emerge qua e là come un alato mercurio contemporaneo). Quindi anche la poesia ritrova un suo ruolo di scoperta e testimonianza, di guida e salvezza:

«Di tutto è rimasta poca cosa, / scrittura che si oppone al decadere. // Taci e ascolta l’ultimo nostro marittimo dolore, / con chi posso godere del profumo rimasto? // Di qui tutto si genera: / in un luogo senza importanza // un’ombra / senza un sasso. // Sii, tu».

Si avverte maggiormente (nei versi più franti e complessi, nelle ellissi e nelle metafore più azzardate, negli apporti prosastici…) l’influenza della poesia contemporanea: l’eco della lettura di Celan – per esempio –, o l’approccio ironico totalmente assente nella produzione giovanile.
Il contagio della modernità - anche nei suoi aspetti violenti, alienanti, enigmatici - genera nell’ultimo Nooteboom la disposizione a esporsi in una tensione, magari risentita e amara, verso il magma del reale, dove anche la dimensione metafisica diventa proposta e azzardo:

«un portone, sempre chiuso, / ora socchiuso, il pericolo di un’altra / vita, una poesia / di un’esistenza capovolta, / in cui la morte non ha falce», «l’inizio di qualcosa, dialogo / in una lingua ancora inesistente».

Su questa novità, il poeta ha il dovere (eticamente, linguisticamente) di fare ovunque luce.

Luce ovunque: 2012-1964

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© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Luce ovunque

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