Il canto dell’essere e dell’apparire
- Autore: Cees Nooteboom
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Iperborea
- Anno di pubblicazione: 2009
«È questo, naturalmente, che deve fare uno scrittore. Librarsi alto, come un’aquila, al di sopra dei personaggi che vuole seguire. In questo caso il dottore e il colonnello».
«Dunque esistono?», disse l’altro scrittore. «Lavori con personaggi veri?».
«Sono veri nel momento in cui li hai immaginati», disse lo scrittore, non del tutto convinto di quel che stava dicendo.
Questo è l’incipit del romanzo dello scrittore olandese Cees Nooteboom “Il canto dell’essere e dell’apparire”, che è una riflessione sul senso della scrittura e del rapporto che c’è tra di essa e lo scrittore. Si tratta di un libro da leggere con grande attenzione, perché la narrazione avviene su due piani paralleli ma che finiscono in alcuni punti per intrecciarsi conferendo alla storia un carattere unico, originale, straordinario. La domanda fondamentale che si pone questo romanzo breve è: che senso ha continuare ad aggiungere una realtà immaginata a quella esistente, già così ricca di storie?
Il personaggio principale del libro è “lo scrittore” così come viene identificato genericamente per tutto il romanzo, che da anni non riesce più a scrivere o perlomeno a completare una storia, preso da mille dubbi sul senso di quello che lui reputa qualcosa di più di un semplice lavoro. “Il canto dell’essere e dell’apparire” si apre con un dialogo tra il protagonista e “l’altro scrittore” un uomo pragmatico, disincantato, furbo, con il quale c’è un rapporto di conoscenza molto forte. I dialoghi sono molto frequenti nel libro e sono incentrati quasi esclusivamente sul senso dello scrivere e di come svolgere nel modo più redditizio possibile questa professione. I confronti, che spesso si trasformano in scontri tra i due uomini, sono memorabili e ci sono riflessioni preziose da leggere e rileggere perché utili per comprendere meglio il senso della scrittura e della vita.
“Lo scrittore” ritiene che scrivere sia una forma d’arte e come tale non soggetta a regole ferree. L’autore deve sentirsi libero di esprimersi, senza pensare ai soldi e alla fama ma cercare solamente di comunicare le proprie idee, le proprie sensazioni ed emozioni senza preoccuparsi di piacere necessariamente ai lettori. Il blocco che il protagonista attraversa nel periodo della sua vita descritto nel libro, è quindi giustificabile con il desiderio di ricercare qualcosa di più profondo da raccontare, correndo il rischio anche di essere poco commerciale e di impiegare molto tempo per riuscire a finire di scrivere una storia. “L’altro scrittore” sostiene che il loro è un mestiere come tutti gli altri e spiega la sua teoria in maniera sintetica ma estremamente efficace in quattro regole che definisce piatte, cioè prove molto materiali. Il primo punto è che scrivere è, secondo lui, divertente; il secondo è che si viene pagati per questo e che è pure necessario in qualche modo guadagnarsi da vivere; il terzo è cercare di diventare famosi, non per la gloria ma per un bisogno di autoconferma; il quarto, il più banale, è che, quando non sai fare altro nella vita, deve dedicarti all’unica cosa che ti riesce, in questo caso la scrittura, afferma rivolgendosi allo scrittore.
“Lo scrittore” decide finalmente di riprendere a scrivere raccontando una storia ambientata nella prima parte nella Bulgaria di fine Ottocento, in cui i primi personaggi che compaiono sulla scena sono il colonnello Ljuben Georgiev, eroe della guerra contro i Turchi, pieno di insicurezze e di incubi e il medico Stefan Ficev, suo carissimo amico, uomo amante dei viaggi e della bella vita, a cui in seguito si aggiunge Laura Ficev, una donna affascinante e misteriosa, molto più giovane di Stefan Ficev, che diventa la moglie del dottore. Il libro diventa a poco a poco un susseguirsi continuo di parti in cui la narrazione si svolge nella “realtà” con i dialoghi tra i due scrittori o i loro spostamenti, incontri, pensieri e parti in cui Cees Nooteboom fa vivere l’emozione del romanzo che il protagonista sta scrivendo, rendendo partecipe il lettore di questa creazione. Un libro con questa particolare struttura, corre il rischio di risultare noioso e in alcuni punti anche ripetitivo, ma uno dei notevoli meriti dell’autore è quello di riuscire a non rendere il racconto pesante attraverso uno stile raffinato, una grande abilità narrativa che crea una forte aspettativa e desiderio di proseguire la lettura per scoprire il seguito della storia oltre a una incredibile sensibilità con la quale coinvolge totalmente il lettore sul piano emotivo, al punto da riuscire anche a commuoverlo in alcuni punti.
Difficile stabilire in modo arbitrario chi tra i due scrittori protagonisti di queste lunghe riflessioni abbia ragione. Cees Nooteboom, come ogni autore di grande spessore, non sembra voler imporre il proprio punto di vista, ma lascia ai lettori la possibilità di trovare una propria risposta. Va detto che la scrittura, indubbiamente, mette in moto comunque forze che a volte anche il suo artefice fatica a controllare e questo solo chi vi si dedica con impegno, coerenza e passione può veramente comprenderlo. Ciò che veramente colpisce di questo libro è la capacità di trattare un tema così importante e ancora estremamente attuale con una leggerezza, con una buona dose di ironia e una dolcezza grandissima anche nei momenti in cui la narrazione assume toni in parte drammatici. Sono fantastiche alcune descrizioni tra cui notevole è quella in un capitolo della moglie del dottore, Laura Ficev oppure gli ironici commenti sulle qualità e le abitudini di vita che generalmente possono avere gli scrittori o ancora l’ultima parte della narrazione che si svolge principalmente in Italia. Tanti sono gli argomenti su cui l’autore ci fa riflettere oltre al tema principale, come tra gli altri: la ricerca della propria identità, la capacità di accettazione di noi stessi e il coinvolgimento emotivo che ogni forma d’arte può comportare in chi vi si dedica. L’autore afferma attraverso le parole del protagonista del libro che
“Gli scrittori immaginano una realtà in cui non hanno bisogno di vivere, ma su cui hanno un potere”.
“Il canto dell’essere e dell’apparire” è stato il primo libro di Cees Nooteboom pubblicato in Italia, per merito della casa editrice Iperborea che ha curato molte delle sue opere. Pubblicato nei Paesi Bassi nel 1981 (titolo originale dell’opera Een lied van schijn en wezen) è arrivato in Italia nel 1991 con la traduzione dal nederlandese di Fulvio Ferrari. In seguito molte opere di questo scrittore sono state pubblicate ed apprezzate. Il titolo deriva dall’opera omonima dallo psichiatra e poeta olandese Frederik van Eeden (1860-1932). Cees Nooteboom ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti letterari in patria e all’estero, oltre a diverse candidature al Premio Nobel. È venuto spesso in Italia per presentare i suoi libri come nell’edizione 2016 del Festival della Letteratura di Mantova. Il festival Dedica di Pordenone, che ogni anno invita uno scrittore sul quale incentra tutto il programma di una singola edizione, lo ha ospitato per rendergli il giusto onore nell’edizione del 2011.
Cees Nooteboom, nato a L’Aja nel 1933, ha cominciato lavorando per varie testate giornalistiche olandesi scrivendo saggi o cronache. Ha esordito giovanissimo come romanziere nel 1955 con il titolo in italiano “Philip e gli altri” tradotto nel nostro Paese solo molti anni dopo e ponendosi subito all’attenzione della critica nella sua nazione. In seguito è diventato autore di numerose opere che spaziano dalla poesia, ai testi teatrali, ai resoconti di viaggio, ai testi storici, fino alla saggistica, oltre che naturalmente ancora alla narrativa. Ha conosciuto il successo internazionale prima con il romanzo “Rituali” uscito in Italia nel 1980 e poi grazie a “Il canto dell’essere e dell’apparire”.
Autore dotato di grande versatilità, storico attento, appassionato viaggiatore, intellettuale raffinato va sicuramente annoverato tra i grandi nomi della letteratura contemporanea a livello mondiale e questo libro può essere considerato senza esagerazioni un piccolo capolavoro.
Il finale ha un tono in parte drammatico, in parte sorprendente ed emozionante al tempo stesso e non va svelato. Lo scrittore protagonista della storia, durante un suo soggiorno a Roma che sceglie di fare per completare il suo romanzo, arriverà ad intravedere i suoi personaggi in una strada della città, comprendendo come lui stesso sia diventato un personaggio del racconto che ha immaginato.
Leggere questo libro significa assaporare tutto il fascino, la passione e la bellezza della narrazione ed è consigliato vivamente agli scrittori, ma naturalmente anche ai "semplici" lettori. Chi scrive considera questo romanzo unico, coinvolgente e meraviglioso e spera di riuscire molto umilmente ad invogliare, incuriosire ed appassionare altre persone alla sua lettura.
Il canto dell'essere e dell'apparire
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