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Recensioni di libri

La vergogna di Annie Ernaux

L’Orma, 2018 - La narrazione parte da un episodio che sconvolse Annie Ernaux nel profondo: suo padre in uno scatto d’ira tentò di uccidere sua madre con una roncola. Da qui si dipana la narrazione di quell’anno, della sua istruzione religiosa e della vergogna provata per il suo stato di povertà.

Elisabetta Bolondi
Elisabetta Bolondi Pubblicato il 20-11-2018

9

La vergogna

La vergogna

  • Autore: Annie Ernaux
  • Categoria: Narrativa Straniera
  • Casa editrice: L’orma editore
  • Anno di pubblicazione: 2018

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Ottobre 1996, data in cui Annie Ernaux finisce di scrivere questo nuovo capitolo della sua storia personale, “La vergogna”. Per noi lettori amanti della sua scrittura a volte inquietante, un piacere atteso, come un appuntamento con le nostre pulsioni più profonde e mai rivelate. In questo caso, nelle 125 pagine delle sue riflessioni, dei suoi ricordi, la rottura del tabù che le aveva impedito di scrivere, persino nel suo diario, di quell’episodio terribile che aveva segnato per lei la fine dell’infanzia: aveva dodici anni Annie, il pomeriggio del 15 giugno del 1952, quando suo padre in uno scatto d’ira funesta troppo a lungo trattenuta, aveva tentato di uccidere sua madre con una roncola staccata dal muro. “Non è successo niente”, griderà la madre per rassicurarla, ma la ferita nella psiche dell’adolescente cresciuta in un piccolo borgo della Normandia, tra drogheria di casa, scuola privata religiosa, messa domenicale e grande miseria non si rimarginerà facilmente.

Da questo evento drammatico Ernaux parte per ripercorrere insieme a noi quell’anno, di cui le poche sbiadite fotografie scattate con macchinette inefficaci la mostrano irriconoscibile alla se stessa di oggi. Goffa, malvestita, occhiali, permanente ai capelli come unico lusso concesso, la piccola Annie frequentala la scuola cattolica, perché è l’unico strumento di elevazione sociale e di conformismo che la madre, religiosissima, si concede. Lei è bravissima, anche se non vuole mostrarlo, ma non è accolta dalla compagne che la tengono a distanza. Una religiosità accanitamente bigotta, preghiere giornaliere ripetitive, obbligo di confessione, atteggiamento remissivo, importanza data più all’adesione a quel modello sociale di donna sottomessa, con un futuro immaginato solo come sposa e madre, che non al rendimento scolastico: meno lettura, pericolosa, a meno che non sia consigliata e controllata e più preghiera.
In un clima così asfissiante, chiuso, conformista, provinciale, misero, un unico viaggio con il padre attraverso la Francia del sud, diretti a Lourdes, fa uscire Annie dal clima soffocante e asfittico nel quale vive. Dormire e mangiare in albergo, lavarsi con acqua calda in bagno, viaggiare in pullman, tutti lussi che per la giovane Annie sono scoperte e piaceri proibiti. Il ritratto dei genitori, dei loro pochi conoscenti, dei parenti lontani e poco frequentati, mostrano una vita opaca, spenta. Il contatto con la scuola, con la maestra, “La signorina”, che pure la apprezza, è il rapporto con un’adulta senza età, dura, intransigente, inelegante, capace di commozione solo di natura religiosa, eppure l’alunna vorrebbe saperne quanto lei.

Se la signorina L. mi piacesse o meno è una questione che non si pone. Non frequentavo nessuno più istruito di lei. Non era una donna come le clienti di mia madre o le mie zie, bensì la personificazione di quella legge che ai miei occhi sanciva , a ogni interrogazione impeccabile, a ogni compito senza errori, l’eccellenza del mio essere scolastico. Più che le mie compagne, è lei il mio metro di paragone: sapere a fine anno tutto ciò che sa lei.

Quello che più mi affascina della Ernaux è la sua capacità di scrittura, l’uso di un linguaggio capace di andare in profondità nella sensibilità di chi legge, di toccare le corde più intime della nostra coscienza, della nostra identità. Le parole di Paul Auster, che pone in esergo a questo libro, sono evidente testimonianza del suo modo di concepire il discorso letterario:

Il linguaggio non è la verità. È il nostro modo di esistere nel mondo.

Una riflessione sul termine con cui ha intitolato il libro, “vergogna”, è presente nelle ultime pagine in forma di confessione, di riconoscimento delle tante motivazioni personali che l’hanno fatta vergognare nell’infanzia: la miseria, l’ubriachezza del padre, la latrina in cortile, l’emarginazione sociale, dormire in tre nello stesso ambiente, le parolacce e la volgarità della madre, la “vergogna come ripetizione e accumulo”.
Il paese di Y, poco lontano a Rouen, neppure nominato per vergogna, i modi di dire e di pensare di una comunità, elencati in corsivo nel testo, proverbi, programmi radiofonici, riviste, canzoni, abitudini, la buona educazione come valore dominante e irrinunciabile, altrimenti si finiva “come selvaggi”, sono l’affresco che la grande capacità di sintesi consente all’autrice di tracciare, parlando di sé, forse, ma di tutta una generazione di europei usciti dalla guerra, dominati dalla Chiesa, costretti in sistemi politici miopi nel tentativo di ricostruire un benessere fondato su pochi principi inossidabili.

Brava Annie Ernaux, bravo il traduttore del libro, Lorenzo Flabbi, efficacissimo nella resa di termini che risuonano nella mia testa come ricordi lontani, ma vividi: “cosa penseranno di noi?”, la summa del conformismo anni ’50 che ci ha formato.


© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La vergogna

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