La vergogna
- Autore: Annie Ernaux
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: L’orma editore
- Anno di pubblicazione: 2018
Ottobre 1996, data in cui Annie Ernaux finisce di scrivere questo nuovo capitolo della sua storia personale, "La vergogna". Per noi lettori amanti della sua scrittura a volte inquietante, un piacere atteso, come un appuntamento con le nostre pulsioni più profonde e mai rivelate. In questo caso, nelle 125 pagine delle sue riflessioni, dei suoi ricordi, la rottura del tabù che le aveva impedito di scrivere, persino nel suo diario, di quell’episodio terribile che aveva segnato per lei la fine dell’infanzia: aveva dodici anni Annie, il pomeriggio del 15 giugno del 1952, quando suo padre in uno scatto d’ira funesta troppo a lungo trattenuta, aveva tentato di uccidere sua madre con una roncola staccata dal muro. "Non è successo niente", griderà la madre per rassicurarla, ma la ferita nella psiche dell’adolescente cresciuta in un piccolo borgo della Normandia, tra drogheria di casa, scuola privata religiosa, messa domenicale e grande miseria non si rimarginerà facilmente.
Da questo evento drammatico Ernaux parte per ripercorrere insieme a noi quell’anno, di cui le poche sbiadite fotografie scattate con macchinette inefficaci la mostrano irriconoscibile alla se stessa di oggi. Goffa, malvestita, occhiali, permanente ai capelli come unico lusso concesso, la piccola Annie frequentala la scuola cattolica, perché è l’unico strumento di elevazione sociale e di conformismo che la madre, religiosissima, si concede. Lei è bravissima, anche se non vuole mostrarlo, ma non è accolta dalla compagne che la tengono a distanza. Una religiosità accanitamente bigotta, preghiere giornaliere ripetitive, obbligo di confessione, atteggiamento remissivo, importanza data più all’adesione a quel modello sociale di donna sottomessa, con un futuro immaginato solo come sposa e madre, che non al rendimento scolastico: meno lettura, pericolosa, a meno che non sia consigliata e controllata e più preghiera.
In un clima così asfissiante, chiuso, conformista, provinciale, misero, un unico viaggio con il padre attraverso la Francia del sud, diretti a Lourdes, fa uscire Annie dal clima soffocante e asfittico nel quale vive. Dormire e mangiare in albergo, lavarsi con acqua calda in bagno, viaggiare in pullman, tutti lussi che per la giovane Annie sono scoperte e piaceri proibiti. Il ritratto dei genitori, dei loro pochi conoscenti, dei parenti lontani e poco frequentati, mostrano una vita opaca, spenta. Il contatto con la scuola, con la maestra, “La signorina”, che pure la apprezza, è il rapporto con un’adulta senza età, dura, intransigente, inelegante, capace di commozione solo di natura religiosa, eppure l’alunna vorrebbe saperne quanto lei.
Se la signorina L. mi piacesse o meno è una questione che non si pone. Non frequentavo nessuno più istruito di lei. Non era una donna come le clienti di mia madre o le mie zie, bensì la personificazione di quella legge che ai miei occhi sanciva , a ogni interrogazione impeccabile, a ogni compito senza errori, l’eccellenza del mio essere scolastico. Più che le mie compagne, è lei il mio metro di paragone: sapere a fine anno tutto ciò che sa lei.
Quello che più mi affascina della Ernaux è la sua capacità di scrittura, l’uso di un linguaggio capace di andare in profondità nella sensibilità di chi legge, di toccare le corde più intime della nostra coscienza, della nostra identità. Le parole di Paul Auster, che pone in esergo a questo libro, sono evidente testimonianza del suo modo di concepire il discorso letterario:
Il linguaggio non è la verità. È il nostro modo di esistere nel mondo.
Una riflessione sul termine con cui ha intitolato il libro, “vergogna”, è presente nelle ultime pagine in forma di confessione, di riconoscimento delle tante motivazioni personali che l’hanno fatta vergognare nell’infanzia: la miseria, l’ubriachezza del padre, la latrina in cortile, l’emarginazione sociale, dormire in tre nello stesso ambiente, le parolacce e la volgarità della madre, la “vergogna come ripetizione e accumulo”.
Il paese di Y, poco lontano a Rouen, neppure nominato per vergogna, i modi di dire e di pensare di una comunità, elencati in corsivo nel testo, proverbi, programmi radiofonici, riviste, canzoni, abitudini, la buona educazione come valore dominante e irrinunciabile, altrimenti si finiva “come selvaggi”, sono l’affresco che la grande capacità di sintesi consente all’autrice di tracciare, parlando di sé, forse, ma di tutta una generazione di europei usciti dalla guerra, dominati dalla Chiesa, costretti in sistemi politici miopi nel tentativo di ricostruire un benessere fondato su pochi principi inossidabili.
Brava Annie Ernaux, bravo il traduttore del libro, Lorenzo Flabbi, efficacissimo nella resa di termini che risuonano nella mia testa come ricordi lontani, ma vividi: “cosa penseranno di noi?”, la summa del conformismo anni ’50 che ci ha formato.
La vergogna
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Non conoscevo Annie Ernaux.
Dopo il conferimento del premio Nobel alla letteratura 2022 ho fatto delle ricerche su Internet.
La sua scrittura viene definita penetrante come un coltello affilato.
Devo dire che dopo la lettura del suo “La vergogna” effettivamente ho riscontrato un metodo di scrittura lineare, pragmatico, freddo, profondo e quindi doloroso; il paragone con un coltello calza alla perfezione.
L’averle attribuito il premio Nobel alla letteratura mi ha lasciata però un po’ perplessa.
Sicuramente avrà inciso il fatto che “questo è il tempo della riscossa della donna in vari campi” e lei con i suoi libri ha trattato vari argomenti di dolore e riscatto femminile.
La motivazione dell’attribuzione del premio è stata “per la sua capacità di trasportare il lettore da un momento autobiografico ad una visione globale e sociale dell’argomento trattato”.
Partire da una esperienza personale è già un elemento attrattivo per un lettore che da buon voyeur preferisce, il più delle volte, il racconto veritiero ad un racconto fantastico.
Se poi attraverso l’esperienza soggettiva si può, come un sasso nello stagno, propagare l’attenzione sul contesto storico sociale politico emozionale del momento in cui lo stesso è vissuto, fa sì che il lettore leggendo, si specchi.
“La vergogna” libro che la Ernaux scrive nel 1995 all’età di 55 anni è per lei una forma liberatoria e purificante della sensazione di “vergogna sociale” da lei provata all’improvviso il 15 giugno 1952, giorno in cui il padre, in un momento d’ira, tenta di uccidere la madre.
La bambina ingenua di 12 anni assistendo a questo gesto, si sveglia, con la consapevolezza che tutto ciò che le è stato imposto come regole di vita sociale (comportarsi bene per non essere mal giudicati) sono solo vuote parole, poiché all’interno delle mura domestiche mancano le basi per il rispetto reciproco tra i suoi genitori così come altri elementi di vita “educata”.
La “vergogna sociale” come lei la definisce cioè la vergogna di appartenere ad una condizione sociale misera, la spingerà al miglioramento per l’integrazione in quel mondo borghese a cui lei aspirava e di cui aveva ricevuto solo a parole e non a esempi, le dure regole.
In un passo del libro lei dice: “potevo parlare della vergogna relativa alla mia estrazione sociale solo quando era innamorata” e quindi libera dalle sue gabbie di protezione.
In un altro passo dice: “penso che la narrazione possa rendere normale qualsiasi atto drammatico”. Avrà fatto un percorso in analisi? Di solito è quello che lo psicologo consiglia.
Estrapola da te il tuo problema ed analizzalo guardandolo dall’alto. Ne vedrai i contorni e la sua automatica riduzione. L’oggettivazione del dolore, lo riduce.
Ho fatto un paragone istintivo con “Ragazzi di vita” di Pasolini (1955) in cui i ragazzi di borgata vivendo una condizione promiscua non erano ancora capaci di vederla come condizione negativa da cui evolversi. Mentre nel 1952 in Francia una bambina di 12 anni già sentiva di doversi migliorare e riscattare.
In fatto di fermento sociale la Francia ci insegna. Il 68 ebbe il suo apice nel Maggio francese.
Libro interessante, scuote i cassetti del ricordo, sicuramente genere sensazioni e non lascia indifferenti perché qualcosa del nostro vissuto sicuramente lo ritroviamo, ma non l’ho trovato un libro esaltante e il premio Nobel torno a ripetere mi lascia perplessa. Mi riprometto di leggere almeno altri suoi due libri sperando di fugare questo mio pensiero.
Cordelia