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Fiere del Libro e festival letterari

“La storia di un Romanzo”: Annie Ernaux premiata a Pordenonelegge

Annie Ernaux ha ricevuto il premio “La storia di un Romanzo” durante la quarta giornata del festival letterario Pordenonelegge. La scrittrice Premio Nobel ci racconta quando l’idea dello scrivere non è esperienza di un'individualità, ma diventa voce di una realtà condivisa.

Marzia Perini
Marzia Perini Pubblicato il 18-09-2023
“La storia di un Romanzo”: Annie Ernaux premiata a Pordenonelegge

Credits: foto di Gigi Cozzarin

Il premio Nobel Annie Ernaux racconta l’idea di scrivere, come l’idea di narrare e di far nascere altro da sé.
Doppio fondo della scrittura per distrarre i fantasmi che abitano in noi.

Forse è questo il vero senso della scrittura e della letteratura.
Questo anche il fil rouge che ha trascinato giornalisti e lettori presenti a Pordenonelegge alla premiazione La storia di un romanzo sponsorizzata da Crédit Agricole.
In occasione del conferimento del premio Annie Ernaux, Nobel per la Letteratura 2022, con la freschezza dei suoi 83 anni ha raccontato il filo rosso della sua letteratura, definita con un termine nuovo “autobiografia interpersonale”, perché nelle sue pagine il racconto individuale del sé, la storia personale diventa collettiva. “Io”, “lei”, “loro”, “noi” sono angoli di una narrazione che si intreccia in una stessa storia.
Nei libri di Ernaux l’Io e il Noi si ritrovano speculari e spesso sovrapposti, come ci rivela sin dall’incipit il suo capolavoro Gli anni (L’orma editore, 2015).
Ne risulta una letteratura che sa di “nostro e condiviso”, nel passaggio quasi impercettibile dalla prima persona singolare alla prima persona plurale.

A Pordenonelegge la scrittrice francese ha raccontato il suo rapporto con la scrittura e con la forma romanzo.

Annie Ernaux e il rapporto con la scrittura a Pordenonelegge

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Ho iniziato a scrivere - racconta Annie Ernaux alla platea del Festival - partendo ciò che sentivo intorno a me e dalle situazioni che mi erano vicine. E più le raccontavo più mi rendevo conto che non stavo raccontando solo il mio racconto personale, ma una storia universale.
La scrittrice premio Nobel ha definito la sua idea di scrittura con un termine ben preciso: una scrittura “spaziale”.

La mia idea di scrittura la potrei definire “spaziale” , perché collocata in uno spazio temporale, ma anche “posturale”. Per me lo scrivere è posturale. Fa prendere compressioni dello spazio in cui siamo e viviamo. Ponendoci nel modo giusto. Con ovunque più giusto possibile. In questo modo rendo meglio la realtà, racconto se volete. E racconto anche a me la realtà che mi circonda.

Le parole, quindi, passano dalla personale al collettivo, dall’intimo al condiviso.
Ma non è un romanzo storico il suo (o meglio, non lo è nei canoni in cui lo intendiamo noi). La storia è il narrare quotidiano, descrivere quello che accade intorno a noi nel momento stesso in cui accade. Ingiustizie e violenze comprese, non solo il buono fatto di sentimenti positivi.
Questo permette ad Annie Ernaux di esprimere il tempo e lo spazio in cui viviamo in modo più massivo e collettivo, ergendosi a testimone descrittivo primo della sua storia. Come ne Il posto (La Place nell’originale, Ndr), libro vincitore del premio Goncourt nel 1983, in cui per la prima volta si manifesta la sua celebre Écriture plate e viene narrata la peculiare condizione di “transfuga di classe” attraverso il parallelismo con la vita e la figura del padre, piccolo commerciante in un paesino della Normandia rurale. Una volta cresciuta, Annie riuscirà a emanciparsi dalle sue origini compiendo il grande salto verso il mondo borghese, ma concepirà sempre questo passaggio come un “tradimento”, lo rivela anche la citazione posta in esergo del libro.

Recensione del libro

Il posto
di Annie Ernaux

Con frasi nette e affilate, scritte in una lingua limpida e lineare, fatta di descrizioni senza orpelli, Ernaux riesce a riflettere nella sua stessa storia anche il vissuto del lettore creando un meccanismo di istantanea e reciproca appartenenza. Identificazione e riconoscibilità si fanno pratiche collettive e non sorprendono. Supportano e abbracciano chi scorre le sue righe e si ritrova da spettatore a protagonista impaurito in quel riconoscersi e ritrovarsi “fuori da sé”, che rende evidente la sua fragilità, ma anche i suoi difetti e punti di forza.
Questa peculiare forma di rispecchiamento è una chiave di volta essenziale nella narrativa di Annie Ernaux.

Di questo sono felice - prosegue Madame Ernaux - sono felice che il mio ligio narrare e descrivere abbia sortito questa conseguenza. Anche se la parola “conseguenza”, dice la scrittrice, non la convince del tutto.

Forse il rigore nel mio narrare i fatti senza filtri mette davanti al lettore la vita e il vivere semplicemente così come è.
Descrivere lo scorrere del tempo con una lucidità lineare aiuta a scoprire i nostri sentire i nostri pregi e soprattutto i nostri dolori.
Io attraverso un momento che da li a poco diventerà oblio. Attraverso la realtà. E la descrivo, poiché più vicina alla verità.

Il ruolo della fotografia nell’opera di Annie Ernaux

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Una verità reale. Fatta di parole dure, solide di spessore e affilate come lame. Parole fatte “per durare” nel tempo e nello spazio. E dove non arriva la parola (o posta a incipit della stessa) uno spunto e uno slancio lo danno le immagini, quindi le fotografie.
Spesso nei libri di Annie Ernaux sono menzionate delle foto, che ritraggono un luogo, lei stessa o la sua famiglia.
La ragione la spiega lei stessa:

Mi piace inserire delle foto nei miei libri. Trovo che la foto sia un enigma. Forse chiara solo al fotografo. O forse nemmeno a lui.
Della foto sappiamo ben poco. Certamente non quello che c’era prima e tanto meno quello che c’era dopo. È un tempo bloccato. Una traccia. Una prova di ciò che è stato. Per ritrovare questa traccia la scrittura è un po’ l’archeologia, il mezzo per rintracciare.
È un po’ da interrogare. Dalla foto possiamo farci raccontare atti e avvenimenti accaduti. La foto è un tabernacolo della memoria delle persone.
Una volta era così almeno. Mi fa pensare questa continua sovra-esposizione di foto. Questa brandizzazione fotografica. Questo ricorrere alla foto sempre e comunque. In una sovraesposizione di sé. Angoscia e paura di un “non ricordo”. Di una “non memoria” di una vita che sfugge veloce. In quella paura di non riuscire non solo a viverla, ma anche a raccontarla. In questo credo sia il compito dello scrivere. Bloccare e scorporare quel messaggio, trattenere quel fermo immagine, ricucire le tracciature di realtà e capire dove finisce quella singolarità che diventa collettività reale e quindi storia condivisa.

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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “La storia di un Romanzo”: Annie Ernaux premiata a Pordenonelegge

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