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Recensioni di libri

L’altra figlia di Annie Ernaux

L’Orma Editore, 2016 - E se la nostra vita fosse un unico, prolungato, meccanismo riparativo? Se la nostra esistenza e le nostre azioni fossero solo un simulacro, costruito per ricordare l’altra figlia, la sorella morta precocemente, la cui esistenza è stata sempre taciuta dai genitori?

Elisabetta Bolondi
Elisabetta Bolondi Pubblicato il 26-05-2016

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L'altra figlia

L’altra figlia

  • Autore: Annie Ernaux
  • Categoria: Narrativa Straniera
  • Anno di pubblicazione: 2016

Annie Ernaux ci aveva già abituato a libri straordinari quanto inattesi. Ne “L’altra figlia”, un breve racconto, una lettera inviata virtualmente alla sorella morta di difterite nel 1938, qualche anno prima che lei nascesse, si conferma una scrittrice dal talento eccezionale, dalla penna efficace, dallo stile asciutto, cartesiano, sintetico, ma non per questo meno evocativo di paesaggi dell’anima, di sentimenti celati, di emozioni che tutti proviamo o abbiamo provato, anche se nessuno come lei riesce ad esprimerli nelle poche pagine (appena 80), nelle quali riesce a condensare il dramma di una intera esistenza, quella dei suoi genitori, e anche il suo proprio, il destino della figlia nata ed esistita solo per sostituire la morta.

Annie viene a sapere per caso che prima che lei nascesse c’era stata un’altra figlia dal nome antiquato, Ginette, che malgrado i tentativi di salvarle la vita, a soli sei anni era morta durante una epidemia di difterite, il vaccino contro quella orrenda malattia sarebbe stato introdotto pochi mesi dopo. Sua madre, che gestiva una drogheria, si trovò a raccontarne la dolorosa perdita a una cliente, mentre lei giocava, ma non riuscì a non ascoltare quella tragica confessione. Aveva dieci anni, e da quel momento tutto lo scenario familiare subì una mutazione: lei non osò mai rivelare ai genitori che conosceva il loro segreto, e continuò a osservare la foto sfocata della morta, a dormire nel suo lettino di legno rosa, a sentire qualche racconto della cugine più grandi, continuando a interrogarsi sul perché della morte di quella bambina, santificata nel ricordo dei genitori, devotamente legati alla Vergine di Lourdes, alla quale si doveva, tra l’altro, la prodigiosa guarigione della stessa Annie, ferita da un chiodo arrugginito e salva per poco da una forma di tetano che la stava per uccidere.
Nelle pagine della lettera si respira la competizione tra la vita e la morte, la lotta dell’autrice per la propria esistenza e la propria crescita, a dispetto della perdita della sorella, la consapevolezza che quelle righe, destinate ad una persona mai vista,

“saranno altri a riceverle, dei lettori, che mentre scrivo sono invisibili quanto lo sei tu. Eppure un residuo di pensiero magico dentro di me vorrebbe che, in maniera inconcepibile, analogica, questa lettera ti raggiungesse come la notizia della tua esistenza mi ha raggiunto una domenica d’estate”.

Annie Arnaux è una scrittrice dalle molte letture, che ritornano nel testo a marcare il territorio della scrittura: ecco Jane Eyre, Peter Pan, Rossella O’Hara, La lettera al padre di Kafka, I fiori del male, Beauvoir, Claudel, Bossuet, presenze affettive, come Cesare Pavese, morto suicida la sera del 27 agosto del 1950, in un desolato albergo torinese. Forse, quella stessa domenica di agosto, Annie ha appreso mentre giocava dalla voce bassa della madre la storia di Ginette. La madre riconoscerà solo quando già è malata di Alzheimer di aver avuto due figlie; il confronto con la morta santa, un angelo amato da Gesù, non fa che allontanare la sorella superstite ribelle, scontrosa, da quel modello irraggiungibile, procurandole sin da piccola continue malattie che forse sono un modo inconscio per attirare su di sé un affetto che in quanto sostituta non crede di meritare. Un groviglio psicologico, un continuo rimestare nel passato, alla ricerca di una verità: è nata solo perché Ginette era morta? I genitori non fanno che accreditare questa tesi con i loro gesti e le parole che misurano i “costi di gestione” di una figlia, le uniche spese che sono in grado di affrontare. Ginette finalmente può esistere quando la sorella riesce a scriverne. La scrittura è la vera unica medicina per curare ferite che non si cicatrizzano, ma possono procurare meno dolore:

“E’ forse dallo scrivere che sei rinata, da quello scendere a ogni libro dentro ciò che non conoscevo in anticipo, come qui, ora, dove ho l’impressione di scostare dei veli che si moltiplicano senza sosta lungo un corridoio infinito?”

Le parole per dire ciò che abbiamo di più profondo nascosto nel fondo delle nostre anime, le parole della scrittura letteraria, che l’autrice riesce a maneggia con eccezionale talento.

L'altra figlia

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© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: L’altra figlia

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