

La rabdomante. Appunti su Margherita Guidacci
- Autore: Rosalba de Filippis
- Genere: Storie vere
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Rubbettino
- Anno di pubblicazione: 2024
Non c’è cosa che scaldi il cuore più dell’ammirazione che avrebbe potuto esserci tra due donne di talento. Chi scrive è Rosalba de Filippis nel libro Il Rabdomante. Appunti su Margherita Guidacci (Rubbettino editore, 2024), insegnante e scrittrice che vive e lavora a Firenze. La sua silloge più significativa, soprattutto in termini emozionali e valoriali, è Madrebianca per Passigli.
Margherita Guidacci, nata nel 1921 a Firenze, sarebbe poi cresciuta a Scarperia, nel Mugello, che lei tanto nomina, perché trova in quel posto toscano la giusta concentrazione. La de Filippis, in un ampio proemio, ricorda la grandezza della donna, le sillogi, gli scritti e le tante traduzioni, soprattutto in inglese madrelingua. In realtà l’autrice del libro cerca di condensare la biografia della Guidacci, perché ha già molto da scrivere, ma Scarperia viene citata spesso, così pure la vita privata, e sottolinea che la donna da bambina era stata lieta, pasticciona con garbo. E c’è una fotografia che la vede bimba. Aggiunge che più avanti la vede già scrittrice di un diario coi disegnini e lei, disinvolta, che faceva amicizia presto. La morte del padre fu il suo primo lutto, mentre l’autrice del libro trova la casa a Firenze dove la poetessa visse molto anni e dove rimase dopo il matrimonio e la nascita di tre figli. Una casa dove la donna scrisse già molte poesie e tantissime traduzioni; lei che si era laureata in letteratura italiana con una tesi su Ungaretti. La foto di lei universitaria mostra una bella ragazza, vestita con garbo, raffinata.
Così pure le traduzioni, iniziando con Elizabeth Bishop che le insegnò che nelle poesie migliori ci sono cose e oggetti, evitando le parole prettamente poetiche, ormai usurate. E i sentimenti della Guidacci erano cambiati, ora sentiva il morso della solitudine; divenne scontenta, come si evince da alcuni versi:
Quietamente ci siamo distrutti / a vicenda la vita. / Non occorre un ciclone per rovinare un albero: / un chiodo rugginoso nella scorza / farà altrettanto, con meno clamore. / Così tra noi gli sguardi, le parole / ed i silenzi, prima scrigni / ora pieni di lame, / di veleni. / Oggi sono questi i miei tristi tesori / e li riconto, / mentre la morte avanza sulle sue vecchie strade / e sulle nuove che noi le abbiamo preparato.
C’è stata una consapevolezza emotiva che spinge la Guidacci nel baratro della tristezza. E la scrittrice del saggio aggiunge, sulla uscita del libro Neurosuite, che dietro una manciata di versi e le correzioni e le letture e le traduzioni si cela il malcontento, se non proprio il male di vivere. La scrittrice del colto e bellissimo saggio scrive che il segreto è svelato: la Guidacci ha scritto e scriverà della finitezza mortale, con la malinconia che non l’abbandona mai, fino alla fine.

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