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Recensioni di libri

La nuova colonia di Luigi Pirandello

Un gruppo di marinai sfaccendati e senza speranza s’incontrano in una taverna malfamata. Vivono di contrabbando e hanno guadagni loschi, che li portano ad avere problemi con la polizia. Per scappare alle forze dell’ordine si rifugiano su un’isola, dove fondano una società utopistica.

Federico Guastella
Federico Guastella Pubblicato il 14-12-2018

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La nuova colonia

La nuova colonia

  • Autore: Luigi Pirandello
  • Genere: Classici
  • Categoria: Narrativa Italiana

"La nuova colonia" (Roma, Teatro Argentina, 1928), tre atti preceduti da un Prologo, è la prima opera di una trilogia che Pirandello, secondo alcuni studiosi, comincia a scrivere nel 1926. Ecco in sintesi i fatti con qualche linea interpretativa.

Un gruppo di marinai sfaccendati e senza speranza s’incontrano in una taverna malfamata. Vivono di contrabbando e hanno guadagni loschi oltre che incerti. Due di loro spiccano per un comportamento del tutto opposto: Corrao mostra una virile spavalderia e Tobba, più anziano, si manifesta pacatamente saggio. La Spera, una prostituta, è innamorata di Corrao e da lui ha recentemente avuto un figlio. Vi è pure Dorò, il figlio adolescente di Padron Nocio, “ricco padrone di paranze”.
Perseguitati dalla polizia, poiché vivono ai margini della città allontanati da tutti, decidono, su istigazione della La Spera, di cambiare ambiente, fuggendo altrove. Così Tobba a conclusione del Prologo:

Il segno di Dio per tutti noi: che ci guiderà Lui! - Ora sì, si deve partire. Questa notte stessa. - Inginocchiamoci!

Si rifugiano in un’isola abbandonata, fuori dalle rotte marittime. Uno spazio, dunque, di segregazione, lontano dalla civiltà della terraferma, su cui fondare l’utopia della rinascita e del vivere comune in un unico congiunto scopo. Nella prima fase di insediamento non manca la mentalità patriarcale del possesso; l’antitesi è evidente: in quella città di mare i marinai, che vivevano nello squallore della disonestà, erano degli sfruttati, adesso possono autonomamente organizzarsi e trasformare la natura dell’isola in un rigoglioso eden. Ne diventano padroni, si organizzano in comunità, si danno leggi assembleari e si dividono il lavoro secondo criteri di equità.
Fra terra, cielo e mare anelano a darsi un’armoniosa bellezza per la piena realizzazione della nuova esistenza. Currao è il super-ego, il capo o l’eroe mitologico che amministra secondo legge, contrastando le spinte centrifughe (“legge tua e nostra, che ce la comandiamo noi stessi, perché l’abbiamo riconosciuta giusta”), mentre La Spera, figura metamorfica che abbraccia diverse funzioni, è trattata come una regina, giacché non fa mancare a tutti il suo sostegno (“esser tutto per tutti, non esser più niente per noi”).
Tobba, il senex, che incarna il senso del dovere e dell’etica indiscussa del lavoro, trasmette principi fondati sull’azione e sul gusto del vivere (“C’è la terra da zappare? zappate; da seminare? seminate; gettate, tirate! Fare. Fare per fare, senza vedere neppure quello che fate, perché lo fate”). È la personificazione del super-conscio che si mantiene indifferente ai beni materiali:

Che vuoi che importi più a me dei miei diritti sulla terra? Io guardo il cielo lo sai.

Il senso profetico e moraleggiante non è assente nelle parole di costui (“L’isola non affonderà, finché ci staremo senza peccare”). La nascita di controversie impone la creazione di un Tribunale. Crocco, facinoroso e spregiudicato, nonché facile preda degli istinti, abbandona l’isola, ma, a partire dal secondo atto, vi fa ritorno con altri coloni: Padron Nocio, ragazze e marinai. Sono questi nuovi abitanti a far cadere miseramente l’utopia sociale. Ad avanzare è la corruzione: gli animi si dividono, sorgono le fazioni, si accendono lotte e rivalità che distruggono la comunità. Anche La Spera, non essendo più l’unica donna, perde di prestigio e viene insultata nelle forme più dispotiche. Era e rimane prostituta agli occhi di tutti, senza più il carattere di sacralità di cui nel primo atto era stata investita. Il cataclisma finale, che richiama il mito di Atlantide, prepara all’esaltazione del ruolo della donna, propagatrice del miracolo della vita che si rinnova. A Currao, che tenta di strapparle con violenza il figlio per sposare la figlia di Padron Nocio, La Spera grida :

Se tu me lo levi, trema la terra! La terra! La terra!

L’evento pressoché magico, che esprime il volto matrigno dell’isola, non si fa attendere. Muoiono tutti, la “masnada di disperati" è ingoiata dal mare in modo spaventevole quando un terremoto inabissa l’isola. La Spera trova rifugio su una roccia sopraelevata e così può salvarsi con il suo bambino. La redenzione è nell’amore materno come unico esempio di elevata moralità. La maternità, che incarna il mistero della femminilità, trionfa sul male e sulle brutture del vivere: La Spera da donnaccia malfamata si trasforma in eroina per via della sua dedizione materna. Siamo nell’affermarsi del femminile

La nuova colonia. Lazzaro. I giganti della montagna

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© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La nuova colonia

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