Della celebre novella di Luigi Pirandello parla Gesualdo Bufalino nell’opera La Luce e il lutto (Sellerio, Palermo, Sellerio, “La diagonale”, 1987): precisamente nel capitolo intitolato “Palmina Enne Enne, sua morte, battesimo esequie”, che tratta della cittadina agrigentina di Palma di Montechiaro, dove ha sede il palazzo appartenuto ai Lampedusa.
In seguito alla tetra descrizione del luogo, lo scrittore comisano s’intrattiene sul tema del morire e gli viene in mente la novella pirandelliana Requiem aeternam dona eis, Domine, pubblicata dal “Corriere della sera” nel febbraio del 1913, poi in La trappola, Treves, Milano 1915 e nella raccolta La rallegrata, 1922.
Così Bufalino la riassume:
Vi si racconta la controversia fra un baronello feudatario e una colonia di contadini che hanno messo radici, anche da morti. Chiedono insomma un luogo per il camposanto. Soprattutto ora che il loro caporione e patriarca versa in fin di vita e chiede di riposare sotto quell’erba familiare, dove s’è già fatta scavare una fossa. Anzi vi si è già accampato a lato, su una seggiola, seduto ad aspettare il sì e il no del giudizio. Arrivano le guardie, invece, e allora i suoi se lo portano via, lasciano in abbandono la cassa d’abete, la papalina caduta, le pantofole di pezza.
Alla pregevole e succosa sintesi segue il commento che evidenzia “la drammaturgia della morte”[...] “nel suo solito sposalizio con la pietà.
C’è il teatro di Pirandello che trae origine dal mimo e dal rito: i due fondamenti della cultura siciliana.
Il comportamento del moribondo che si fa portare, gonfio d’idropsia, vicino al pezzo di terra, anzi di sottoterra, a cui ritiene d’avere diritto, mescola in modi eccessivi ma cattivanti l’affetto della proprietà col gusto dell’esibizione istrionesca, e disegna in mezzo ai campi, sotto l’inevitabile sole, attorno alla lampante unicità della morte, quello spazio posticcio e plurale ch’è il luogo predestinato della convenzione teatrale.
“Requiem aeternam dona eis, Domine”: analisi della novella
Leggiamo adesso la novella Requiem aeternam dona eis, Domine e poniamo in risalto i passi ritenuti più significativi per ammirarne l’efficacia narrativa.
S’apre con la scena di contadini del feudo Màrgari: dieci uomini e due donne col prete che si recano dal prefetto per avanzare la richiesta del camposanto. L’immagine è intensamente vivida:
Esalavano tutti, compreso, il prete, un lezzo caprino, misto a un sentor grasso di concime, così forte, che gli altri aspettanti o storcevano la faccia, disgustati, o arricciavano il naso; qualcuno anche gonfiava le gote o sbuffava.
Il loro vociare dal tono corposo è furente:
-Noi vogliamo il camposanto! - Siamo carne battezzati! - In groppa a una mula signor prefetto, i nostri morti – come bestie macellati! Il riposo dei morti , signor Prefetto! - Vogliamo le nostre fosse! Un palmo di terra, dove gettare le nostre ossa! E le donne, tra un diluvio di lagrime: Per nostro padre che vuol sapere, prima di chiudere gli occhi per sempre, che dormirà nella fossa che s’è fatta scavare! Sotto l’erbuccia della nostra terra! Cacciati dal palazzo, in piazza l’arringa di padre Sarso è energica nel rivendicare il diritto della fossa.
Sono le voci della folla che freneticamente si rincorrono ad animare lo scenario in cui è il prete con la sua eloquenza retorica a farsi paladino in difesa dei diritti di quella povera gente: il contadino, che sessant’anni prima aveva fondato la borgata, stava per morire.
L’intervento di guardie e di carabinieri disperde la folla, mentre il barone, proprietario del feudo, additando come usurpatori quegli uomini e quelle donne, faceva del moribondo un “uomo terribile, soperchiatore e abisso d’ogni malizia”.
Costui, sostenuto dall’autorità prefettizia, è il simbolo del potere che legittima la sua giustificazione, mentre il prete col suo carattere eversivo è il ribelle che sta accanto ai contadini, i quali decidono di raggiungere le alture di Màrgari per assecondare la volontà del vecchio: quella di farsi seppellire da vivo.
La descrizione è concitata: “sembrava una marcia di Guerra”, difatti la forza dell’ordine accompagnava i dimostranti alle loro case.
La sorte del vecchio patriarca è segnata:
Moriva all’aperto, in mezzo ai suoi, seduto innanzi alla porta della sua casa terrena, non potendo più stare a letto, soffocato com’era dalla tumefazione enorme dell’idropsia. Stava di notte lì seduto, boccheggiante, con gli occhi alle stelle, assistito da tutta la borgata, che da un mese non si stancava di vegliarlo.
Vediamo il corteo salire faticosamente sulla montagna, mentre il vecchio viene trasportato su una seggiola “al posto dove sarebbe sorto il camposanto, innanzi alla sua fossa”. Sorprendente l’astuzia contadina. Il rito funebre per il finto morto, selvaggio e primitivo, è espresso da tutta la borgata che canta litanie nell’oscurità resa chiara dalla luce dei lumi.
La sua terra sarebbe stata la sua fossa, tuttavia quando tentò di gettarvisi, al sopraggiungere della cavalleria:
Fu trattenuto; tutti gli si strinsero attorno, come a proteggerlo dalla forza; ma il maresciallo riuscì a rompere la calca e ordinò che subito quel moribondo fosse trasportato a casa e che tutti sgombrassero di là. Su la seggiola, come un santone su la bara, il vecchio fu sollevato e i margaritani, reggendo altri lumi, gridando e piangendo, s’avviarono verso le loro casupole, che biancheggiavano in alto, sparse sulla roccia. La scorta rimase al bujo, sotto le stelle a guardia della fossa vuota e della cassa d’abete, lasciata lì, con quella papalina e quel fazzoletto e quelle pantofole posate sul coperchio.
“Requiem aeternam dona eis, Domine”: commento della novella
Magistrale la rappresentazione filmica della novella da parte dei fratelli Paolo e Vittorio Taviani nel quarto episodio del film “Kaos” (1984).
Evidente il motivo del conflitto di classe tra “cappelli” e “berretti” mentre risalta vigorosamente il fondatore della comunità che, moribondo, invita i suoi a chiedere l’autorizzazione perché venga sepolto nella terra da loro bonificata e coltivata. Proprio così.
La novella ha il motivo centrale nella rivendicazione dei contadini. E la si può leggere cogliendo i seguenti aspetti, ritenuti essenziali: il forte legame con la terra, nonché la coralità arcaico-magica unitamente al senso della tragedia e all’appassionato impeto retorico.
In definitiva, Pirandello si mostra un fine interprete della cultura isolana per aver mostrato un’alleanza fra il mimo e la morte.
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Requiem aeternam dona eis, Domine”: la novella di Pirandello che ha ispirato il film dei fratelli Taviani
Naviga per parole chiave
Approfondimenti su libri... e non solo Narrativa Italiana News Libri Luigi Pirandello Dal libro al film Storia della letteratura
Lascia il tuo commento